Maarten de Vos, Il ratto di Europa, 1590 |
Ripropongo di seguito un post di due anni fa che mi sembra conservi ancora una sua attualità.
QUALE FUTURO PER L'EUROPA?
In un interessante articolo pubblicato alla
vigilia delle elezioni amministrative francesi, Arnaud Leparmentier, politologo
e noto editorialista di Le Monde,
riassume in cinque postulati la crisi dell’Europa Unita. Il primo, ormai
decaduto, si basava sulla sostanziale parità di Francia e Germania, gli stati
fondatori, capaci di aggregare alla neonata formazione gli altri stati europei,
in virtù della loro supremazia economica e politica. Venuto meno l’equilibrio
di potere tra le due nazioni, con la caduta del muro di Berlino, la
riunificazione tedesca e il contestuale declino francese dell’era
Chirac-Jospin, la Germania si avviò ad esercitare una leadership incontrastata e
a intrattenere rapporti diretti con gli altri stati membri, bypassando la
Francia.
Il secondo postulato nacque dall’idea che, con
la caduta del muro di Berlino, si sarebbe più facilmente consolidato il
processo di unificazione e affrettata la nascita dell’Europa politica, con i
suoi valori universali e soprattutto con un unico mercato e una sola moneta.
Avvenne esattamente il contrario, con il pullulare in Europa di una miriade di
stati, ognuno con le proprie rivendicazioni.
Il terzo postulato è rappresentato dal fatto
che il crescente benessere europeo dell’ultimo decennio del secolo, in luogo di
determinare tutta una serie di misure per favorire l’unità politica all’interno
del Continente, portò soltanto all’introduzione dell’euro [ma non al mercato unico
e all’unità politica!], con la conseguenza che ci fu un solo vincitore: la
Germania, e tanti perdenti, tra i quali soprattutto i paesi del sud
dell’Europa.
Il quarto postulato, basato sull’idea che la
libera circolazione degli europei avrebbe promosso l’integrazione dei popoli e
l’unificazione politica, non ha dato grandi risultati. E il quinto postulato è
sotto gli occhi di tutti: invece di favorire la nascita di uno stato federale,
si continua a imporre regole che vengono sistematicamente disattese: la Grecia,
l’Inghilterra, la stessa Francia, alla quale viene permesso di
violare gli accordi in tutta tranquillità.
Come si vede, le analisi di Leparmentier non
sono nuove né originali, presentano tuttavia un certo interesse perché
scandiscono, per così dire, le tappe della crisi europea e quelle del primato
tedesco. Va inoltre detto, per la verità, che la sintesi da me presentata è necessariamente
incompleta. Si rimanda pertanto alla lettura integrale dell’articolo. Ma, anche
al lettore più attento non sfuggiranno alcune osservazioni.
Innanzi tutto, si ha l’impressione che
l’autore soffra di rimpianti: il venir meno della parità sostanziale tra il suo
paese e la Germania [Primo postulato], dal quale poi discendono tutti gli altri
postulati. Senza rendersi conto che un vero Stato Europeo Federato poteva
nascere soltanto da un patto sostanzialmente paritetico tra le sei nazioni
fondatrici, che già al momento della fondazione, avessero rinunciato alla
sovranità nazionale, a vantaggio di un parlamento in grado di esprimere il
potere esecutivo, un mercato unico e una sola moneta. Ciò che non avrebbe
impedito la progressiva aggregazione federativa di altri paesi, così come
avvenne per gli Stati Uniti d’America, inizialmente formata solo dall’unione di
tredici stati, rispetto agli attuali cinquanta.
Nel presentare gli altri postulati,
Leparmentier non spiega perché la Germania trasse vantaggio da quello che
chiama “un pullulement de micro-Etats”
[un pullulare di micro-Stati] che fece l’Europa più simile “all’ Impero
austro-ungarico che all’Europa dei Sei”. O meglio, egli lo spiega come diretta
conseguenza della proliferazione di tanti piccoli stati che determinò la
nascita dei “populismi” in aperta ribellione a Bruxelles. A mio giudizio, la
causa degenerativa del sistema comunitario e il contestuale rafforzamento del
primato tedesco non fu dipeso dal cosiddetto populismo, ma dalla caduta del
muro di Berlino e dalla riunificazione tedesca pagata dall’Europa a caro
prezzo, con la remissione del debito tedesco. La Germania unificata si trovò
così spalancate le porte di un immenso mercato divenuto “libero” dopo il crollo
del comunismo nei paesi baltici e in quelli dell’est europeo. Da allora, non
solo l’est, ma tutto il nord del Continente subisce l’egemonia della Germania,
ma in cambio ne beneficia con la crescita produttiva e l’aumentato benessere
dei cittadini. Mentre i paesi del sud dell’Europa [tra i quali Leparmentier
pone non senza dispiacere la Francia] sono condannati ad arrangiarsi per
fronteggiare la globalizzazione selvaggia e il rapace neocapitalismo
finanziario. E come possono? Con le riforme strutturali, la svendita di
risorse, il rigore, l’aumento delle tasse, la decrescita economica e la
relativa disoccupazione.
Rispetto a questa situazione, con più di
un’ambiguità, l’editorialista di Le Monde
pone l’accento sulla “tentation de
François Hollande de créer un front des pays latin” [sulla tentazione di
F.Hollande di creare un fronte dei paesi latini], ma per l’appunto si è
trattato solo di “una tentazione”, perché – aggiungo io – la politica francese,
con più efficacia al tempo di Sarkozy, con vari tentennamenti oggi con
Hollande, ha sempre guardato alla Germania, più che al sud dell’Europa, pur di
mantenere sul resto del Continente una
illusoria posizione di privilegio che, al tempo stesso, le consenta di
infrangere le regole comunitarie sulla spesa e sui bilanci, senza che Merkel e
soci di Bruxelles, per ovvi motivi, abbiano a lamentarsene. E nel futuro sarà
anche peggio, con il probabile ritorno al potere dello stesso Sarkozy, come le
recenti elezioni amministrative fanno presagire.
Leparmentier ha però ragione nell’affermare
che i cinque postulati da lui invocati conducano a una sola conclusione: “L’Europe est dominée par l’Allemagne, dans
un union monétaire qui la favorise” [L’Europa è dominata dalla Germania, in
un’unità monetaria che la favorisce]. Appare invece utopico e vagamente
inquietante allorché afferma che Berlino dovrebbe gestire pienamente la propria
egemonia che implicherebbe – egli dice –
“prise de pouvoir plus forte mais aussi responsabilité et solidarité bien
supérieures” [una presa del potere più forte ma al tempo stesso una
responsabilità e una solidarietà ben superiori]. Ancora più utopistico è poi,
per uscire dalla crisi, l’auspicio di un
salto di qualità nella creazione di un autentico Stato Federale Europeo.
Prospettiva alla quale non sembra credere neppure lui, dal momento che si
rimette alla speranza che il prossimo sei di Maggio, a Firenze, si realizzi un
nuovo rinascimento, con la Déclaration Schuman 2.0 !
“Ottimismo della volontà, pessimismo
dell’intelligenza”? Forse. Ma si può davvero credere che questo grande
“Leviatano” che oggi è l’Europa, possa trasformarsi in un cigno elegante per
effetto di un convegno e di una dichiarazione? Sono più che mai convinto che
l’occasione per creare gli Stati Uniti d’Europa è andata persa oltre mezzo
secolo fa. L’attuale politica dell’Unione Europea, dettata dalla finanza
internazionale e interpretata dall’egemonia tedesca, non lascia prevedere cambi
di marcia a breve scadenza. La stessa realizzazione dei diritti umani
universali è distorta a vantaggio di minoranze, favorite più da motivazioni
economico-politiche, che da reale consapevolezza. Ci vorranno decenni e diversi
mutamenti dello scenario europeo prima che siano possibili reali cambiamenti.
Ma, per allora, ci sarà ancora l’Europa o sarà geneticamente divenuta altro?
sergio magaldi
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