martedì 15 settembre 2015

FRANCESCO L'IMPERSCRUTABILE

A.Ivereigh, Tempo di misericordia, Mondadori, 2014,
Ediz. Mondolibri, Aprile 2015, pp.493


 Imperscrutabile, papa Francesco è stato definito dai suoi fratelli gesuiti e anche campione di scacchi. Puntualizza in proposito padre Marcó: “È uno scacchista silenzioso, che muove i pezzi e vede molte mosse in anticipo. Sa quando fermarsi e quando fare la sua mossa. Non si conosceranno mai le sue regole, perché non le dice a nessuno”. E il rabbino Skorka, suo amico, dice di lui in senso positivo che è come un bulldozer: “Quando decide una cosa, la antepone a tutto: apre una strada e, pam!, procede con determinazione, gettando di lato i sassi mentre va avanti”.

 Queste affermazioni sono contenute [pp.382-383, ed. Mondolibri] nella “Vita di Jorge Mario Bergoglio”, sottotitolo del libro Tempo di Misericordia [Titolo originale, The Great Reformer. Francis and the Making of a Radical Pope] del giornalista inglese Austen Ivereigh, esperto vaticanista. Una biografia che prende spunto dall’incontro del giornalista con papa Francesco, in piazza San Pietro, nel Giugno del 2013, e che ha il merito di non essere agiografica, ancorché appaia poco circostanziata in merito alle accuse  di collusione con la dittatura argentina [1976-1983] che i gesuiti Don Orlando Yorio e Don Françisco Jalics, Emilio Mignone, fondatore del Cels [Centro de Estudios Legales Sociales, Centro Studi Legali e Sociali per la difesa dei diritti umani], il giornalista Horacio Verbitsky, nonché l’associazione Abuelas de Plaza de Mayo [le nonne dei desaparecidos] hanno sempre rivolto, sia pure con varie e diverse accentuazioni, nei confronti di Jorge Mario Bergoglio.

 Intendiamoci, l’autore non tace le accuse, ma le presenta in modo superficiale, evitando di riportare le prove citate dai detrattori dell’attuale pontefice, e soffermandosi piuttosto su testimonianze e dichiarazioni che tenderebbero a scagionarlo, finendo per ribaltarne le responsabilità: fu l’estremismo politico dei due gesuiti [Yorio e Jalics], la loro presenza nelle baraccopoli accanto ai poveri e nella probabile connivenza con i guerriglieri che ne determinò l’arresto e non certo la presunta denuncia dell’allora provinciale dei gesuiti, il quale al contrario si prodigò per farli liberare, così come infatti avvenne più tardi, secondo la testimonianza di Alicia Oliveira, un’amica personale di Bergoglio, nonché avvocata del Cels. L’autore omette però di annotare quanto sostenuto dal fratello di Don Yorio e cioè che furono in realtà il nunzio apostolico Pio Laghi [in ottimi rapporti con il generale Videla] nonché il cardinale Novak direttamente dal Vaticano, a rendere possibile la liberazione dei due sacerdoti, dopo mesi di torture e sevizie.




Il Nunzio Apostolico Pio Laghi con il generale Videla


  Quanto alla collusione con la dittatura o almeno alla tepidezza mostrata dal provinciale dei gesuiti nei confronti di un regime sanguinario, Austen Ivereigh si limita a dire che fu proprio grazie alla sua prudenza e ai suoi incontri con Massera e Videla, capi della giunta militare, che Bergoglio ottenne la liberazione di molti prigionieri. E  circa la dichiarazione che l’ormai cardinale rese al processo, in cui fu chiamato a deporre, di non aver saputo nulla di ciò che accadeva realmente nel paese sino al 1990 – peraltro avvalendosi della facoltà concessa dall’art. 250 del Codice processuale penale, che riconosce agli alti dignitari della Chiesa la possibilità di non intervenire, ma di limitarsi a testimoniare per iscritto –, l’autore non riporta nel libro il contraddittorio delle “Nonne di piazza di Mayo”, secondo cui Bergoglio non avrebbe potuto non sapere, visto che già nel 1979, su richiesta del Superiore Generale dei Gesuiti, padre Arrupe, era intervenuto in favore di un desaparecido e che due anni prima era stato richiesto il suo aiuto, senza che lui potesse far nulla, dai genitori di una ragazza sequestrata.

 Cosa in realtà sostennero Don Yorio e Don Jalics? La ricostruzione del loro arresto, solo vagamente accennata dall’autore, parte dal presupposto [menzionato dallo stesso Bergoglio], che già un mese prima del colpo di stato, fiutando il pericolo, il Superiore Provinciale avesse chiesto ai due gesuiti sottoposti alle sue dipendenze, di astenersi dalla frequentazione dei poveri delle baracche, alla periferia di Buenos Aires. Non essendo stato ascoltato, Bergoglio escluse dalla Compagnia di Gesù i due sacerdoti e fece togliere loro l’autorizzazione a dire messa. Di fatto significò privarli della protezione della Chiesa. Tant’è che appena scoppiato il golpe, i due furono rapiti e imprigionati. L’intera questione, tuttavia, è di difficile comprensione, se non si tiene conto della situazione politica allora esistente in Argentina e delle diverse correnti di pensiero presenti all’interno dei gesuiti latinoamericani. E su questo aspetto le analisi di Austen Ivereigh sono più che esaustive, peccato solo che, nell’intento di non appiattire la biografia in senso cronologico, egli finisca per costringere il lettore ad andare avanti, tornare indietro e così via di continuo, nel tentativo di non perdere il filo logico e storico della narrazione.

 Durante questo “andirivieni”, apprendiamo non solo l’origine tutta italiana dei nonni e di entrambi i genitori, ma soprattutto la nascita in un barrio popolare di Buenos Aires, la forte devozione cattolica dell’ambiente familiare e sociale in cui crebbe, la frequentazione della scuola dei salesiani, la conoscenza di qualche ragazza [una in particolare, di cui peraltro si dice pochissimo], la sua timidezza, il carattere introverso, l’amore per il calcio e per il tango nonché, naturalmente, l’arrivo della “chiamata” che lo raggiunse all’età di 17 anni, all’interno della basilica di San José, di Avenida Rivadavia [op.cit., p.50]. Siamo nel 1953 e tre anni dopo Jorge Mario entrerà in seminario, subito dopo aver conseguito il diploma di perito chimico.

 La “carriera” ecclesiastica del giovane Bergoglio fu in continua ascesa. Dopo la laurea in filosofia, il cui studio per ammissione dell’interessato si limitò a un tomismo in versione antiquata, quella in teologia [senza tuttavia mai raggiungere il dottorato] e il noviziato, a 33 anni fu ordinato sacerdote e subito dopo Maestro dei novizi, quindi Superiore Provinciale e più tardi Rettore del prestigioso Colegio Máximo, in cui era stato studente. L’esercizio di questi incarichi, unitamente alle vicende della dittatura militare di cui si è accennato sopra, gli valsero la critica di una parte non irrilevante dei propri confratelli. Le parole di un gesuita divenuto più tardi Superiore Provinciale sono esplicative al riguardo. Si riferiscono al periodo in cui Bergoglio fu rettore del Máximo. Così le riporta l’autore:

 Era un regime rigidamente chiuso. Si stenta a crederlo, ma introdusse i gesuiti argentini alla religiosità popolare. Li portò tutti nei barrios, e trasformò il Máximo in una parrocchia, per quanto già ci fosse una parrocchia nelle vicinanze. Come rettore del Máximo agì da accademico ma riuscì anche a essere un prete da parrocchia. Fondò un grande numero di cappelle, e promosse un certo tipo di religiosità popolare tra gli studenti, che iniziarono a recarsi di notte in cappella e a toccare le immagini divine! Era qualcosa che facevano i poveri, la gente del pueblo, e che i membri della Compagnia di Gesù, in qualsiasi parte del mondo, semplicemente non facevano. Intendo, toccare le immagini… Che significa? E i più anziani, che recitavano insieme il Rosario in giardino. Ecco, non sono contro tutto questo, ma nemmeno a favore. Semplicemente, non è una nostra caratteristica. Ma a quel tempo divenne normale.” [p.225].

 La realtà dei gesuiti argentini di quegli anni era molto complessa. C’era chi sosteneva la Teologia della Liberazione, non nascondendo le proprie simpatie per il marxismo e chi, come Bergoglio, si richiamava alla Teologia del Popolo [Il santo pueblo fiel de Dios] e al documento di Medellin che, sulla scia del Concilio Vaticano II, ampliò l’idea cristiana di liberazione e sottolineò la necessità di accogliere e soccorrere i poveri, mettendo tuttavia in guardia sia nei confronti del marxismo che del liberalismo. I sostenitori di queste concezioni simpatizzavano tutti per il peronismo, ma quando lo scontro sociale e l’instabilità politica si fece più forte, i peronisti [e di riflesso coloro che li appoggiavano] si divisero in una sinistra estrema, formata dai Montoneros e da altri gruppi di guerriglieri di ispirazione trotzkista, da un centro chiamato Guardia de hierro [Guardia di ferro] che ebbe il sostegno di Bergoglio, e da una estrema destra che anticipò le nefandezze di cui più tardi si rese colpevole la Giunta Militare. Lo stesso autore racconta che, dopo il crollo della dittatura e il ritorno alla democrazia parlamentare, Bergoglio fu isolato da una parte preponderante dei gesuiti del suo Paese che lo considerava un populista di destra [uno strano paradosso per un uomo che oggi in Italia piace ai radicali e alla sinistra e molto meno alla destra!]. Trascorse ritirato un paio di anni a Cordoba, privato di ogni potere, finché il Vaticano si ricordò di lui con la nomina a vescovo, poi ad ausiliario dell’arcivescovo di Buenos Aires, quindi ad arcivescovo della stessa città, e infine a cardinale nel 2001, per volontà di Giovanni Paolo II. Nel Conclave del 2005 fu secondo dopo Ratzinger, e papa nell’ultimo Conclave, dopo le dimissioni di Benedetto XVI.

  Quale il ritratto di Jorge Mario Bergoglio che esce da questo libro? Un uomo forte, carismatico, animato dalla fede in Dio e dall’amore per il popolo, intenzionato a portare Gesù tra la gente, poco incline alle dispute dottrinali e alle disquisizioni teologiche, molto più propenso a cambiare la prassi sacerdotale per far fronte ai bisogni del popolo fedele di Dio e in particolare dei poveri e degli emarginati, nell’immutato spirito evangelico e tuttavia sempre  in armonia con il proprio tempo. Certo, Austen Ivereigh non condividerebbe mai il giudizio che di lui dette il fratello del gesuita Orlando Yorio: Bergoglio è un angelo e un demone al tempo stesso. Sarebbe capace di vegliare un infermo per notti intere o di tramare nell’ombra per eliminare un concorrente scomodo”. Né tantomeno quello del giornalista ed ex-guerrigliero Horacio Verbitsky: Quando il nuovo papa dirà la prima messa in una strada di Trastevere o alla stazione Termini di Roma e parlerà delle persone sfruttate e costrette alla prostituzione dai potenti insensibili che chiudono il loro cuore a Cristo; quando i giornalisti amici racconteranno che ha viaggiato nella metro o sugli autobus; quando i fedeli ascolteranno le sue omelie recitate con le movenze di un attore nelle quali le parabole della Bibbia coesistono con le parole semplici del popolo; ci sarà chi andrà in delirio per il rinnovamento ecclesiastico. Nei tre lustri che ha trascorso alla guida dell’Arcidiocesi porteña ha fatto questo e molto di più”.

 Personalmente, ritengo che il titolo di “imperscrutabile”, datogli a suo tempo dai confratelli della Compagnia di Gesù, si addica bene alla persona di papa Francesco, ma non nel senso che comunemente si intende, né con riferimento al suo pensiero e alle sue azioni. Bensì in un significato più alto. Imperscrutabile è il mistero stesso della fede e neppure l’uomo chiamato a rappresentare, più o meno degnamente, il magistero di Cristo, può sottrarsi a questa verità. In questo senso e con questa consapevolezza che traspare sempre nelle sue parole e nel suo comportamento mi sembra che papa Francesco stia cercando di governare la Chiesa.


sergio magaldi

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