lunedì 10 aprile 2017

Arnaud Leparmentier sull'Europa, 2 anni dopo...

Maarten de Vos, Il ratto di Europa, 1590



 Ripropongo di seguito un post di due anni fa che mi sembra conservi ancora una sua attualità.

 QUALE FUTURO PER L'EUROPA?










 In un interessante articolo pubblicato alla vigilia delle elezioni amministrative francesi, Arnaud Leparmentier, politologo e noto editorialista di Le Monde, riassume in cinque postulati la crisi dell’Europa Unita. Il primo, ormai decaduto, si basava sulla sostanziale parità di Francia e Germania, gli stati fondatori, capaci di aggregare alla neonata formazione gli altri stati europei, in virtù della loro supremazia economica e politica. Venuto meno l’equilibrio di potere tra le due nazioni, con la caduta del muro di Berlino, la riunificazione tedesca e il contestuale declino francese dell’era Chirac-Jospin, la Germania si avviò ad esercitare una leadership incontrastata e a intrattenere rapporti diretti con gli altri stati membri, bypassando la Francia.
 Il secondo postulato nacque dall’idea che, con la caduta del muro di Berlino, si sarebbe più facilmente consolidato il processo di unificazione e affrettata la nascita dell’Europa politica, con i suoi valori universali e soprattutto con un unico mercato e una sola moneta. Avvenne esattamente il contrario, con il pullulare in Europa di una miriade di stati, ognuno con le proprie rivendicazioni.
 Il terzo postulato è rappresentato dal fatto che il crescente benessere europeo dell’ultimo decennio del secolo, in luogo di determinare tutta una serie di misure per favorire l’unità politica all’interno del Continente, portò soltanto all’introduzione dell’euro [ma non al mercato unico e all’unità politica!], con la conseguenza che ci fu un solo vincitore: la Germania, e tanti perdenti, tra i quali soprattutto i paesi del sud dell’Europa.
 Il quarto postulato, basato sull’idea che la libera circolazione degli europei avrebbe promosso l’integrazione dei popoli e l’unificazione politica, non ha dato grandi risultati. E il quinto postulato è sotto gli occhi di tutti: invece di favorire la nascita di uno stato federale, si continua a imporre regole che vengono sistematicamente disattese: la Grecia, l’Inghilterra, la stessa Francia, alla quale viene permesso di violare gli accordi in tutta tranquillità.



 Come si vede, le analisi di Leparmentier non sono nuove né originali, presentano tuttavia un certo interesse perché scandiscono, per così dire, le tappe della crisi europea e quelle del primato tedesco. Va inoltre detto, per la verità, che la sintesi  da me presentata è necessariamente incompleta. Si rimanda pertanto alla lettura integrale dell’articolo. Ma, anche al lettore più attento non sfuggiranno alcune osservazioni.
 Innanzi tutto, si ha l’impressione che l’autore soffra di rimpianti: il venir meno della parità sostanziale tra il suo paese e la Germania [Primo postulato], dal quale poi discendono tutti gli altri postulati. Senza rendersi conto che un vero Stato Europeo Federato poteva nascere soltanto da un patto sostanzialmente paritetico tra le sei nazioni fondatrici, che già al momento della fondazione, avessero rinunciato alla sovranità nazionale, a vantaggio di un parlamento in grado di esprimere il potere esecutivo, un mercato unico e una sola moneta. Ciò che non avrebbe impedito la progressiva aggregazione federativa di altri paesi, così come avvenne per gli Stati Uniti d’America, inizialmente formata solo dall’unione di tredici stati, rispetto agli attuali cinquanta.
 Nel presentare gli altri postulati, Leparmentier non spiega perché la Germania trasse vantaggio da quello che chiama “un pullulement de micro-Etats” [un pullulare di micro-Stati] che fece l’Europa più simile “all’ Impero austro-ungarico che all’Europa dei Sei”. O meglio, egli lo spiega come diretta conseguenza della proliferazione di tanti piccoli stati che determinò la nascita dei “populismi” in aperta ribellione a Bruxelles. A mio giudizio, la causa degenerativa del sistema comunitario e il contestuale rafforzamento del primato tedesco non fu dipeso dal cosiddetto populismo, ma dalla caduta del muro di Berlino e dalla riunificazione tedesca pagata dall’Europa a caro prezzo, con la remissione del debito tedesco. La Germania unificata si trovò così spalancate le porte di un immenso mercato divenuto “libero” dopo il crollo del comunismo nei paesi baltici e in quelli dell’est europeo. Da allora, non solo l’est, ma tutto il nord del Continente subisce l’egemonia della Germania, ma in cambio ne beneficia con la crescita produttiva e l’aumentato benessere dei cittadini. Mentre i paesi del sud dell’Europa [tra i quali Leparmentier pone non senza dispiacere la Francia] sono condannati ad arrangiarsi per fronteggiare la globalizzazione selvaggia e il rapace neocapitalismo finanziario. E come possono? Con le riforme strutturali, la svendita di risorse, il rigore, l’aumento delle tasse, la decrescita economica e la relativa disoccupazione.
 Rispetto a questa situazione, con più di un’ambiguità, l’editorialista di Le Monde pone l’accento sulla “tentation de François Hollande de créer un front des pays latin” [sulla tentazione di F.Hollande di creare un fronte dei paesi latini], ma per l’appunto si è trattato solo di “una tentazione”, perché – aggiungo io – la politica francese, con più efficacia al tempo di Sarkozy, con vari tentennamenti oggi con Hollande, ha sempre guardato alla Germania, più che al sud dell’Europa, pur di mantenere  sul resto del Continente una illusoria posizione di privilegio che, al tempo stesso, le consenta di infrangere le regole comunitarie sulla spesa e sui bilanci, senza che Merkel e soci di Bruxelles, per ovvi motivi, abbiano a lamentarsene. E nel futuro sarà anche peggio, con il probabile ritorno al potere dello stesso Sarkozy, come le recenti elezioni amministrative fanno presagire.
 Leparmentier ha però ragione nell’affermare che i cinque postulati da lui invocati conducano a una sola conclusione: “L’Europe est dominée par l’Allemagne, dans un union monétaire qui la favorise” [L’Europa è dominata dalla Germania, in un’unità monetaria che la favorisce]. Appare invece utopico e vagamente inquietante allorché afferma che Berlino dovrebbe gestire pienamente la propria egemonia che implicherebbe – egli dice – “prise de pouvoir plus forte mais aussi responsabilité et solidarité bien supérieures” [una presa del potere più forte ma al tempo stesso una responsabilità e una solidarietà ben superiori]. Ancora più utopistico è poi, per uscire dalla crisi,  l’auspicio di un salto di qualità nella creazione di un autentico Stato Federale Europeo. Prospettiva alla quale non sembra credere neppure lui, dal momento che si rimette alla speranza che il prossimo sei di Maggio, a Firenze, si realizzi un nuovo rinascimento, con la Déclaration Schuman 2.0 ! 
 “Ottimismo della volontà, pessimismo dell’intelligenza”? Forse. Ma si può davvero credere che questo grande “Leviatano” che oggi è l’Europa, possa trasformarsi in un cigno elegante per effetto di un convegno e di una dichiarazione? Sono più che mai convinto che l’occasione per creare gli Stati Uniti d’Europa è andata persa oltre mezzo secolo fa. L’attuale politica dell’Unione Europea, dettata dalla finanza internazionale e interpretata dall’egemonia tedesca, non lascia prevedere cambi di marcia a breve scadenza. La stessa realizzazione dei diritti umani universali è distorta a vantaggio di minoranze, favorite più da motivazioni economico-politiche, che da reale consapevolezza. Ci vorranno decenni e diversi mutamenti dello scenario europeo prima che siano possibili reali cambiamenti. Ma, per allora, ci sarà ancora l’Europa o sarà geneticamente divenuta altro?

sergio magaldi

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