Uno dei miti femminili, più
antico e significativo ancorché poco conosciuto, è quello della dea ittita Kubaba che dalle sponde dell’Eufrate
trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In
nessun caso Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani,
la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di rivestire un principio più arcaico e primordiale.
Cibele è la natura naturante nel
momento del Caos, quando il
principio creativo che è in lei non l’ha ancora trasformata in natura naturata.
Grande Madre degli
dei, Cibele aveva il suo culto più noto in Frigia, nei pressi di Pessinunte, su
una scogliera deserta chiamata Agdos.
Era simboleggiata da una pietra nera, rappresentando la totalità
primordiale della Natura, l’unità indistinta e caotica di maschio e femmina. In
questa forma, pare fosse caduta dal cielo e il suo culto segreto si celebrava
nelle viscere delle montagne, in grotte o nicchie scavate nella roccia.
Attis o Atti discendente da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria polarità sessuale maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze sopraggiunse sua madre Cibele, nella veste maschile e violenta di Agdìstis. Al suono della siringa di Pan, la dea provocò la follia degli invitati e dello stesso Attis che, come racconta Ovidio, si evirò sotto un pino[1], assumendone la forma e tornando così all’androginia originaria e primordiale.
Il culto della pietra nera
ha origini remote, risalendo addirittura alle civiltà megalitiche e
all’adorazione del menhir, la roccia
conficcata nel ventre della terra. Collocata in una nicchia di uno degli angoli
della Ka’ba, l’edificio cubico della
Mecca, sacro all’Islam, la pietra nera
è tutt’ora oggetto di venerazione da parte dei musulmani. Il suo culto esisteva
già in epoca preislamica, ma fu Maometto a sottrarla all’idolatria e a farne,
sulla scia della tradizione abramitica, la pietra di fondamento della casa di
Dio.
Nell’ Antico e nel Nuovo Testamento si fa spesso
riferimento a una pietra la cui funzione è di stabilire un
collegamento tra terra e cielo, tra uomo e Dio. L’esempio più noto è il sogno
di Giacobbe nel quale, su una scala poggiata a terra e la cui cima raggiunge il
cielo, scendono e salgono gli angeli di Dio [2].
Il guanciale su cui Giacobbe riposa è una pietra che al risveglio sarà da lui
eretta in stele e chiamata Bet – El (Casa di Dio) [3].
E Dio stesso domanda a Giobbe: sai tu su
che si fonda la terra, chi ha posto la sua prima pietra? [4]
Il tema della pietra ricorre in tutti i Vangeli: su una pietra immortale e, in apparenza di poco
valore, Cristo fonda la sua chiesa [5]
e nella Lettera agli Efesini,
rivolgendosi a ebrei e pagani, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale [6].
Né di minore importanza è, nell’antichità romana, il lapis niger, collocato accanto al Mundus, la fossa scavata da Romolo
all’atto della fondazione di Roma. E, in età medievale, la ricerca del Graal,
la coppa che non è una coppa, si fonde spesso con quella del lapis exilis o lapis ex coelis, la pietra caduta dal cielo, e lo stesso nome di re
Artù (art nella lingua dei celti
significa ‘roccia’) sembra collegarsi alla pietra.
C’è poi una pietra di cui si parla sin dall’antichità in tutte le tradizioni e la cui virtù consiste nel trasformare in argento e oro i metalli vili. E’ la pietra filosofale degli alchimisti e la sua nerezza mostra che il processo di trasformazione è possibile anche se è appena iniziato. Questa pietra, che non è una pietra, esiste in natura nel caos degli elementi che la compongono e il primo compito dell’alchimista consiste nell’individuare, separandoli, sale, mercurio e zolfo, come altrettanti simboli del corpo, dell’anima e dello spirito. Come Artù è capace di estrarre la spada (simbolo del fuoco) dalla roccia, così l’alchimista, che abbia portato a compimento l’Opera, è in grado di estrarre l’oro dalla pietra.
La triplice distinzione in sale,
mercurio e zolfo si deve, com’è noto, a Paracelso (1493 – 1541). Non mi
convince tuttavia la corrispondenza dello zolfo con l’anima e del mercurio con
lo spirito. Il corpo (sale - terra) assicura la transitoria unità di
elementi antagonistici e perennemente in lotta (acqua e fuoco), ma è
l’anima, nella sua natura informale, propria dell’acqua, a costringere lo
spirito a vivificare il corpo e ciò è possibile per l’azione contemporanea
dello zolfo e del soffio (vento o
vapore degli alchimisti) o pneuma dei
Greci o ruach Elohim degli Ebrei (fuoco e aria).
In altri termini, l’acqua mercuriale (anima) vela in essenza,
col suo mantello lunare, l’unità triplice
e caotica del composto androgino
e svolge un’azione temporanea, esattamente come il corpo che è il mezzo che la contiene. Cessando il
corpo, cessa anche l’anima e la qualità
del fuoco che si libera nell’aria testimonia del grado di trasformazione. Che
se poi si vuol dire che l’Opera necessità di forza d’animo e di volontà e a
tali qualità si attribuisce la natura ignea, occorrerà duplicare il mercurio o addirittura triplicarlo,
facendone insieme: la materia prima, l’acqua che cuoce e l’acqua di vita.
Cibele è dunque la natura naturans, il grande organismo vivente pervaso di energia creatrice e, al tempo stesso, è il lapis niger, la pietra nera o prima materia degli alchimisti. Perché è rappresentata in forma di donna? Per la verità, benché il mito ne sveli l’androginia originaria, natura e cultura continuano a presentarcela nella sua figura possente e femminile di Mater creatrice. E non a torto, direi, considerando che tutto ciò che nasce, nasce di donna o dal suo equivalente, principio femminile.
sergio magaldi
[1] “…et succincta comas hirsutaque vertice pinus,
grata deum
matri, siquidem Cybeleius Attis
exuit hac
hominem truncoque induruit illo.”
“…e il pino
dall’ispido tronco
solo in
cima frondoso,
grato
alla madre degli dei
se il
figlio di Cibele,
Attis
lasciò la forma d’uomo
e
in quel tronco fu pietra”
[2] Genesi, 28, 12
[3]
Ib., 28, 18 – 19 e 22
[4] Giobbe, 38, 6
[5]
‘Tu sei Simone il figlio di Giovanni. Ora il tuo nome sarà Cefa (in ebraico
Cefa è lo stesso che Pietro e vuol dire pietra’(Giovanni, 1, 42), ‘Per questo ti dico che tu sei Pietro e su di te,
come su una pietra, io costruirò la mia chiesa e nemmeno la potenza della morte
potrà distruggerla’ (Matteo, 16, 18),
‘La pietra che i costruttori hanno rifiutato è diventata la pietra più
importante. Questo è opera del Signore ed è una meraviglia per i nostri occhi’
(Matteo, 21, 42; Marco, 12, 10; Luca, 20,
17)
[6]
‘Anche voi, insieme con gli altri, appartenete al popolo e alla famiglia di
Dio. Siete parte di quell’edificio che ha come fondamento gli apostoli e i
profeti e come pietra principale lo stesso Gesù Cristo’ (Paolo di Tarso, Lettera agli Efesini, 2)
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