La Migliore Offerta [The Best Offer], film di Giuseppe Tornatore, Warner Bros, Italia, 2012-2013, durata: 124 minuti. |
“Se esiste un potere oscuro e ostile che immette a
tradimento un filo nel nostro cuore col quale poi ci afferra e ci trascina su
una via pericolosa e mortale che altrimenti non avremmo battuto… se un potere
siffatto esiste, deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, deve anzi
diventare il nostro io: soltanto così infatti possiamo crederci e concedergli
quello spazio di cui ha bisogno per compiere quell’opera segreta”.
È
il brano di una lettera di Clara, il personaggio di un noto racconto di E.T.A.
Hoffman, “L’uomo della sabbia” [1815] che fa parte dei Notturni di Callot.
Ben si adatta per introdurci nel clima gotico-romantico del nuovo film di
Tornatore, nel quale non manca anche una nana che sembra una bambola meccanica
e che si rivela come una piccola rotella nell’ingranaggio dell’intera vicenda.
Lavoro pregevole ed elegante, La migliore
offerta di Giuseppe Tornatore ha spessore europeo e induce a riflettere sui
sentimenti e sulle nevrosi presenti nell’animo umano, benché utilizzi a piene
mani strumenti già noti e lasci intuire il finale del film con largo
anticipo.
Virgil Oldman [Geoffrey Rush], come
dice il suo cognome, è un uomo non più giovane, battitore d’asta di fama
internazionale, eccezionale intenditore d’arte e collezionista di ritratti
femminili di grande valore commerciale, che riesce a procurarsi grazie al fiuto
di cui dispone e alla complicità dell’amico Billy [Donald Sutherland].
Volti di donna che per lui hanno prima di tutto grande valenza affettiva. Per
la verità, egli colleziona anche guanti o meglio ne possiede per proprio uso e
consumo in quantità industriale, perché non riesce a toccare gli altri e le
cose a mani nude…
Non è difficile utilizzare per Virgil la
categoria del “perturbante”, cui Freud dedicò un saggio nel 1919, Das
Unheimliche, che in tedesco significa non confortevole, non familiare,
perturbante appunto, dalla negazione Un e da Heimliche [Heim=casa]
che significa confortevole, familiare. In Filosofia della Mitologia
[1846], Schelling definì Unheimliche “Tutto ciò che potrebbe
restare segreto, nascosto e che invece è affiorato” [Ed. it., Milano, Mursia 1990, p.474].
Entrambi i significati si ritrovano nella vita e nella psiche del protagonista
del film di Tornatore. Veniamo infatti a sapere che Virgil è cresciuto in un
orfanatrofio e indoviniamo che la grande sala-cassaforte, in cui egli gode in
segreto di ritratti femminili d’ogni epoca, assumerà presto nel racconto un significato
che trascende la dimensione intimistica.
Nel saggio, Freud accenna tra l’altro proprio all’Uomo della sabbia
di E.T.A. Hoffman e individua nelle “rappresentazioni e imitazioni artistiche”
l’unica forma di perturbazione o di spaseamento capace di
suscitare angoscia ma anche “godimento elevatissimo”. A tale proposito, poco
importa sapere che Virgil ha acquisito interesse e competenza per l’arte grazie
ad un antiquario causalmente incontrato durante l’infanzia. Il fattore
infantile come fonte primigenia del “perturbante” e causa della scissione
tra principio del piacere e principio di realtà, trova in lui compensazione
nell’amore per l’arte e nel godimento delle rappresentazioni artistiche, vere o
false che siano.
La misoginia di Virgil è solo apparente. Egli
si nutre della bellezza femminile ma rinuncia alle donne in carne e ossa perché
in lui è scisso sin dall’infanzia il binomio piacere-realtà. Quando però
una giovane donna, che immagina bella come quelle che contempla attraverso i
ritratti della sua camera segreta, entra casualmente[?!] nella sua vita, si
compie in lui la metamorfosi che tuttavia non è ancora guarigione. Occorrerà
che la donna gli si manifesti in forma misteriosa e non visibile, che possa
ascoltarne la voce senza vederla e che infine possa contemplarla nella sua
bellezza senza esserne visto, ricorrendo ad un piccolo stratagemma suggeritogli
da Robert [Jim Sturgess], il giovane e valente meccanico, come lui
appassionato di automi e di robot e che, grazie ai pezzi e agli ingranaggi che
Virgil rintraccia poco a poco nella misteriosa villa di Claire, ricostruirà per
lui l’automa di Vaucanson, il geniale inventore meccanico vissuto nel XVIII
secolo.
Come il Nataniele del racconto di Hoffman,
che s’innamora di Olimpia, una bambola meccanica, e poi di Clara, una donna in
carne e ossa, Virgil divide ora la sua anima tra il robot di Vaucanson e le
sembianze di Claire [una Sylvia Hoeks non del tutto convincente]. Ma la
donna, proprio come lui soffre di una rara forma del “perturbante”: l’agorafobia
che dall’infanzia la costringe in una stanza segreta della sua villa ricca di
vaste sale, quadri e mobili antichi.
Nel vicendevole aiuto che Virgil e Claire si
scambiano, nella complicità e nel mistero dell’innamoramento, si compie il
miracolo della reciproca guarigione: lui imparerà finalmente ad amare una donna
di carne e sangue, lei tornerà poco a poco a frequentare le piazze e le strade
affollate.
Virgil si muove ora in un universo nuovo ma che non avverte più come Unheimicle
“perturbante” o poco familiare, così com’è avvenuto durante tutta la sua vita.
E la spiegazione di questo sentirsi a suo agio è nel paradosso che gli fornisce
l’amico Billy, quando lo avverte che i sentimenti umani si possono simulare
come le opere d’arte e che vivere con
una donna è come partecipare ad un’asta, perché non sai mai se la tua offerta
sarà la più alta. Virgil sa bene per esperienza che in ogni falso artistico si
nasconde sempre qualcosa di autentico e che la migliore offerta in
un’asta è quella di cui non si può mai essere sicuri. E sono proprio queste
consapevolezze a indurlo a rischiare in amore tutto se stesso, così come per
tanti anni ha fatto con successo in campo artistico.
Forse Virgil non è del tutto guarito, forse
ha confuso l’amore con l’arte, ma una cosa è certa: il feticismo estetico –
che lo portava a contemplare ritratti di donna, pago solo di cogliere l’anima
che l’artista aveva saputo imprimere sulla tela – si muta in romanticismo, ora
che la magia dell’amore si è dispiegata in lui in tutta la sua potenza. Chi
parlerebbe ancora del “perturbante” in Virgil, nella finzione di un incontro
con Claire in una dimensione reale, come può esserlo la Staromestská Namesti
di Praga o un Caffè adiacente alla piazza? Chi, innamorato, non ha creduto per
qualche attimo di veder comparire all’improvviso la persona amata in un luogo
consueto o solo vagheggiato da entrambi? Chi, amando, non ha sperato di vederla
arrivare, anche in mancanza di un appuntamento?
sergio magaldi
bellissimo spunto per una "tesina" della mia prossima quinta liceo, grazie per questo utilissimo articolo!
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