A.Tornielli-G.Galeazzi, Papa Francesco Questa economia uccide, Piemme, 2015, pp.221 |
Se
mai ce ne fosse bisogno, il recente viaggio del Papa dimostra ancora una volta
quanto sia più importante la comunicazione attraverso la tv e la rete, di
quella che utilizza la carta stampata, che si tratti di libri, articoli,
interviste e/o documenti ufficiali.
In questi giorni, dopo l’ascolto in diretta
delle parole pronunciate dal Pontefice a Cuba, davanti al Parlamento degli
Stati Uniti e all’assemblea dell’Onu, l’opinione pubblica ritiene di aver
scoperto elementi nuovi e definitivi
su Papa Francesco. Si assiste così all’esaltazione entusiastica della sua
figura da parte di una sinistra genericamente intesa e, di contro, alla critica
più o meno garbata di una destra altrettanto genericamente intesa, circa i
concetti da lui formulati in tali solenni occasioni. In realtà si tratta, mutatis mutandis, di affermazioni
contenute già nell’esortazione apostolica
di circa due anni fa, l’ Evangelii
Gaudium, e peraltro già note da tempo a chi si sia preso la briga di
leggere una delle tante biografie in circolazione su Jorge Mario Bergoglio.
E per chi ama le sintesi, Papa Francesco Questa economia uccide – scritto da due vaticanisti
di La Stampa e pubblicato da Piemme a inizio d’anno – quei concetti
riassume, corredandoli di critiche del mondo anglosassone, cattolico e non, e di
interviste, tra cui la più interessante è sicuramente quella con il Papa. Il
fatto è che da decenni Bergoglio va dicendo più o meno le stesse cose. Certo,
una cosa è dirle da superiore provinciale dei gesuiti, un’altra da vescovo,
un’altra ancora da arcivescovo di Buenos Aires, e non c’è dubbio che
ripetendole da papa, esse acquistino una risonanza planetaria.
Innanzi tutto, gli autori respingono l’dea che in Vaticano si sia installato un
marxista, un pontefice che si ispiri alla Teologia della liberazione. E
questo è già noto da tempo. Scrivevo in un post [Francesco l’imperscrutabile, clicca sul titolo per leggere tutto],
in merito alla biografia di Papa Francesco, positivamente tratteggiata dal vaticanista
inglese Austen Ivereigh:
“La realtà
dei gesuiti argentini di quegli anni era molto complessa. C’era chi sosteneva
la Teologia della Liberazione, non nascondendo le proprie simpatie per il
marxismo e chi, come Bergoglio, si richiamava alla Teologia del Popolo [Il santo pueblo fiel de Dios] e al
documento di Medellin che, sulla scia del Concilio Vaticano II, ampliò l’idea
cristiana di liberazione e sottolineò la necessità di accogliere e soccorrere i
poveri, mettendo tuttavia in guardia sia nei confronti del marxismo che del
liberalismo. I sostenitori di queste concezioni simpatizzavano tutti per il
peronismo, ma quando lo scontro sociale e l’instabilità politica si fece più
forte, i peronisti [e di riflesso coloro che li appoggiavano] si divisero in
una sinistra estrema, formata dai Montoneros
e da altri gruppi di guerriglieri di ispirazione trotzkista, da un centro
chiamato Guardia de hierro
[Guardia di ferro] che ebbe il sostegno di Bergoglio, e da una estrema destra
che anticipò le nefandezze di cui più tardi si rese colpevole la Giunta
Militare. Lo stesso autore racconta che, dopo il crollo della dittatura e il
ritorno alla democrazia parlamentare, Bergoglio fu isolato da una parte
preponderante dei gesuiti del suo Paese che lo considerava un populista di
destra [uno strano paradosso per un uomo che oggi in Italia piace ai radicali e
alla sinistra e molto meno alla destra!]. Trascorse ritirato un paio di anni a
Cordoba, privato di ogni potere, finché il Vaticano si ricordò di lui con la
nomina a vescovo, poi ad ausiliario dell’arcivescovo di Buenos Aires, quindi ad
arcivescovo della stessa città, e infine a cardinale nel 2001, per volontà di
Giovanni Paolo II. Nel Conclave del 2005 fu secondo dopo Ratzinger, e papa
nell’ultimo Conclave, dopo le dimissioni di Benedetto XVI”.
Dopo questa doverosa smentita, nel libro
suffragata solo da vaghi “si dice” [Il
gesuita argentino (…) era conosciuto per non aver mai sposato certe tesi
estreme della Teologia della liberazione,op.cit.,p.6], gli autori affrontano la tesi centrale del loro lavoro,
soffermandosi su quella che il Papa chiama “economia dell’esclusione”, un’economia che uccide in virtù di una “cultura
dello scarto”. Non è altro che la tesi contenuta nel paragrafo 53
dell’Esortazione Evangelii Gaudium di
circa due anni fa:
Così come il comandamento “non uccidere” pone
un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire
“no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide.
Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano
ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa.
Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo,
quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel
gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa
situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza
lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in
se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo
dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non
si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione,
ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa
radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa
non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori.
Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
Con la variante dell’introduzione
dell’abuso e della distruzione dell’ambiente, sono gli stessi concetti,
espressi in sintesi, con minore patos, ma con altrettanta energia, di fronte
all’Assemblea delle Nazioni Unite:
L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un
inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e
illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei
mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia
per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono
privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono
un’insufficiente capacità di decisione politica. L’esclusione economica e
sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato
ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono
maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati
dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono
soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni
costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello
scarto”.
I successivi
argomenti esposti nel libro riguardano la
teoria della “ricaduta favorevole”, messa fortemente in dubbio dal Papa nel
paragrafo 54 dell’Evangelii Gaudium:
In
questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”,
che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato,
riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo.
Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia
grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico
e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo,
gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che
esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è
sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene,
diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli
altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci
di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci
compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il
mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste
vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che
non ci turba in alcun modo.
Questa tesi, con i successivi paragrafi 55 e
56, rispettivamente sull’idolatria del
denaro e sulla concentrazione della ricchezza
nelle mani di pochi, unitamente all’affermazione di Papa Francesco: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i
poveri”, costò al pontefice, come doverosamente riportano i due autori, il
violento attacco verbale del commentatore radiofonico americano Rush Limbaugh:
“Io sono stato varie volte in Vaticano:
non esisterebbe, senza tonnellate di soldi […] La Chiesa cattolica americana ha
un bilancio annuale da centosettanta miliardi di dollari. Penso sia più di
quello che la General Electric incassa ogni anno. La Chiesa è il principale
proprietario edile a Manhattan. Voglio dire: hanno un sacco di soldi” [cit. p.75]. Naturalmente, Tornielli e
Galeazzi respingono sdegnati l’attacco di Limbaugh: “Non vale la pena qui di soffermarsi sull’identità di tale «accusatore»
di Francesco e dei suoi trascorsi. Non si deve però dimenticare che le sue
trasmissioni contano circa una ventina di milioni di ascoltatori e che Limbaugh
ha un contratto da quattrocento milioni di dollari per condurre il suo show”.
Nelle pagine successive si fa il punto sulla
presa di posizione del pontefice rispetto a due questioni di drammatica
attualità: l’accoglienza dei migranti
[“Dio ci giudicherà in base a
come abbiamo trattato gli immigrati”, cit.p.41] e il diritto per tutti a un lavoro degno che tuteli il riposo e il creato
[p.43]. Infine, il tema della guerra che, ricondotto dal Papa alle “economie idolatriche che si alimentano con
le guerre”, in una intervista della primavera dello scorso anno, gli valse
la critica dell’Economist che lo
paragonò a Lenin, sostenitore di uno stretto rapporto tra guerra, capitalismo e
imperialismo. Si veda tuttavia di seguito la differenza tra quanto Papa
Francesco ebbe a dichiarare nel corso di quell’intervista, e le parole più
pacate e “contestuali” pronunciate all’Assemblea delle Nazioni Unite, dove il nesso
capitalismo-imperialismo-guerra scompare, pur restando ferma la condanna della
guerra in quanto tale:
“[…]. Scartiamo
un’intera generazione per mantenere un sistema economico che non regge più, un
sistema che per sopravvivere deve fare la guerra, come hanno fatto sempre i
grandi imperi. Ma visto che non si può fare la Terza guerra mondiale, allora si
fanno le guerre locali. E questo cosa significa? Che si fabbricano e si vendono
armi, e così facendo i bilanci delle economie idolatriche, le grandi economie
mondiali che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro, ovviamente si
sanano” [p.159].
Questa, invece, la dichiarazione fatta all’Onu:
La guerra è la negazione
di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un
autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza
stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli. Il Preambolo e il primo articolo della Carta
delle Nazioni Unite indicano le fondamenta della costruzione giuridica
internazionale: la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo
delle relazioni amichevoli tra le nazioni. Contrasta fortemente con queste
affermazioni, e le nega nella pratica, la tendenza sempre presente alla
proliferazione delle armi, specialmente quelle di distruzione di massa come
possono essere quelle nucleari. Un’etica e un diritto basati sulla minaccia
della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta l’umanità – sono
contraddittori e costituiscono una frode verso tutta la costruzione delle
Nazioni Unite, che diventerebbero “Nazioni unite dalla paura e dalla sfiducia”.
Occorre impegnarsi per un mondo senza armi nucleari, applicando pienamente il
Trattato di non proliferazione, nella lettera e nello spirito, verso una totale
proibizione di questi strumenti.
In tal senso, non mancano gravi prove
delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra
i membri della comunità internazionale. Per questo, seppure desiderando di non
avere la necessità di farlo, non posso non reiterare i miei ripetuti appelli in
relazione alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e
di altri Paesi africani, dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o
etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che
non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati
ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro
patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti
nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la
loro stessa vita o con la schiavitù.
Le interviste
finali, con l’eccezione naturalmente di quella con Papa Francesco, non
impreziosiscono il libro e lascia piuttosto perplessi la risposta di Ettore
Gotti Tedeschi – che fu a capo dello IOR dal 23 settembre 2009 al 25 maggio
2012 – alla prima delle dodici domande:
Domanda: “Condivide l’allarme lanciato dal papa
Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium sull’economia che uccide?”
Risposta:
“Come potrei non condividerlo? (…)
[p.166].
In conclusione, viene da chiedersi se ci
sia davvero la possibilità che la chiesa di Pietro un giorno faccia proprie le idee
e i propositi di Francesco. Ne dubito, per la vastità e la complessità della
chiesa cattolica, per l’inevitabile intreccio dei suoi interessi mondani e alla
luce di tutta la sua storia, fatta di ombre e di luci, più spesso di ombre che
di luci. Perché allora i potenti della terra dovrebbero mettere in pratica i
suoi concetti? Non che Papa Francesco sia tanto ingenuo da ritenere di poterli
convincere, inoltre egli sa bene che il male radicale è parte integrante della
natura umana, una sua costante possibilità. Perché allora prospettare questa
utopia, questo “Paradiso in terra”, se solo si desse ascolto al Gesù dei
Vangeli? Pure, siamo consapevoli che Jorge Mario Bergoglio continuerà a
ripetere le parole che abbiamo già ascoltato tante volte, finché avrà vita, e
non sarà solo per testimoniare il Vangelo, ma per combattere l’indifferenza e
nel tentativo di illuminare la coscienza di ciascuno, credente o non credente.
sergio magaldi