venerdì 25 settembre 2015

IL FUTURO ISLAMICO DELLA FRANCIA

Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, 2015, Ediz. Mondolibri, pp.252
 
   Un futuro islamico per la Francia è vagheggiato da Michel Houellebecq in Soumission [Sottomissione], il suo ultimo romanzo. Scritto con la consueta eleganza, che si coglie anche nella traduzione italiana di Vincenzo Vega, il libro ipotizza la vittoria di Mohammed Ben Abbes della Fratellanza Musulmana, alleato con i partiti del centro e della sinistra, nel ballottaggio contro la candidata del Fronte Nazionale che al primo turno aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti. Un futuro non molto lontano: il 2022, dopo che nelle elezioni presidenziali di cinque anni prima, era stato rieletto Hollande e “La stampa internazionale, basita, aveva potuto assistere allo spettacolo vergognoso, ma aritmeticamente ineluttabile, della rielezione di un presidente di sinistra in un paese sempre più dichiaratamente a destra” [cit.,p.46].

 Scarna ma essenziale la trama del romanzo: a parlare in prima persona è François, un professore associato alla cattedra di letteratura dell’università di Parigi III, che ha ottenuto la nomina dopo aver discusso con successo, davanti alla commissione dell’università Parigi IV-Sorbona, in un pomeriggio del giugno di quindici anni prima [2007], la propria tesi di dottorato dal titolo: Joris-Karl Huysmans, o l’uscita dal tunnel.




Joris-Karl Huysmans 


  La scelta del giovane docente di dedicare quasi completamente il suo impegno intellettuale e accademico a uno scrittore come Huysmans [1848-1907] non è casuale nell’economia del romanzo. Di madre francese e padre olandese, artista di miniature, Charles-Marie-Georges Huysmans, mutò il suo nome in Joris-Karl, in omaggio al padre, scomparso quando lui aveva solo otto anni. Costretto ad impiegarsi precocemente presso il Ministero degli interni, nell’ufficio che chiamerà “maledetto” e dove lavorerà tutta la vita, egli coltiverà inizialmente la sua passione per l’arte, per poi approdare al romanzo naturalista, dopo la conoscenza di Zola. Se ne distaccherà ben presto per una visione decadente, estetizzante e magica, cui seguirà la conversione al cattolicesimo. Huysmans è considerato tuttora uno dei massimi esponenti del decadentismo francese.

 Il romanzo di Houellebecq non è solo la storia di una decadenza personale e sociale, è bensì l’accettazione di un mutamento di vita nell’impossibilità di continuare a sentirsi giustificato di esistere. François è una sorta di Roquentin del XXI secolo [Antoine Roquentin, il protagonista del romanzo La Nausea [1] di Jean Paul Sartre]. Egli s’interroga su di sé e di riflesso su ciò che lo circonda, senza tuttavia l’angoscia metafisica del personaggio di Sartre - che mutuava le suggestioni di Dostoevskij, Kafka e Kierkegaard - ma con la consapevolezza tutta individuale ed edonistica di non poter dare più significato alla propria vita, in un contesto sociale decadente e ormai svuotato di senso. L’economia francese continua a sprofondare, nella noia di un sistema politico in cui centrosinistra e centrodestra si alternano in una sorta di “spartizione del potere tra due gang rivali”, talora anche  pretendendo di esportare questa sorta di democrazia con la guerra [p.46], fisco e burocrazia tormentano il cittadino, si annunciano cruenti scontri etnici, è senza stimoli intellettuali e per giunta Myriam, la sua giovane amante, è fuggita in Israele con la famiglia, nel timore di ciò che a breve potrebbe accadere agli ebrei:

 “Doveva essere stata una stupenda piccola gotica, negli anni non così lontani della sua adolescenza, prima di diventare una ragazza abbastanza di classe con i capelli neri tagliati a carré, la pelle bianchissima, gli occhi scuri; di classe ma sobriamente sexy; e soprattutto, le promesse del suo erotismo discreto erano più che mantenute. Per l’uomo, l’amore non è altro che gratitudine per il piacere dato, e nessuno mi aveva mai dato tanto piacere quanto Myriam. Era in grado di contrarre la fica a volontà (sia dolcemente, con lente pressioni irresistibili, sia con piccole scosse vivaci e malandrine); scuoteva il culetto con una grazia infinita prima di offrirmelo. Quanto ai pompini, non avevo mai provato niente di simile, affrontava ogni pompino come se fosse il primo della sua vita e fosse destinato a essere l’ultimo. Ogni suo pompino avrebbe potuto giustificare in sé la vita di un uomo […] Dopo la partenza di Myriam, rimasi solo per più di una settimana; per la prima volta da quando ero stato nominato professore, mi sentii incapace perfino di tenere le mie lezioni del mercoledì. I picchi intellettuali della mia vita erano stati la redazione della mia tesi e la pubblicazione del mio libro: tutto questo risaliva già a più di dieci anni prima. Picchi intellettuali? Picchi e basta? All’epoca, comunque, mi sentivo giustificato […]. I miei articoli erano chiari, incisivi, brillanti; ottenevano un certo apprezzamento, anche perché non ritardavo mai sulle date di consegna. Ma questo bastava a giustificare una vita? E in virtù di che cosa una vita ha bisogno di essere giustificata? La totalità degli animali e la schiacciante maggioranza degli uomini vivono senza mai provare il minimo bisogno di giustificazione. Vivono perché vivono, tutto qua, è così che ragionano; poi immagino che muoiano perché muoiono, e che questo, ai loro occhi, concluda l’analisi.” [cit. pp.33-34 e 43].  

 Fervono le trattative tra Partito socialista e Fratellanza musulmana per un accordo che permetta di sconfiggere la candidata del Fronte Nazionale. Marine Le Pen intanto, sempre più “convinta che, per accedere alla carica suprema, una donna dovesse necessariamente assomigliare ad Angela Merkel”, faceva di tutto per “emulare la rispettabilità arcigna della cancelliera tedesca arrivando persino a copiare il taglio dei suoi tailleur” [cit.,p.96]. Mohammed Ben Abbes è disponibile a concedere la metà dei ministeri alla sinistra, ma uno scoglio per l’accordo è rappresentato dalla scuola, come riferisce a François una collega il cui marito lavora per i servizi segreti:

 Dunque,secondo la Fratellanza musulmana ogni bambino francese deve avere la possibilità di beneficiare, dall’inizio alla fine dell’età scolare, di un insegnamento islamico[…]. Per prima cosa, non può assolutamente essere misto; e solo alcuni indirizzi saranno aperti alle donne. In fondo, quello che vogliono è che le donne, dopo la scuola primaria, vengano in gran parte avviate verso scuole di educazione domestica, e che si sposino prima possibile – con una piccola minoranza cui consentire, prima di sposarsi, di seguire studi letterari e artistici; questo sarebbe il loro modello di società ideale. Tra l’altro, tutti i docenti, senza eccezione, dovranno essere musulmani[…]”. [cit. pp.73-74].

 La collega si dice certa che un accordo sarà trovato, ricorrendo a un doppio regime, simile a quello già concordato per il matrimonio:

“Il matrimonio repubblicano resterà immutato, ossia un’unione tra due persone indipendentemente dal genere. Il matrimonio musulmano, eventualmente poligamico, non avrà alcuna conseguenza in termini di stato civile ma verrà ritenuto valido, e garantirà diritti nell’ambito della previdenza sociale e del trattamento fiscale.” [p.74]

  Una volta eletto, Mohammed Ben Abbes si mostra un leader saggio ed equilibrato, abile e scaltro come Mitterand, ma con più visione della storia. Il suo progetto di politica estera è di spostare il centro di gravità dell’Europa verso il Sud, aggregando all’Unione paesi come Turchia, Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto. Il disegno di una nuova grande civiltà che si estenda lungo tutto il bacino del Mediterraneo e che fiorisca in pace nello spirito di alleanza tra Islam e Cristianesimo e sul modello di quello che fu l’impero romano di Augusto. In politica interna, le cose migliorano subito: cresce il PIL come non avveniva da anni, cessano gli scontri di piazza, diminuisce la delinquenza e ancor più la disoccupazione, per l’uscita in massa delle donne dal mercato del lavoro, compensata da una forte rivalutazione degli assegni familiari, grazie al denaro ricavato dalla “drastica riduzione” degli stanziamenti scolastici, resa possibile dall’accorciamento della scuola dell’obbligo, dalla rivalutazione dell’artigianato e dai molti petrodollari che corrono a finanziare l’istruzione secondaria e quella superiore, ormai interamente privatizzate. Massima tolleranza per tutte le religioni del Libro. Ai grandi stanziamenti delle petromonarchie per le moschee, farà riscontro un incremento di fondi per la manutenzione degli edifici religiosi cristiani, quanto agli ebrei, verranno mantenuti buoni rapporti con il gran rabbino di Francia, nella segreta speranza che gli ebrei si “decidano spontaneamente” a lasciare la Francia per emigrare in Israele. E, in economia, l’illuminato Mohammed Ben Abbes è pronto a introdurre il distributivismo, con la soppressione della separazione tra capitale e lavoro e il rilancio dell’impresa familiare, suscettibile all’occorrenza di allargarsi, ma con i lavoratori azionisti e corresponsabili della gestione dell’impresa. Quanto al commercio dell’abbigliamento femminile, non ci sarebbe stato di che preoccuparsi per le modifiche di costume che inevitabilmente avrebbe prodotto l’instaurazione di un regime islamico. Se Jennyfer, la catena di abbigliamento femminile per le giovani, era destinata a chiudere non proponendo nulla di adatto per un’adolescente islamica, in compenso Secret stories del centro commerciale Italie 2 di Parigi, che vendeva biancheria di marca, e negozi analoghi di altri centri commerciali sparsi in tutta la Francia avrebbero addirittura raddoppiato le vendite:

 “Vestite durante il giorno con impenetrabili burqa neri, di sera le ricche saudite si trasformavano in uccelli del paradiso, si agghindavano con guêpière, reggiseni trasparenti, perizomi ornati di pizzi policromi e gemme; esattamente al contrario delle occidentali che raffinate e sexy durante il giorno perché era in gioco il loro status sociale, tornando a casa la sera si afflosciavano, abdicavano stremate a qualsiasi prospettiva di seduzione indossando tenute comode e informi.”[p.81].

 Proposto per la pensione dall’università con un importo generoso, pari a quello che avrebbe conseguito solo a fine carriera, François si reca in facoltà per sbrigare la semplice formalità di compilare un modulo. L’unico cambiamento che nota all’esterno sono una stella e una mezzaluna dorate, aggiunte accanto alla scritta “Università Sorbona Nuova-Parigi III”. All’interno degli edifici amministrativi la trasformazione è invece evidente:

 “Nell’anticamera si era accolti da una fotografia di pellegrini impegnati nella deambulazione intorno alla Kaaba, e gli uffici erano ornati da cartelli con versetti del Corano calligrafati; le segretarie erano cambiate, non ne riconoscevo più neanche una, ed erano tutte velate” [p.154].

 Giunto al limite della depressione e ormai sull’orlo del suicidio per un’esistenza che avverte inutile e ingiustificata, François emulando Huysmans e Bloy [Il primo si convertirà al cattolicesimo dopo un periodo di preghiera nell'abbazia di Igny, il secondo da violento anticlericale si muterà, dopo un lungo ritiro in monastero, in fervente religioso], cercherà anche lui il suo monastero e il suo frate. Ma per lui non si ripete il “miracolo” della conversione, come era accaduto ai due scrittori e nonostante la simpatia che nutre per frate Joël, da vent’anni nel monastero e che giudica probabilmente felice, si chiede sgomento il senso della sua presenza in quel luogo. Sarà solo più tardi, dopo i colloqui con Rediger, il rettore dell’università di Parigi – un ex appartenente ai movimenti identitari [gruppi a sostegno degli indigeni europei, contro ogni forma di colonizzazione] poi convertitosi all’Islam, che maturerà il germe di una sua possibile conversione e di una sua personale “uscita dal tunnel”. Cosa riuscirà a convincerlo? Il tornare in cattedra con lo stipendio triplicato e nella prospettiva di mogli ubbidienti e giovanissime? O c’è qualcosa di più che lo tenta, come l’analisi impietosa del rettore sul “suicidio dell’Europa” e la percezione che una conversione per essere autentica deve essere integrale, cioè una vera e propria sottomissione?

 “È la sottomissione, disse piano Rediger. L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta […]. Vede, proseguì, l’islam accetta il mondo, e lo accetta nella sua integrità […]. Per il buddhismo il mondo è dukkha – inadeguatezza, sofferenza. Il cristianesimo stesso manifesta serie riserve – Satana non viene definito ‘principe di questo mondo’? Per l’islam, invece, la creazione divina è perfetta, è un capolavoro assoluto. Cos’è in fondo il Corano, se non un immenso poema mistico di lode? Di lode al Creatore e di sottomissione alla sue leggi.”[pp.220-21]

 A distanza di diversi mesi dall’uscita del romanzo di Houellebecq – in quello stesso tragico giorno di gennaio dell’attentato a Charlie Hebdo – le polemiche dovrebbero ormai essersi sopite, né si tratta di dividersi come tifosi, pubblico e critica, tra detrattori ed estimatori. È indubbio, com’è stato detto, che in François ci sia molto di Michel e, al di là dell’edonismo e della garbata ironia che talora traspare dalle pagine del romanzo, è altrettanto vero che ci sia un anelito di verità: “Uno dei motivi che mi hanno fatto scrivere il libro – dichiarò lo scrittore al Corriere della Sera – è che essere ateo mi è diventato insopportabile”. Quello che da più parti non gli si perdona è che si definisca politicamente un conservatore [“Non ho una visione giusta della società, in realtà me ne frego. Non sono pessimista. Non sono reazionario. Sono conservatore”], e che abbia mutato di atteggiamento verso l’Islam, ora prospettato positivamente in una dimensione politica, sociale ed economica che, nella sua complessità, nulla ha da invidiare alle società europee ormai in declino. Sorprende il moralismo di certa critica. Solo per restare in Italia, si veda l’articolo dedicato al romanzo dal Manifesto che parla di un autore-merce con Inter­vi­ste cen­tel­li­nate, bozze del libro in uscita sapien­te­mente dif­fuse a pochis­simi, crea­zione di un’attesa nella quale si sus­se­guono invece le appa­ri­zioni dello scrit­tore nei media – voce pastosa, dizione lenta eppure capace di acce­le­ra­zioni improv­vise, occhio torvo ma iro­nico”, come se chi fa queste affermazioni non conoscesse le strategie di mercato, ben peggiori di quelle citate, cui siamo ormai tutti abituati, e non solo in Occidente. E ancora, citando a memoria e a sproposito frammenti di un libro, forse neppure letto per intero, talora forzandone l’interpretazione per meglio “demolirne” l’autore, e dove François-Michel è “accusato” di “essere senza gioia, né passioni, privo di vita vera” e di aver bisogno del sesso per sentirsi esistere. In proposito, mi viene in mente quanto padre Roger Troisfontaines scriveva su Sartre giovane:





 Jean Paul Sartre 



 «Cos'è un uomo che non ha ancora 40 anni e che frequenta il caffè? Guardatelo, finito su uno sgabello di tela incerata in un posto qualsiasi. Se vive abitualmente in questo luogo pubblico è perché non ha una casa propria, un focolare attorno al quale la sua famiglia potrebbe raccogliersi, dove potrebbe ricevere i suoi cari. Quelli che chiama amici sono dei vaghi compagni e l'amore lo fa con donne di passaggio. Di politica, ah! Egli discute sin troppo ma senza impegnarsi veramente se non per criticare o complottare: impegno sociale, vita civile, mestiere, tutto ciò che sarebbe valido, costruttivo finisce col morire su quella porta a vetri. Non parliamo poi di vita religiosa... né d'amore per la natura... Cosa ne resta in questo am­biente artificiale dove gli stessi prodotti della terra si consumano in piccoli bicchieri in uno stato di fermentazione avanzata? L'uomo al caffè, tolti tutti gli ormeggi, tagliato fuori da ogni rapporto organico col mondo, gli altri uomini e Dio, il fiume della vita l'ha respinto sulla sponda in solitudine»
[ R. Troisfontaines, Le Choix de Sartre, Aubier-Montaigne, Paris, 1945, pp. 51-52].

 Non che mi venga in mente di paragonare Houellebecq a Sartre, quel che mi preme sottolineare è che lo scrittore si colloca con pieno diritto nel filone della narrativa francese e che François, nel quale come spesso avviene in letteratura confluiscono tratti autobiografici dell’autore, esprime il disagio post- esistenzialista di un intellettuale che si trova a vivere in una società che ha profondamente mutato i propri valori, quando non li ha addirittura cancellati, per lasciare spazio a un edonismo tradizionale e pre-marcusiano che propone invano la felicità personale. L’alternativa, allora, può essere una conversione, l’approdo verso un assoluto di cui magari si continua a dubitare, ma di fronte al quale non si ha “nulla da rimpiangere”, secondo le parole con cui si chiude il romanzo.

sergio magaldi


[1] Ritengo utile delineare brevemente di seguito lo sviluppo della narrativa francese, naturalmente dopo Huysmans, Zola[1840-1902] e Léon Bloy [1846-1917] che sono tra gli autori più citati nei colloqui sulla letteratura francese tra il protagonista di Sottomissione e i suoi colleghi. Aggiungo solo che in diverse interviste Michel Thomas, alias Houellebecq [cognome della nonna che l’ha cresciuto], ha dichiarato che i suoi “grandi riferimenti in letteratura sono Dostoevskij e Conrad”. Non è dunque un caso che François somigli a un Roquentin più edonista e meno metafisico. La Nausée di Sartre è in un certo senso l'atto di nascita del romanzo esistenzialista anche se precedenti nella tematica e nello stile della narrativa dell'esistenzialismo sono ben visibili in Joyce, Dostoevskij, Conrad, Meredith, Galsworthy, Kafka, nel romanzo francese della condizione umana e nel romanzo americano del XX secolo. Nella narrativa francese il romanzo esistenzialista fa epoca abbracciando gli anni dell'anteguerra, il periodo bellico e il dopoguerra sino alla metà degli anni Cinquanta. Con Les Mandarins del 1954 di S. De Beauvoir l'epoca del romanzo esistenzialista può dirsi conclusa: già nel 1953 con Les Gommes di Alain Robbe-Grillet si viene affermando le « nouveau roman » di cui, d'altra parte, si era cominciato a parlare nel 1950 con Le Hussard bleu di Roger Nimier e con l'offensiva scatenata contro il romanzo esistenzialista come letteratura della disperazione e dell'assurdo, o addirittura nel 1947 con Portrait d'un inconnu di Nathalie Sarraute, presentato al pub­blico dallo stesso Sartre come un anti-romanzo, come un romanzo che si contesta da solo, che cerca di distruggersi nello stesso mo­mento in cui sembra doversi realizzare, che narra la storia del suo stesso fallimento come romanzo. Si tratta, proprio come nelle opere divenute ormai classiche del « nouveau roman », di esprimere la malafede del romanziere attra­verso l'impossibilità stessa del raccontare e la gratuità della finzione letteraria in un universo trasbordante di realtà. Il « nouveau roman » diviene così sempre più rifiuto del genere romanzesco: lo scrittore non ci offre una storia ma solo delle briciole che il lettore può tentare di mettere insieme come in un « puzzle ». Così, nonostante tutto, il « nouveau roman » non rappresenta la soluzione di continuità della narrativa francese, perché nella sua struttura permane un’interrogazione esistenziale di tipo collettivo circa un genere culturale prodotto dall'uomo e, perciò, in definitiva sull'uomo stesso. D'altra parte, neppure il romanzo esistenzialista s’impone con brusca rottura del passato, il romanzo della condizione umana che lo precede si caratterizza come opera di testimonianza e di denuncia proprio come il romanzo esistenzialista. Il gusto per l'autobiografia romanzata, la descrizione di eventi d'importanza internazionale ai quali partecipa lo stesso autore, la scelta di personaggi tratti dall’esperienza vissuta, l'esaltazione quasi eroica dell'individuale, la cri­tica e il sarcasmo della società borghese e dei suoi valori sono temi che si ritrovano, con diversa accentuazione, tanto nel romanzo della condizione umana che nel romanzo esistenzialista. Naturalmente, non sempre valgono lo stesso significato e lo stile è spesso diverso. All'eroe positivo dei romanzi di Montherlant, Saint-Exupéry, Mairaux Aragon, Giono ecc., si con­trappone spesso l'eroe negativo del romanzo esistenzialista: Roquentin, Mathieu, Mersault ecc.. Alla vita come intrapresa eroica si contrappone spesso la vita come disperazione del romanzo esisten­zialista, all'esaltazione romantica dell'avventura e dell'amore, l'im­potenza e lo squallore dell'esistenza umana. Va detto, tuttavia che dietro l'angoscia dei personaggi del romanzo esistenzialista si na­sconde spesso il rimpianto per la « caduta » originaria, la nostalgia per il paradiso perduto. Lo stile è certamente diverso: sotto l'influenza del romanzo americano, il romanzo esistenzialista oppone alla prosa fluente della narrativa precedente, un linguaggio scarno ed essenziale volto ad eliminare l'infinita mediazione tra le parole e le cose. Anche la tecnica romanzesca muta: si ricorre al simultaneismo che consente di descrivere contemporaneamente ma su piani diversi e secondo distinti punti di vista i medesimi avvenimenti. La fortuna del romanzo esistenzialista si lega alla fortuna stessa di Sartre che ne è l'autorevole rappresentante, né appare credibile la tesi dell'esistenzialismo come di una moda viziata sin dalla nascita dalla tabe del dopoguerra: il romanzo esistenzialista si colloca con piena legittimità nel filone della narrativa francese [“Nella storia del romanzo francese, La Nausée è come l’ultima vetta di una vasta catena: Balzac, Flaubert, Proust, Sartre”, scrive Marcel Raymond (Le Roman depuis la révolution - Ub. A. Colin, 1971 p. 211)], presentando per un verso notevoli punti di contatto almeno con il romanzo della condizione umana e con il romanzo naturalista [La critica ha messo in evidenza l'ispirazione comune di Mort à crédit (1936) di L. F. Céline e di La Nausée di Sartre. Marcel Raymond (op. cit., p. 207) rilevando i punti di contatto esistenti tra romanzo naturalista e romanzo esistenzialista (gli spettacoli sordidi, la tristezza della vita quoti­diana, ecc.), parla di La Mort dans l’âme di Sartre e di La Débâcle di Zola come di due testimonianze (in epoche diverse) sulla disfatta di un paese e il crollo d'un regime. Osserva tuttavia Sartre: «In Zola tutto obbedisce al più rigoroso deter­minismo. I libri di Zola sono scritti al passato, mentre i miei personaggi hanno un avvenire».(Qu'est-ce que l'existentialisme? Bilan d'une offensive, in “Les lettres françaises”,24 novembre 1945)], per altro verso fornendo notevoli spunti per la messa in crisi del genere romanzesco e la nascita del « nouveau roman» Scrive ancora il Raymond (op. cit., pp. 209 e 210): «Si sarebbe tentati di dire che si assiste con La Nausée alla morte del romanzesco » e: « Con Roquentin si sottolinea il contrasto tra il "romanesque" e il"vécu"». 


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