Gioele Magaldi, Masones. Todos sus secretos al descubierto, Kailas Editorial, Madrid, 2017
Nel
presentare l’edizione originale di MASSONI.
SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA. LA SCOPERTA DELLE UR-LODGES [Gioele
Magaldi, Chiarelettere, Novembre
2014, pp.656], individuavo in tre obiettivi principali l’intento dell’autore:
1)Dare consapevolezza a massoni e non massoni
del ruolo di grande responsabilità che la Massoneria si assume nel gestire la
post-modernità.
2)Rilanciare tale consapevolezza al di
dentro delle logge tradizionali per modo che cessino dal torpore dell’attuale
funzione – che l’autore del libro ritiene ormai meramente ornamentale – per
riprendere il glorioso cammino del passato, allorché lavorare sulla propria
pietra grezza era non solo la condizione, ma anche la premessa per lavorare “al
bene e al progresso dell’umanità”.
3)Contribuire a far ripartire il motore
della Storia verso un Nuovo Ordine Mondiale, capace di riformare una società
“malamente globalizzata” e di dare all’Europa un’autentica unità politica ed
economica, rispettosa della sovranità popolare, sottraendola all’arbitrio di
oligarchie che, in nome dell’austerità e dei propri affari, hanno fatto e
continuano a fare opera di “macelleria sociale”.
Aggiungevo, in tale prospettiva,
che il libro si presentava come il tentativo di riscrivere la storia del mondo,
almeno dall’avvento del nazifascismo sino ai nostri
giorni. Mi congedavo, pertanto, dai lettori del blog con la promessa di
riprendere successivamente il discorso [per leggere il post della recensione
clicca sul titolo che segue: MASSONI.SOCIETA' A RESPONSABILITA' ILLIMITATA [Riscrivere la storia del mondo, parte I]. Lo riprendo ora, approfittando dell’uscita dell’edizione in lingua
castigliana del libro per conto di Kailas
Editorial di Madrid, una casa editrice cui va il merito di aver tradotto in
spagnolo i romanzi di Mo Yan, lo scrittore cinese, nobel per la letteratura.
L’edizione spagnola di Massoni si presenta più snella di quella italiana, ma la struttura
non ne risulta modificata, con la nota dell’editore italiano, le dediche, la
premessa generale e la lunga introduzione di Laura Maragnani. Invariato soprattutto
il contenuto dei 9 capitoli in cui si articola il volume, purgato solo di
alcuni incisi e senza che ne risulti mutata la sequenza, ancorché detti
capitoli siano stati, per così dire, “alleggeriti” dei loro “presupposti”
introduttivi che, nell’edizione di Chiarelettere,
avevano una funzione didascalica, rispondente all’esigenza di orientare
maggiormente il lettore con l’inserzione di brani significativi di altri autori
sull’argomento di volta in volta trattato. Una ulteriore modifica riguarda
quella che chiameremmo l’appendice del libro, dalla quale sono espunti 2
paragrafi, più accademici che essenziali alla comprensione dell’opera: “la
bibliografia parziale” e “l’indice dei nomi”. Nel complesso, dunque, una scelta
editoriale oculata e tesa a semplificare la lettura e che in definitiva rende il
libro meno “informato” ma più compatto, “stringente” e probabilmente più
agevole per un maggior numero di fruitori. Di seguito, l’indice dell’edizione
spagnola, se confrontato con quello dell’edizione italiana, rende
immediatamente conto delle ininfluenti differenze tra le due edizioni.
Sumario
Nota del
editor
Dedicatorias
Premisa
general
El poder
con mandil por Laura Maragnani
Aquí, en la Tierra de Mordor, octubre 2014
1- La
solución final (1941-1942-1948)
2-
Conservadurismo de Oriente a Occidente (1950-1956)
3- Masones
y Vaticano por la Unión Europea (1950-1957)
4- El masón
y rosacruz Angello Roncalli, alias
Papa Juan XXIII, el Concilio Vaticano II y el sueño de una moderna armonía
entre exoterismo religioso y esoterismo masónico en función de un renovado
periodo de igualdad, fraternidad y libertad (1958-1968)
5- La
imaginación al poder, un masón en la Luna y la crisis de la democracia
(1968-1975)
6- Chaos ab Ordine et Ordo ab Chao (1967-1981)
7- Masones
unidos por la globalización, primera parte (1974-1975-1979-1991)
8- Masones
unidos por la globalización, segunda parte (1992-2001)
9- Un gran
ojo incandescente sin párpados, inscrito en un triángulo. Sauron con mandil y
la Globalización sin democracia, sin libertad y sin derechos globales, primera
parte (2001-?)
- Fuentes
testimoniales
- La
importancia de la tradición oral, boca a oído, en la masonería y en las
sociedades iniciáticas en general
- Glosario
mínimo parcial
- Esquema
de la obra
Agradecimientos
Riscrivere la storia del mondo – dicevo sopra
– almeno a partire dall’avvento del nazifascismo. Ebbene, nel primo capitolo
del libro si comincia proprio da qui, riannodando gli eventi che vanno
dall’ascesa di Mussolini e di Hitler sino alla persecuzione “scientifica” degli
ebrei. La tesi di fondo è che i due dittatori, dopo aver messo fuori legge la
libera muratoria, si servirono ampiamente di massoni neoaristocratici per
scalare e mantenere il potere. Scrive l’autore [Edizione spagnola,]:
“Tanto Hitler como Mussolini, por otra parte, declararon ilegal a la francmasonería, pero Mussolini hizo de su Gran Consejo del fascismo una especie de Gran Logia de Estado, colocando a una mayoría aplastante de masones tanto en su interior como en las cúspides institucionales (con el masón Beneduce escogido como director de toda la economía fascista); mientras que Hitler, al mismo tiempo que les encargaba a Alfred Rosenberg, Reinhard Heydrich, Martin Bormann y Hermann Göring la misión de desmantelar, ya en el plano ideológico ya en el práctico, la actividad de las logias alemanas ordinarias (y de orientación liberal y democrática) –objetivo que fue puesto en práctica y llevado a término del 28 de febrero de 1933 al 30 de julio de 1935–, se hacía flanquear por el masón Hjalmar Schacht, como gran titiritero de todo el sistema económico-financiero e industrial alemán. El mismo Göring cultivó, desde los años veinte, importantes relaciones con varios financieros e industriales alemanes masones afiliados a Ur-Lodges cosmopolitas y supranacionales. [Per la versione originale, cfr., op. cit., p.61].
Il fine non espressamente
dichiarato del sostegno massonico, cosiddetto neoaristocratico, al nazifascismo
era triplice: favorire una “involuzione oligarchica ed elitaria della
governance” in Europa come negli Stati Uniti; assecondare anche militarmente
l’espansione del Terzo Reich in funzione antisovietica; giovare “al business
colossale dell’industria bellica che questi circuiti massonici sovranazionali
in gran parte controllavano”. Gli accordi di Monaco della fine di settembre del
1938 rappresentano la frontiera delle concessioni massoniche, quando il massone
conservatore Chamberlain e il massone progressista Daladier, in rappresentanza
dell’Inghilterra e della Francia, accettano le imposizioni di Hitler e di
Mussolini, pur di salvaguardare la pace; ma è ormai evidente che la massoneria
elitaria e conservatrice sta rivedendo il proprio atteggiamento per timore di
una guerra europea che finirebbe per coinvolgere anche gli Stati Uniti,
trasformandosi in un conflitto mondiale. La United
Grand Lodge of England, dal canto suo e in questo stesso periodo, ribadisce
la propria formale e tradizionale estraneità alla politica, precisando [prg.7 Aims and Relationships of the Craft]:
“Con coherencia, la Gran
Logia siempre se ha negado a expresar su propia
opinión sobre cuestiones de política interna o externa, ya sea nacional o en el
extranjero, y jamás permitirá que se asocie su nombre con ninguna iniciativa,
por mucho que sea humanitaria, que viole su inmutable política de mantenerse al
margen de cualquier asunto que tenga que ver con las relaciones entre los
gobiernos, entre partidos políticos o entre ideas contrarias a la política
gubernamental.” [pp.62-63 ed.italiana].
Dello stesso avviso, tuttavia, non sarà il massone
conservatore Winston Churchill che pure in passato aveva guardato con simpatia
al fascismo mussoliniano. Divenuto premier, Churchill “se verá obligado a
ofrecerle a Franklin Delano Roosevelt –líder de los masones progresistas
euroatlánticos– la colaboración de los sectores de la francmasonería británica
y europea moderada y conservadora que ya no estaban dispuestos a seguir
apoyando bajo ningún concepto la deriva imperialista, sanguinaria y belicista
de los nazifascistas.” [p. 63 ed.italiana. Per la verità, la versione originale recita:”Spetterà
proprio a Churchill (…) offrire a Franklin Delano Roosevelt” ].
In definitiva, dunque,
l’autore attribuisce ai massoni [neppure distinti in conservatori e
progressisti, come pure farà nel “riscrivere” altri eventi] il merito di aver
posto fine alla resistibile ascesa del dittatore nazista e all’ancora più
resistibile ascesa del fascismo mussoliniano, non senza prima aver sottolineato
l’importanza che ebbero le oligarchie massoniche nel favorirne la presa del
potere in Italia e in Germania. Del resto, tale connubio tra l’ala, per così
dire, progressista della Massoneria e quella conservatrice, se sconcerta chi
non fa parte dell’istituzione, non desta meraviglia tra i “fratelli”. Scrivevo
nel post sopra citato:
“Insomma, quel che ha tutta l’aria di
una dichiarazione di guerra verso una parte della massoneria si stempera in
realtà nel riconoscimento che è la massoneria nel suo complesso a gestire il
mondo in cui viviamo, almeno a partire dal XVIII Secolo. In più, la lunga
conversazione riportata nell’ultimo capitolo del libro [pp.491- 586] tra
autorevoli esponenti “dell’élite massonica mondiale”, mostra chiaramente che
non solo il dibattito è sempre aperto tra massoni di diverse e talora opposte
tendenze politiche, ma che la legittimazione dell’altro è data per scontata:
ancorché egli sia ritenuto un avversario, resta pur sempre un fratello. Ciò non
è senza conseguenze – come vedremo – nel progetto di riscrivere la storia del
mondo, anche solo a partire dall’avvento del nazifascismo”.
Non meno intrigante è la
lettura del “corollario” fondamentale, riguardante la “vendetta tedesca” contro
i massoni e soprattutto contro gli ebrei. Non che questa si spieghi
integralmente con il “voltafaccia” massonico, perché le persecuzioni contro gli
ebrei erano cominciate già tempo prima e, come chiarirà l’autore in un
successivo paragrafo, c’era “un lato esoterico” della “soluzione finale” che
spingeva Hitler ad assicurare alla “razza ariana” un primato mondiale che
riteneva usurpato dalla “razza ebraica”, [cit.,p.66]; ma è un fatto che tali
persecuzioni furono riprese con maggiore
violenza circa due mesi dopo gli accordi di Monaco. Riporto il passo dall’edizione
spagnola perché, senza gli incisi presenti nell’edizione italiana, risulta
forse più immediato ed efficace:
“Queremos recalcar que el
proyecto nazi de exterminio total de los judíos no puede ser explicado de
ninguna manera mediante categorías interpretativas de tipo práctico o racional.
No había ninguna utilidad ni
racionalidad de naturaleza material en el hecho de exterminar a una poderosa
fuerza-trabajo semiesclavizada (millones de judíos), de la que se había
demostrado, y se seguía haciendo, su utilidad y bajo coste para las empresas
operantes en suelo alemán o en los territorios bajo la ocupación nazi.
Pero cada acto histórico
responde a una determinada forma de racionalidad, y el refugio en hipótesis
simplificadoras que aduzcan a una presunta locura de Hitler y de las SS de
Heinrich Himmler, no nos parece ni correcto desde el punto de vista
historiográfico, ni sólido a un nivel antropológico.
Por un lado Hitler y los
suyos, en los años 1939-1942, se sintieron traicionados por aquellos ambientes
masónicos elitistas y neoaristocráticos angloamericanos que los habían apoyado
en su ascenso y en su consolidación en el poder, pero que, en primer lugar, no
había logrado evitar el enfrentamiento bélico, primero contra Reino Unido y
luego con los EEUU, y en segundo lugar, en algunos casos se habían retractado
horrorizados ante la escalada de violencia y brutalidad indiscriminada y a
menudo gratuita del Tercer Reich nazi. Se trataba, entonces, de castigar a esos
mismos ambientes, a veces en efecto de ascendencia hebrea más o menos remota y
a veces no, pero que en cualquier caso quedaban agrupados simbólicamente (o
eran susceptibles de ello) por la maldición propagandística contra las
demo-pluto-judaico-masonerías enemigas de los nazifascistas. Internando a los judíos
en los campos o asesinándolos, se estaba enviando un mensaje de venganza y
desafío a las democracias occidentales liberales (Gran Bretaña y los EEUU in primis) en las que los judíos –con el
mismo estatus que otras etnias, en un contexto de pluralismo interétnico–
ostentaban cargos relevantes en la economía, en las finanzas, en la cultura y
en el arte.” [pp.64-65 ed. italiana].
In conclusione, mi sembra che dall’edizione originale di Massoni, pubblicata poco più di due anni
fa, e da Masones, la sua traduzione
in lingua castigliana, apparsa ora, si levi nel complesso l’auspicio di un risorgimento massonico, nella
consapevolezza che il mondo in cui viviamo è il frutto della ricerca massonica
di un nuovo ordine mondiale su un’ottava superiore. La Massoneria, segreta nei rituali, non negli intenti, custode della
tradizione e al tempo stesso maestra di tolleranza e di libertà di pensiero, è
entrata spesso da protagonista nelle vicende umane - se non direttamente, ciò
che le è vietato dagli statuti e che ne pregiudicherebbe irrimediabilmente il
carattere - attraverso l’azione dei tanti massoni che hanno determinato gli
eventi della modernità e della post modernità, rendendo possibile la fine del
feudalesimo, l’avvento delle società liberali e della democrazia. D’altra
parte, la neutralità propria delle istituzioni massoniche – che non va confusa
con gli ideali ma con l’azione – ha
talora permesso che altri massoni tentassero di far girare all’indietro le
lancette della storia con intenti elitari, involutivi e controiniziatici o che
utilizzassero le insegne massoniche per interesse personale, gettando un
comprensibile sconcerto nell’opinione pubblica. Le rivoluzioni inglesi, la
guerra per l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, la rivoluzione francese
e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, i risorgimenti
nazionali, la lotta al nazifascismo e la dichiarazione universale dei diritti
umani del 1948 sono gli antefatti che legittimano la Massoneria ad ogni trattativa sui
futuri assetti europei e mondiali, nella prospettiva della libertà e della pace
universale.
sergio magaldi
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venerdì 28 aprile 2017
L’EDIZIONE SPAGNOLA DI “MASSONI. SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA”
giovedì 20 aprile 2017
VIDEO: Sovranità e democrazia,dalla città-stato a Jean-Jacques Rousseau
Video della relazione presentata da Sergio Magaldi al Convegno sulle Forme della Democrazia, svoltosi a Roma nei giorni 8 e 9 aprile 2017 presso la Casa Internazionale delle Donne. Per vedere il video, clicca sulla riga sottostante
https://www.youtube.com/watch?v=S4yh1PJnEYQ
martedì 11 aprile 2017
LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA
La crisi della democrazia rappresentativa sembra
ormai prossima a raggiungere il suo punto culminante e le ragioni sono molteplici.
I cosiddetti rappresentanti del popolo sono spesso ostaggio delle segreterie di
partito o, quando vengono scelti mediante le preferenze, del denaro che
finanzia le loro campagne elettorali. Il potere legislativo è sempre più
appannaggio del potere esecutivo, quando addirittura non finisce per essere
“disciplinato” dal potere giudiziario a seguito dei numerosi casi di corruzione
di chi è stato chiamato a rappresentare i cittadini. Gli eletti non hanno
spesso la necessaria competenza per legiferare e non sono tenuti a rispondere
del loro operato di fronte al popolo sovrano. Alcuni di loro diventano così sempre
più di frequente “merce” per il maggiore offerente nel mercato ormai
consolidato del trasformismo parlamentare.
Tutto ciò è persino naturale dal
momento che l’istituto della democrazia rappresentativa, nella forma in cui lo
conosciamo – rivoluzionario nella sua genesi come risposta all’ancien régime, dove la rappresentanza politica era
concepita per classi o “stati”: clero, nobiltà e borghesia – è vecchio di circa
due secoli e mezzo nel continente europeo e negli Stati Uniti d'America e di oltre tre secoli e mezzo in
Inghilterra, basandosi senza soluzioni di continuità sui principi del
liberalismo classico in base ai quali il deputato, promosso al rango di
“onorevole”, diventa un rappresentante privilegiato della nazione, absolutus,
sciolto cioè da ogni riferimento alla volontà politica dei suoi elettori. Si
aggiunga a tutto ciò – e forse questo è l’aspetto che ha contribuito al
precipitare della crisi della democrazia rappresentativa – che l’occidente
europeo vive attualmente in una condizione in cui la maggior parte delle
decisioni degli stati dell’Unione sono prese da una Banca Centrale [BCE] del
tutto autonoma dai parlamenti nazionali e dalla volontà dei cittadini; vive
cioè in una condizione feudale simile a quella in cui si trovava la Francia
prima della rivoluzione del 1789, allorché la sovranità si divideva tra clero e nobiltà. Oggi, il potere si divide tra alta finanza e governance
europea e neppure è assente la nuova schiavitù
prodotta da una immigrazione selvaggia, generata da una globalizzazione
altrettanto selvaggia e da una delocalizzazione delle imprese a caccia di una forte
riduzione del costo del lavoro.
La crociata contro il cosiddetto
populismo cresce ogni giorno di più ed è bene intendersi. Populista fu detto
anche Pericle, in un’età che pure va annoverata come quella di maggior
splendore di Atene, della polis e dell’isonomia,
cioè dell’eguaglianza di tutti i
cittadini liberi di fronte alla legge. Insomma, se per populismo s’intende una
concezione etico-totalitaria dello Stato che non ammette diversità di opinione
e che addirittura persegue il dissenso, allora siamo già nel fascismo; se,
viceversa, con populismo si richiama il concetto di sovranità popolare – che persino nei termini fu una conquista
relativamente tarda della storia umana [il primo a parlarne fu Johannes
Althusius nei primi decenni del XVII secolo] – allora si vuole semplicemente dire
che a nessun altro potere è lecito l’esercizio della sovranità, perché questa appartiene al popolo per diritto di natura,
un diritto umano per il cui riconoscimento nel corso dei secoli, così come per
tanti altri diritti, uomini e donne hanno versato il proprio sangue.
Come
giustamente osserva Hegel nelle sue lezioni berlinesi [Lezioni sulla Storia
della Filosofia, La Nuova Italia, Firenze, 1964, vol.III,2, pp. 259-262], col
porsi il problema della giustificazione dello Stato, Rousseau introduce nella Storia un elemento
sino ad allora sconosciuto: il principio della libertà. Il suo merito consiste
nel pretendere che il principio di libertà, che per natura appartiene ad ogni
essere umano, trovi finalmente il giusto riconoscimento nello Stato, divenendo insieme l’elemento fondativo e giustificativo di ogni patto sociale.
La rinuncia
alla libertà, anche se fatta a vantaggio di un’assemblea, è di per sé un atto
contro natura, perché – annota ancora Jean-Jacques Rousseau nel Contratto
Sociale [libro III, cap.XV] – “La sovranità non può essere rappresentata per la
stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente
nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta; essa è la medesima o è
un’altra; non c'é una via di mezzo. I deputati del popolo, dunque, non sono né
possono essere i suoi rappresentanti; essi non sono che i suoi commissari e non
possono concludere nulla in via definitiva […] L'idea dei rappresentanti è
moderna; proviene a noi dal governo feudale, da quell'iniquo e assurdo governo
nel quale la specie umana viene degradata e il nome stesso di uomo era un
disonore. Nelle antiche repubbliche e persino nelle monarchie, il popolo non
ebbe mai rappresentanti: la parola stessa era ignorata […] a Roma, dove pure i
tribuni erano sacri, non si è neppure immaginato che essi potessero usurpare le
funzioni del popolo […]. Presso i Greci, tutto quello che il popolo doveva
fare, lo faceva da sé e si adunava di continuo sulla piazza, in pubblica
assemblea”.
Rousseau non ha mai ignorato le obiezioni –
non si sa se più ironiche o più spaventate – dei suoi contemporanei, circa la
possibilità di rendere effettivo l’esercizio della democrazia diretta in un
grande stato e non più soltanto in una città-stato dell’antichità dove,
peraltro, le donne e gli schiavi non godevano dei diritti politici. Nelle Considerazioni
sul governo della Polonia del 1772, egli dichiara esplicitamente che in un
grande stato “il potere legislativo non può essere esercitato che mediante i deputati
del popolo” [cap.VII], alla condizione tuttavia che questi siano cambiati di
frequente e che siano unicamente i portavoce di decisioni prese altrove dal
popolo e con la massima precisione, al fine di evitare, egli dice, “il male
terribile della corruzione”.
Gli argomenti utilizzati ancora oggi contro il
pensiero politico di Rousseau riguardano non solo la mitizzazione dello stato
di natura, la critica del progresso, il vincolo di mandato per i parlamentari e
l’istituzione della democrazia diretta – ritenuta utopistica e/o dannosa e di
cui Rousseau è considerato l’antesignano – ma anche e soprattutto la mancata
distinzione dei poteri all’interno dello stato, nel nome di una sovranità
popolare che si manifesta mediante quella volontà generale che sarebbe
alla base dello stato etico e totalitario. Si rimprovera infine a Rousseau la
critica che egli fa delle leggi costituzionali.
L’accusa fatta a Rousseau di contrapporre alla
società civile, il mito del “buon selvaggio”, in uno stato paradisiaco di natura
che non è mai esistito, nonché di sostenere la tesi di come il progresso delle
scienze e delle arti abbia peggiorato i costumi, in luogo di migliorarli, si
basa su una lettura superficiale e destoricizzata del Discorso sulle scienze
e sulle arti [1750] e del Discorso sulle origini e i fondamenti
della disuguaglianza tra gli uomini [1754. Il buon selvaggio non è altro
che un paradosso da contrapporre all’uomo malvagio di cui aveva parlato Hobbes
per giustificare il patto sociale e il potere, così dello Stato liberale come dello
Stato assoluto. Insomma, l’uomo primitivo e virtuoso non è altro che
un’astrazione utilizzata da Rousseau per valutare la condizione dell’uomo
socializzato del suo tempo, come riconosce lui stesso in una lettera del 1762
all’arcivescovo di Parigi, Christophe de Beaumont: “Quest'uomo
non esiste, voi direte. E così sia; ma quest'uomo può esistere come ipotesi,
essenziale per giudicare la condizione attuale degli individui nella società”. Quanto alla tesi che il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito
a peggiorare il costume umano è abbastanza evidente che si tratti di un altro paradosso.
Rousseau ha sotto gli occhi la società francese della metà del XVIII secolo,
con il suo regime assolutistico e corrotto, peraltro non più tenuto insieme dal
carisma del Re Sole, ma governato dall’imbelle Luigi XV [1715-1774] che affidò
il potere nelle mani del suo precettore, il cardinale de Fleury, per una
politica di sprechi, di corruzione e di privilegi ad esclusivo appannaggio della
nobiltà e del clero. In tale contesto, scienze ed arti erano per Rousseau come
“le ghirlande di fiori poste sulle catene” che imprigionavano il terzo stato e
il popolo minuto. Quel che sembra, ai malevoli interpreti di Rousseau, un
discorso contro il progresso, è in realtà una presa di posizione contro le
sovrastrutture che servivano ad abbellire l’ancien régime.
Continuando,
il vincolo di mandato parlamentare si rivela necessario per sopperire alla
mancanza di democrazia diretta, laddove questa risulti di difficile attuazione
in un grande stato. La divisione dei poteri non è negata da Rousseau perché la
sovranità indivisibile e inalienabile riguarda unicamente il potere legislativo
del popolo, laddove le competenze esecutive, amministrative e giurisdizionali
vanno ripartite tra organismi e soggetti diversi, ancorché il potere esecutivo debba
sempre essere subordinato a quello legislativo, nel senso che quest’ultimo ha
il compito di controllarlo ed eventualmente sostituirlo quando le leggi
approvate non siano effettivamente applicate. E ancora: la cosiddetta volontà generale non si identifica per
Rousseau con un potere statuale che trascenda la volontà e la libertà dei
cittadini nel nome di un’astratta sacralità, fosse pure quella rappresentata
dalla sovranità popolare – ciò che ne farebbe uno Stato etico e totalitario –
la volontà generale va intesa piuttosto come l’espressione di una complessità
democratica in cui a nessun individuo è impedito l’esercizio della sovranità.
Infine, la critica fatta a Rousseau di non amare le leggi costituzionali si
rivela faziosa, perché il grande ginevrino si limita a dire che lo Stato può
ben darsi una Costituzione ma deve valutare la possibilità di cambiarla
velocemente e semplicemente col mutare stesso di quella volontà generale
che è la condizione stessa della legittimità e dell’unità dello Stato.
Rousseau non fu amato nel suo tempo che di
rado seppe
comprenderlo e più spesso lo condannò come sovversivo, relegandolo in una
condizione di indigenza e di solitudine e
bruciando pubblicamente i suoi scritti, ancorché su di lui resti l’elogio di in
grande contemporaneo come il filosofo inglese David Hume: “È simile a un uomo che si sia spogliato non
solo dei suoi vestiti, ma della sua stessa pelle e che, in quelle condizioni, si
sia buttato a combattere contro i violenti e tempestosi elementi che
perpetuamente agitano questo basso mondo”. E soprattutto resta di lui l’apprezzamento di due
colossi del pensiero occidentale come Kant ed Hegel. Male interpretato da
Robespierre, egli conobbe anche gloria postuma negli anni cruenti della
rivoluzione francese e per onorarlo i giacobini ne traslarono i resti dalla tenuta di Ermenonville,
di proprietà del marchese René-Louis de Girardin – dove era stato ospite dal
mese di aprile del 1778 al 2 luglio, giorno della morte e della provvisoria
sepoltura – al Panthéon di Parigi.
La fama di
pensatore giacobino e radicale ha accompagnato Rousseau nel corso degli ultimi
due secoli. I circoli accademici non lo hanno mai studiato a fondo, preferendo
soffermarsi sulla sua figura di pedagogo, più spesso per sottolinearne le
utopie educative. Sulla scia di Voltaire si preferì vedere in lui la
contraddizione tra uomo pubblico e privato, più degno di essere studiato dalla
psicanalisi che dalla filosofia e dalla politica. Marx, ignorando la lezione di
Hegel, ne fa l’espressione tipica della borghesia giacobina, i politici, in
particolare i politici italiani di destra, di centro e di sinistra non lo hanno
mai avuto in simpatia per il suo radicalismo e la sua “pericolosità sociale”
che giunge sino a delegittimare quello Stato in cui la sovranità non appartenga
al popolo o vi appartenga solo formalmente.
In tale
prospettiva, grande merito va riconosciuto a Roberto Casaleggio, a Beppe Grillo
e al M5S, per aver riscoperto politicamente la figura di Jean-Jacques Rousseau.
Nel descrivere la natura umana,
nell’individuare la fonte stessa del liberalismo, nell’intuire il fondamento
della sovranità popolare e la legittimità del suo potere, non c’è dubbio che
Rousseau sia un autentico precursore della modernità e della post modernità. La
questione semmai è il rischio di fare del ginevrino niente di più che una
bandiera e/o di ridurlo ad una “piattaforma”, valida in sé ma ancora generica e
fuorviante. Louis Althusser definì l’opera di Jean-Jacques Rousseau un
capolavoro complicatissimo, labirintico, apparentemente contraddittorio. Ebbene,
nell’apparente contraddizione tra il vagheggiamento della polis antica,
vista come mirabile connubio di esigenze individuali e sociali, e
l’impossibilità di utilizzare le forme della democrazia diretta in un grande
stato, Rousseau fornisce più di un elemento per superare l’apparente
inconciliabilità tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
Per
quanto riguarda il nostro Paese non si tratta di ricorrere alla democrazia
cosiddetta partecipativa, ingannevole e illusoria se non addirittura
demagogica, né di ricercare forme ibride in cui il cittadino e il suo
rappresentante siano entrambi solo apparentemente legislatori, come avviene oggi con il referendum,
opportunamente filtrato e pilotato per esigenze di potere. L’istituto
referendario va mantenuto, ma senza condizionamenti di sorta, né relativi
ad un eccessivo numero di richiedenti, né subordinati ad un quorum prestabilito. Neppure si tratta soltanto della democrazia
elettronica del nostro tempo, dove è possibile manifestare rapidamente la
propria volontà, ma con il rischio di decisioni prese per spirito di fazione o
magari senza la dovuta informazione e con scarsa riflessione, ricreando
condizioni di consenso simili a quelle tradizionali. Si tratta invece di
immaginare una forma nuova di espressione democratica in cui ogni cittadino, se
davvero lo desidera, sia messo nella condizione di decidere della cosa
pubblica.
Nel recente Convegno sulle forme della democrazia organizzato
a Roma dal Movimento Roosevelt nei
giorni 8 e 9 Aprile, è emersa l’esigenza di approfondire il dibattito su
soluzioni alternative a quelle dell’attuale democrazia rappresentativa, sempre
più divenuta un guscio vuoto, non più in grado di rappresentare i cittadini nel
nome dei quali riceve la propria legittimità. A tal fine, al termine dei lavori
del convegno, l’Assemblea del movimento ha approvato la formazione di due
gruppi di studio – che potranno essere unificati e in cui confluiranno anche
non iscritti al Movimento Roosevelt – per giungere alla formulazione di una
proposta per ottimizzare e legalizzare gli strumenti digitali di manifestazione
della volontà dei cittadini, nonché per individuare forme concrete di riforma
costituzionale in grado di dare nuovo vigore e nuova legittimità al potere
legislativo di uno stato autenticamente democratico.
sergio magaldi
lunedì 10 aprile 2017
Arnaud Leparmentier sull'Europa, 2 anni dopo...
Maarten de Vos, Il ratto di Europa, 1590 |
Ripropongo di seguito un post di due anni fa che mi sembra conservi ancora una sua attualità.
QUALE FUTURO PER L'EUROPA?
In un interessante articolo pubblicato alla
vigilia delle elezioni amministrative francesi, Arnaud Leparmentier, politologo
e noto editorialista di Le Monde,
riassume in cinque postulati la crisi dell’Europa Unita. Il primo, ormai
decaduto, si basava sulla sostanziale parità di Francia e Germania, gli stati
fondatori, capaci di aggregare alla neonata formazione gli altri stati europei,
in virtù della loro supremazia economica e politica. Venuto meno l’equilibrio
di potere tra le due nazioni, con la caduta del muro di Berlino, la
riunificazione tedesca e il contestuale declino francese dell’era
Chirac-Jospin, la Germania si avviò ad esercitare una leadership incontrastata e
a intrattenere rapporti diretti con gli altri stati membri, bypassando la
Francia.
Il secondo postulato nacque dall’idea che, con
la caduta del muro di Berlino, si sarebbe più facilmente consolidato il
processo di unificazione e affrettata la nascita dell’Europa politica, con i
suoi valori universali e soprattutto con un unico mercato e una sola moneta.
Avvenne esattamente il contrario, con il pullulare in Europa di una miriade di
stati, ognuno con le proprie rivendicazioni.
Il terzo postulato è rappresentato dal fatto
che il crescente benessere europeo dell’ultimo decennio del secolo, in luogo di
determinare tutta una serie di misure per favorire l’unità politica all’interno
del Continente, portò soltanto all’introduzione dell’euro [ma non al mercato unico
e all’unità politica!], con la conseguenza che ci fu un solo vincitore: la
Germania, e tanti perdenti, tra i quali soprattutto i paesi del sud
dell’Europa.
Il quarto postulato, basato sull’idea che la
libera circolazione degli europei avrebbe promosso l’integrazione dei popoli e
l’unificazione politica, non ha dato grandi risultati. E il quinto postulato è
sotto gli occhi di tutti: invece di favorire la nascita di uno stato federale,
si continua a imporre regole che vengono sistematicamente disattese: la Grecia,
l’Inghilterra, la stessa Francia, alla quale viene permesso di
violare gli accordi in tutta tranquillità.
Come si vede, le analisi di Leparmentier non
sono nuove né originali, presentano tuttavia un certo interesse perché
scandiscono, per così dire, le tappe della crisi europea e quelle del primato
tedesco. Va inoltre detto, per la verità, che la sintesi da me presentata è necessariamente
incompleta. Si rimanda pertanto alla lettura integrale dell’articolo. Ma, anche
al lettore più attento non sfuggiranno alcune osservazioni.
Innanzi tutto, si ha l’impressione che
l’autore soffra di rimpianti: il venir meno della parità sostanziale tra il suo
paese e la Germania [Primo postulato], dal quale poi discendono tutti gli altri
postulati. Senza rendersi conto che un vero Stato Europeo Federato poteva
nascere soltanto da un patto sostanzialmente paritetico tra le sei nazioni
fondatrici, che già al momento della fondazione, avessero rinunciato alla
sovranità nazionale, a vantaggio di un parlamento in grado di esprimere il
potere esecutivo, un mercato unico e una sola moneta. Ciò che non avrebbe
impedito la progressiva aggregazione federativa di altri paesi, così come
avvenne per gli Stati Uniti d’America, inizialmente formata solo dall’unione di
tredici stati, rispetto agli attuali cinquanta.
Nel presentare gli altri postulati,
Leparmentier non spiega perché la Germania trasse vantaggio da quello che
chiama “un pullulement de micro-Etats”
[un pullulare di micro-Stati] che fece l’Europa più simile “all’ Impero
austro-ungarico che all’Europa dei Sei”. O meglio, egli lo spiega come diretta
conseguenza della proliferazione di tanti piccoli stati che determinò la
nascita dei “populismi” in aperta ribellione a Bruxelles. A mio giudizio, la
causa degenerativa del sistema comunitario e il contestuale rafforzamento del
primato tedesco non fu dipeso dal cosiddetto populismo, ma dalla caduta del
muro di Berlino e dalla riunificazione tedesca pagata dall’Europa a caro
prezzo, con la remissione del debito tedesco. La Germania unificata si trovò
così spalancate le porte di un immenso mercato divenuto “libero” dopo il crollo
del comunismo nei paesi baltici e in quelli dell’est europeo. Da allora, non
solo l’est, ma tutto il nord del Continente subisce l’egemonia della Germania,
ma in cambio ne beneficia con la crescita produttiva e l’aumentato benessere
dei cittadini. Mentre i paesi del sud dell’Europa [tra i quali Leparmentier
pone non senza dispiacere la Francia] sono condannati ad arrangiarsi per
fronteggiare la globalizzazione selvaggia e il rapace neocapitalismo
finanziario. E come possono? Con le riforme strutturali, la svendita di
risorse, il rigore, l’aumento delle tasse, la decrescita economica e la
relativa disoccupazione.
Rispetto a questa situazione, con più di
un’ambiguità, l’editorialista di Le Monde
pone l’accento sulla “tentation de
François Hollande de créer un front des pays latin” [sulla tentazione di
F.Hollande di creare un fronte dei paesi latini], ma per l’appunto si è
trattato solo di “una tentazione”, perché – aggiungo io – la politica francese,
con più efficacia al tempo di Sarkozy, con vari tentennamenti oggi con
Hollande, ha sempre guardato alla Germania, più che al sud dell’Europa, pur di
mantenere sul resto del Continente una
illusoria posizione di privilegio che, al tempo stesso, le consenta di
infrangere le regole comunitarie sulla spesa e sui bilanci, senza che Merkel e
soci di Bruxelles, per ovvi motivi, abbiano a lamentarsene. E nel futuro sarà
anche peggio, con il probabile ritorno al potere dello stesso Sarkozy, come le
recenti elezioni amministrative fanno presagire.
Leparmentier ha però ragione nell’affermare
che i cinque postulati da lui invocati conducano a una sola conclusione: “L’Europe est dominée par l’Allemagne, dans
un union monétaire qui la favorise” [L’Europa è dominata dalla Germania, in
un’unità monetaria che la favorisce]. Appare invece utopico e vagamente
inquietante allorché afferma che Berlino dovrebbe gestire pienamente la propria
egemonia che implicherebbe – egli dice –
“prise de pouvoir plus forte mais aussi responsabilité et solidarité bien
supérieures” [una presa del potere più forte ma al tempo stesso una
responsabilità e una solidarietà ben superiori]. Ancora più utopistico è poi,
per uscire dalla crisi, l’auspicio di un
salto di qualità nella creazione di un autentico Stato Federale Europeo.
Prospettiva alla quale non sembra credere neppure lui, dal momento che si
rimette alla speranza che il prossimo sei di Maggio, a Firenze, si realizzi un
nuovo rinascimento, con la Déclaration Schuman 2.0 !
“Ottimismo della volontà, pessimismo
dell’intelligenza”? Forse. Ma si può davvero credere che questo grande
“Leviatano” che oggi è l’Europa, possa trasformarsi in un cigno elegante per
effetto di un convegno e di una dichiarazione? Sono più che mai convinto che
l’occasione per creare gli Stati Uniti d’Europa è andata persa oltre mezzo
secolo fa. L’attuale politica dell’Unione Europea, dettata dalla finanza
internazionale e interpretata dall’egemonia tedesca, non lascia prevedere cambi
di marcia a breve scadenza. La stessa realizzazione dei diritti umani
universali è distorta a vantaggio di minoranze, favorite più da motivazioni
economico-politiche, che da reale consapevolezza. Ci vorranno decenni e diversi
mutamenti dello scenario europeo prima che siano possibili reali cambiamenti.
Ma, per allora, ci sarà ancora l’Europa o sarà geneticamente divenuta altro?
sergio magaldi
martedì 4 aprile 2017
CONVEGNO SULLE FORME DELLA DEMOCRAZIA: ROMA 8 e 9 APRILE 2017
ORGANIZZATO DAL MOVIMENTO ROOSEVELT [DIPARTIMENTO CULTURA] SI SVOLGE A ROMA [CASA INTERNAZIONALE DELLA DONNA, VIA DELLA LUNGARA 19 (TRASTEVERE)], NEI GIORNI 8 e 9 APRILE, UN CONVEGNO SULLE FORME DELLA DEMOCRAZIA.
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