Nel
bel mezzo della campagna elettorale – sempre più “Festival della partitocrazia”
e sempre meno esercizio di democrazia – la politica riscopre se stessa in un
sussulto d’orgoglio, dopo essere stata costretta a chinare la testa di fronte
all’assalto mediatico [già rientrato nel nulla] dell’antipolitica e a lasciare
momentaneamente il campo libero al cosiddetto governo dei tecnici.
In assenza di programmi e di idee, si fa un
gran parlare in questi giorni del Redditometro che avrebbe la funzione sociale di
stanare gli evasori, consentendo così per ogni euro recuperato, di diminuirne
uno di tasse, secondo il fiero proposito dei soliti saggi che governano o
aspirano a governare il Paese. Manco a dirlo, la diminuzione delle tasse
avrebbe come effetto l’aumento dei consumi da parte dei cittadini, con la fine
della recessione e l’inizio di una nuova crescita del prodotto interno lordo
[P.I.L.]. In altre parole, l’istituzione del Redditometro, che entrerà in
vigore da Marzo, sarà la vera panacea per curare tutti i mali dell’economia
italiana. D’altra parte, nel vuoto metafisico di questa campagna elettorale –
fatta come sempre di chiacchiere inutili e di denaro pubblico che serve ad
organizzare banchetti elettorali, stampare manifesti, pagare circuiti mediatici,
rimpinguare le casse dei partiti del denaro investito all’estero, speso
malamente e/o semplicemente rubato da singoli e disinvolti amministratori – la
questione non è di poco conto, perché diventa la cifra per distinguere tra
destra sinistra e centro, di cui altrimenti l’elettore faticherebbe a cogliere
le differenze.
Il centro difende il nuovo istituto e
dichiara, così come ha già fatto per l’IMU, che non è provvedimento del governo
Monti, ma ereditato e che comunque va accettato perché assicura maggiore
giustizia ed equità sociale, e può rappresentare davvero la panacea di cui si
diceva sopra. Naturalmente va utilizzato secondo l’equilibrio che solo un
governo di centro è in grado di garantire. Senza accertamenti di massa, ma con
provvedimenti mirati a far emergere “il sommerso”. Il nuovo centro
contraddice così, almeno a parole, la politica che nel secolo scorso ha
caratterizzato un altro centro ben noto agli italiani, quello democratico-cristiano.
Stato e partito insieme, la vecchia DC ha
governato per quasi cinquant’anni un Paese che dell’evasione fiscale elevata
a sistema aveva fatto la propria bandiera. Un sistema che dette i suoi
frutti perché, in cambio di un forte e sempre più accentuato controllo pubblico
sull’economia e di scarsi servizi sociali, generò il capitale esentasse
e gli investimenti privati, consentendo alle imprese, alle corporazioni di
arti, professioni e mestieri, agli istituti ecclesiastici con finalità
commerciali, ai bottegai e ai mercanti più furbi di espandersi a dismisura, facendo
nel tempo dell’Italia il primo paese in Europa quanto a risparmio e ricchezza
privata, l’ultimo quanto a debito pubblico e differenze socio-economiche tra i
cittadini. Ne nacque un popolo di evasori fiscali o di cittadini con
redditi da terzo o quarto mondo, a seconda dei punti di vista con cui si
riguardi il fenomeno, ove si consideri che a dichiarare redditi superiori ai
100.000 Euro è oggi poco più dell’un per cento degli italiani. Ecco
spiegato perché a pagare le tasse sono sempre e soltanto i redditi fissi.
Lo schema sociale ormai consolidato è
semplice: da una parte i ceti privilegiati, tra i quali sono da annoverare
anche politici e boiardi di stato, dall’altra la massa dei salariati a reddito
fisso ai quali viene impedito di evadere perché tassati alla fonte e che
una volta si arrangiavano con un secondo lavoro in nero. Naturalmente
quando il lavoro c’era e non come oggi che il lavoro manca per tutti.
Va detto, tuttavia, che, in questo contesto
sociale, dove l’accaparramento individuale è ed è sempre stato la
regola, non mancò mai, per paradosso solo apparente e grazie al conforto
dell’opposizione più grande che si sia mai conosciuta in Europa, una gestione
statalistica e burocratica del potere, unitamente a politiche di concreta solidarietà
sociale, pagate a caro prezzo dalla classe media, destinata sempre più a
proletarizzarsi. Persino l’imposta progressiva, giusta in sé, e vero e
proprio fiore all’occhiello delle politiche della sinistra, contribuì a scavare
il fossato delle differenze socio-economiche, perché – come avviene anche oggi
con l’IMU – andò a colpire i soliti noti al Fisco, lasciando
indisturbati non solo e non tanto i soliti ignoti, ma coloro che
le tasse le pagano al massimo sul dieci o venti per cento del proprio reddito,
che sono arcinoti e che oggi sono sempre meno gli imprenditori oberati
di tasse, fiaccati dalla concorrenza sleale e da una politica governativa miope
e asservita al capitale finanziario e all’ideologia tedesca.
Da questo punto di vista, dunque, il ruolo del
nuovo centro di Monti appare rivoluzionario perché punta a stanare
l’evasione fiscale. Intenzione nobile che fa il paio con le proposte della nuova
sinistra, sua probabile compagna di viaggio nel prossimo governo: A) Imposta
progressiva dell’IMU sulla prima casa, con riduzione per i redditi
più bassi, compensati dall’aumento della tassazione su quelli più alti, per una
misura parzialmente ispirata ad un provvedimento già preso in passato dal
governo Prodi, quando ci dissero che la tassa sulla prima casa era stato
abolita e nessuno se ne era accorto! B) Patrimoniale sugli immobili, non
sui redditi [forse perché si ha scarsa fiducia nel Redditometro] e che
inevitabilmente, per produrre un consistente gettito, graverà su chi possiede
una casa o al massimo due, insomma per intenderci una sorta di doppia IMU!
C) Accettazione incondizionata del pareggio di bilancio già da
quest’anno, provvedimento che del resto
la nuova sinistra ha votato in Parlamento e che comporterà, subito dopo
le elezioni, manovre aggiuntive e altre tasse.
Basteranno le Quattro Misure [Redditometro e punti A-B-C] del prossimo
governo di centro-sinistra ad avviare la ripresa dell’economia italiana? A
stanare l’evasione fiscale che a giudizio del Presidente dell’Istat è
anche la causa dei mancati investimenti degli operatori internazionali in
Italia e dunque della costante diminuzione di produttività? Ragionamento che
non fa una piega. Chi vorrebbe investire sapendo di subire la concorrenza
sleale di chi non paga le tasse? Sapendo – aggiungo io – di dover sottostare nello stesso tempo ad
una delle tassazioni tra le più elevate d’Europa, alle vessazioni di una
burocrazia corrotta e scarsamente efficiente e ad una riforma del sistema
giudiziario sempre annunciata e mai realizzata?
Insomma, le domande sono: 1) Il Redditometro,
nella forma soft resa nota da Mario Monti negli ultimi giorni – dopo le
tante levate di scudo di politici preoccupati delle sorti elettorali dei
partiti che rappresentano – è davvero la chiave di volta per spalancare la
porta oltre la quale si nasconde la massiccia evasione fiscale che per
oltre sessant’anni è stata a fondamento della Repubblica e sulla
quale i ceti privilegiati hanno costruito la propria ricchezza? [La stima
dell’evasione, calcolata per difetto, è di ben 120 miliardi di Euro, annui]. Il
Redditometro soft [ma soft per chi?] rappresenta davvero l’arma
segreta e letale – dopo tanti proclami e tante inutili battaglie – con cui
abbattere l’evasione e lanciare la ripresa? 2) C’è soluzione di
continuità con il passato sulla politica fiscale del nostro Paese? Il nuovo
centro e la nuova sinistra stanno davvero per imboccare una strada nuova
e diversa oppure l’istituto che diverrà esecutivo tra meno di due
mesi è solo uno spaventapasseri che al massimo fungerà da deterrente nei
confronti dei soggetti più deboli?
Domande intriganti ma alle quali non è
difficile dare una risposta plausibile. Si crede davvero o si fa finta di
credere che cittadini appartenenti in diversa misura alle categorie del
privilegio e che per più di mezzo secolo hanno nascosto le entrate effettive
siano disposti a rendere note le proprie spese? Nel migliore dei casi il
Redditometro servirà a ridurre gli acquisti personali e/o ad occultarli
attraverso lo schermo aziendale. I consumi ufficiali diminuiranno
ulteriormente. Recessione, disoccupazione, esportazione di capitali all’estero
aumenteranno e la crisi sarà totale!
E la destra, che sembra averne la
paternità, che ne pensa del Redditometro? Ora che non serve più a gettare fumo
negli occhi, lo disconosce, non tanto temendone le conseguenze, ma soltanto
perché ad usarlo strumentalmente sono gli avversari politici. La destra o
almeno la destra di governo o sedicente partito dei moderati che
ha guidato il Paese negli ultimi anni, non ha maggiore interesse del centro e
della sinistra a colpire l’evasione fiscale e il perché non è difficile da
comprendere. Il suo mestiere, pur con qualche venatura di populismo, è sempre
stato la difesa delle corporazioni e dei privilegi acquisiti, il mantenimento
dello status quo, l’irriducibile avversione contro il concetto di
imposta progressiva e contro le tasse in genere, salvo che a pagarle non siano
i redditi fissi, i ceti considerati garantiti dallo Stato, dunque politicamente
infidi e da mungere. Con la fine dell’ideologia, la vera distinzione tra destra
e sinistra s’è giocata proprio sulle tasse: esecrate a parole
dalla destra, elevate a monumento dalla sinistra che le ha sempre considerate
strumento di governo per colpire il ceto cosiddetto parassitario dei
proprietari di immobili. Così facendo, la sinistra non s’è accorta o ha fatto
finta di non accorgersi di consegnare la classe piccola e media, suo potenziale
alleato, al centro che, per oltre sessant’anni, in un modo o nell’altro
è riuscito a governare mediando tra destra e sinistra, continuando a garantire
l’evasione fiscale dei ceti privilegiati e delle corporazioni, ma al tempo
stesso, innalzando il livello di tassazione ben oltre il cinquanta per cento
dei redditi accertabili, per sostenere la spesa pubblica e acquisire consensi. E ora che le casse
dello Stato sono praticamente vuote, prosciugate dalle ruberie, dagli sprechi e
dall’ingordigia della politica, ecco il nuovo centro riesumare il
Redditometro, strumento già in passato miseramente fallito ma al quale si chiede
di rinnovare l’illusione che si stia facendo sul serio.
In conclusione, dunque, destra, sinistra
e centro non vogliono che la stessa cosa: perpetuare all’infinito un regime
fondato sull’evasione fiscale elevata a sistema, e se le conseguenza
sarà la totale proletarizzazione dei ceti piccoli e medi, poco male, perché
sarà fatta la volontà dell’oligarchia finanziaria internazionale e dei suoi
manutengoli politici, tedeschi o filotedeschi, che governano l’Europa.
Il Redditometro, dunque, è poco più di uno
scherzo di Carnevale [anche se non tarderà a mietere vittime come al solito
tra i ceti più deboli] e non bisogna averne paura, come ha osservato
sapientemente e di recente il leader della sinistra e come ha ribadito il suo
propugnatore e alfiere del nuovo centro, perché non modificherà di una
virgola il sistema tributario italiano. E c’è da credergli, perché l’unica
misura capace di colpire l’evasione fiscale è quella in uso negli Stati Uniti e
nella sempre ammirata e invidiata Germania degli italiani: il controllo delle
fatture incrociate e la possibilità di detrazioni fiscali per il consumatore,
con il duplice risultato di stanare l’evasione fiscale e di ridurre le tasse
per i cittadini. Non la si vuole, perché si dice che sia complicata da
realizzare [più del Redditometro?!], mentre si tace che rivoluzionerebbe il
costume degli italiani, con conseguenze imprevedibili per la sopravvivenza
delle corporazioni e per i signori della politica che sarebbero costretti,
questa volta e per davvero, ad abbattere privilegi non più tollerabili da parte
di chi, dopo sessant’anni, si vedesse costretto a pagare il dovuto. E così, per
evitare che nulla cambi in questo Paese, si sono preferiti nel recente passato
gli spot televisivi, pagati dal contribuente, contro i cosiddetti parassiti
sociali che evadono le tasse. Una misura ridicola e dispendiosa che fa il paio
con quella adottata oggi con il Redditometro, la nuova maschera del carnevale
permanente della politica italiana.
sergio magaldi