Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, 2015, Ediz. Mondolibri, pp.252 |
Un futuro
islamico per la Francia è vagheggiato da Michel Houellebecq in Soumission [Sottomissione], il suo
ultimo romanzo. Scritto con la consueta eleganza, che si coglie anche nella
traduzione italiana di Vincenzo Vega, il libro ipotizza la vittoria di Mohammed
Ben Abbes della Fratellanza Musulmana, alleato con i partiti del centro e della
sinistra, nel ballottaggio contro la candidata del Fronte Nazionale che al
primo turno aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti. Un futuro non
molto lontano: il 2022, dopo che nelle elezioni presidenziali di cinque anni
prima, era stato rieletto Hollande e “La
stampa internazionale, basita, aveva potuto assistere allo spettacolo
vergognoso, ma aritmeticamente ineluttabile, della rielezione di un presidente
di sinistra in un paese sempre più dichiaratamente a destra” [cit.,p.46].
Scarna ma essenziale la trama del romanzo: a
parlare in prima persona è François, un professore associato alla cattedra di
letteratura dell’università di Parigi III, che ha ottenuto la nomina dopo aver
discusso con successo, davanti alla commissione dell’università Parigi
IV-Sorbona, in un pomeriggio del giugno di quindici anni prima [2007], la
propria tesi di dottorato dal titolo: Joris-Karl
Huysmans, o l’uscita dal tunnel.
Joris-Karl Huysmans |
Il romanzo di Houellebecq
non è solo la storia di una decadenza personale e sociale, è bensì
l’accettazione di un mutamento di vita nell’impossibilità di continuare a
sentirsi giustificato di esistere. François
è una sorta di Roquentin del XXI secolo [Antoine Roquentin, il protagonista del
romanzo La Nausea [1] di Jean Paul Sartre]. Egli
s’interroga su di sé e di riflesso su ciò che lo circonda, senza tuttavia l’angoscia
metafisica del personaggio di Sartre - che mutuava le suggestioni di
Dostoevskij, Kafka e Kierkegaard - ma con la consapevolezza tutta individuale
ed edonistica di non poter dare più significato alla propria vita, in un
contesto sociale decadente e ormai svuotato di senso. L’economia francese
continua a sprofondare, nella noia di un sistema politico in cui centrosinistra
e centrodestra si alternano in una sorta di “spartizione del potere tra due
gang rivali”, talora anche pretendendo
di esportare questa sorta di democrazia con la guerra [p.46], fisco e
burocrazia tormentano il cittadino, si annunciano cruenti scontri etnici, è senza
stimoli intellettuali e per giunta Myriam, la sua giovane amante, è fuggita in
Israele con la famiglia, nel timore di ciò che a breve potrebbe accadere agli
ebrei:
“Doveva essere stata una
stupenda piccola gotica, negli anni non così lontani della sua adolescenza,
prima di diventare una ragazza abbastanza di classe con i capelli neri tagliati
a carré, la pelle bianchissima, gli occhi scuri; di classe ma sobriamente sexy;
e soprattutto, le promesse del suo erotismo discreto erano più che mantenute.
Per l’uomo, l’amore non è altro che gratitudine per il piacere dato, e nessuno
mi aveva mai dato tanto piacere quanto Myriam. Era in grado di contrarre la
fica a volontà (sia dolcemente, con lente pressioni irresistibili, sia con
piccole scosse vivaci e malandrine); scuoteva il culetto con una grazia
infinita prima di offrirmelo. Quanto ai pompini, non avevo mai provato niente
di simile, affrontava ogni pompino come se fosse il primo della sua vita e
fosse destinato a essere l’ultimo. Ogni suo pompino avrebbe potuto giustificare
in sé la vita di un uomo […] Dopo la partenza di Myriam, rimasi solo per più di
una settimana; per la prima volta da quando ero stato nominato professore, mi
sentii incapace perfino di tenere le mie lezioni del mercoledì. I picchi intellettuali
della mia vita erano stati la redazione della mia tesi e la pubblicazione del
mio libro: tutto questo risaliva già a più di dieci anni prima. Picchi
intellettuali? Picchi e basta? All’epoca, comunque, mi sentivo giustificato […]. I miei articoli erano
chiari, incisivi, brillanti; ottenevano un certo apprezzamento, anche perché
non ritardavo mai sulle date di consegna. Ma questo bastava a giustificare una
vita? E in virtù di che cosa una vita ha bisogno di essere giustificata? La
totalità degli animali e la schiacciante maggioranza degli uomini vivono senza
mai provare il minimo bisogno di giustificazione. Vivono perché vivono, tutto
qua, è così che ragionano; poi immagino che muoiano perché muoiono, e che
questo, ai loro occhi, concluda l’analisi.” [cit. pp.33-34 e 43].
Fervono le trattative tra
Partito socialista e Fratellanza musulmana per un accordo che permetta di
sconfiggere la candidata del Fronte Nazionale. Marine Le Pen intanto, sempre
più “convinta che, per accedere alla carica suprema, una donna dovesse
necessariamente assomigliare ad Angela Merkel”, faceva di tutto per “emulare la
rispettabilità arcigna della cancelliera tedesca arrivando persino a copiare il
taglio dei suoi tailleur” [cit.,p.96]. Mohammed Ben Abbes è disponibile a concedere la
metà dei ministeri alla sinistra, ma uno scoglio per l’accordo è rappresentato
dalla scuola, come riferisce a François una collega il cui marito lavora per i
servizi segreti:
“Dunque,secondo la Fratellanza
musulmana ogni bambino francese deve avere la possibilità di beneficiare,
dall’inizio alla fine dell’età scolare, di un insegnamento islamico[…]. Per
prima cosa, non può assolutamente essere misto; e solo alcuni indirizzi saranno
aperti alle donne. In fondo, quello che vogliono è che le donne, dopo la scuola
primaria, vengano in gran parte avviate verso scuole di educazione domestica, e
che si sposino prima possibile – con una piccola minoranza cui consentire,
prima di sposarsi, di seguire studi letterari e artistici; questo sarebbe il
loro modello di società ideale. Tra l’altro, tutti i docenti, senza eccezione,
dovranno essere musulmani[…]”. [cit. pp.73-74].
La
collega si dice certa che un accordo sarà trovato, ricorrendo a un doppio
regime, simile a quello già concordato per il matrimonio:
“Il matrimonio repubblicano resterà immutato, ossia un’unione tra
due persone indipendentemente dal genere. Il matrimonio musulmano,
eventualmente poligamico, non avrà alcuna conseguenza in termini di stato
civile ma verrà ritenuto valido, e garantirà diritti nell’ambito della
previdenza sociale e del trattamento fiscale.” [p.74]
Una volta eletto, Mohammed Ben Abbes si mostra
un leader saggio ed equilibrato, abile e scaltro come Mitterand, ma con più
visione della storia. Il suo progetto di politica estera è di spostare il
centro di gravità dell’Europa verso il Sud, aggregando all’Unione paesi come
Turchia, Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto. Il disegno di una nuova grande
civiltà che si estenda lungo tutto il bacino del Mediterraneo e che fiorisca in
pace nello spirito di alleanza tra Islam e Cristianesimo e sul modello di
quello che fu l’impero romano di Augusto. In politica interna, le cose
migliorano subito: cresce il PIL come non avveniva da anni, cessano gli scontri
di piazza, diminuisce la delinquenza e ancor più la disoccupazione, per
l’uscita in massa delle donne dal mercato del lavoro, compensata da una forte
rivalutazione degli assegni familiari, grazie al denaro ricavato dalla
“drastica riduzione” degli stanziamenti scolastici, resa possibile dall’accorciamento
della scuola dell’obbligo, dalla rivalutazione dell’artigianato e dai molti
petrodollari che corrono a finanziare l’istruzione secondaria e quella
superiore, ormai interamente privatizzate. Massima tolleranza per tutte le
religioni del Libro. Ai grandi stanziamenti delle petromonarchie per le
moschee, farà riscontro un incremento di fondi per la manutenzione degli
edifici religiosi cristiani, quanto agli ebrei, verranno mantenuti buoni
rapporti con il gran rabbino di Francia, nella segreta speranza che gli ebrei
si “decidano spontaneamente” a lasciare la Francia per emigrare in Israele. E,
in economia, l’illuminato Mohammed Ben Abbes è pronto a introdurre il distributivismo, con la soppressione
della separazione tra capitale e lavoro e il rilancio dell’impresa familiare,
suscettibile all’occorrenza di allargarsi, ma con i lavoratori azionisti e
corresponsabili della gestione dell’impresa. Quanto al commercio
dell’abbigliamento femminile, non ci sarebbe stato di che preoccuparsi per le
modifiche di costume che inevitabilmente avrebbe prodotto l’instaurazione di un
regime islamico. Se Jennyfer, la
catena di abbigliamento femminile per le giovani, era destinata a chiudere non
proponendo nulla di adatto per un’adolescente islamica, in compenso Secret stories del centro commerciale Italie 2 di Parigi, che vendeva
biancheria di marca, e negozi analoghi di altri centri commerciali sparsi in
tutta la Francia avrebbero addirittura raddoppiato le vendite:
“Vestite durante il giorno con
impenetrabili burqa neri, di sera le ricche saudite si trasformavano in uccelli
del paradiso, si agghindavano con guêpière, reggiseni trasparenti, perizomi
ornati di pizzi policromi e gemme; esattamente al contrario delle occidentali
che raffinate e sexy durante il giorno perché era in gioco il loro status
sociale, tornando a casa la sera si afflosciavano, abdicavano stremate a
qualsiasi prospettiva di seduzione indossando tenute comode e informi.”[p.81].
Proposto per la pensione
dall’università con un importo generoso, pari a quello che avrebbe conseguito
solo a fine carriera, François si reca in facoltà per sbrigare la semplice
formalità di compilare un modulo. L’unico cambiamento che nota all’esterno sono
una stella e una mezzaluna dorate, aggiunte accanto alla scritta “Università
Sorbona Nuova-Parigi III”. All’interno degli edifici amministrativi la
trasformazione è invece evidente:
“Nell’anticamera si era
accolti da una fotografia di pellegrini impegnati nella deambulazione intorno
alla Kaaba, e gli uffici erano ornati da cartelli con versetti del Corano
calligrafati; le segretarie erano cambiate, non ne riconoscevo più neanche una,
ed erano tutte velate”
[p.154].
Giunto al limite della depressione e ormai
sull’orlo del suicidio per un’esistenza che avverte inutile e ingiustificata, François emulando Huysmans
e Bloy [Il primo si convertirà al cattolicesimo dopo un periodo di preghiera
nell'abbazia di Igny,
il secondo da violento anticlericale si muterà, dopo un lungo ritiro in
monastero, in fervente religioso], cercherà anche lui il suo monastero e il suo
frate. Ma per lui non si ripete il “miracolo” della conversione, come era
accaduto ai due scrittori e nonostante la simpatia che nutre per frate Joël, da
vent’anni nel monastero e che giudica probabilmente felice, si chiede sgomento
il senso della sua presenza in quel luogo. Sarà solo più tardi, dopo i colloqui
con Rediger, il rettore dell’università di Parigi – un ex appartenente ai movimenti
identitari [gruppi a sostegno degli indigeni europei, contro ogni forma di
colonizzazione] poi convertitosi all’Islam, che maturerà il germe di una sua possibile
conversione e di una sua personale “uscita dal tunnel”. Cosa riuscirà a
convincerlo? Il tornare in cattedra con lo stipendio triplicato e nella
prospettiva di mogli ubbidienti e giovanissime? O c’è qualcosa di più che lo
tenta, come l’analisi impietosa del rettore sul “suicidio dell’Europa” e la
percezione che una conversione per
essere autentica deve essere integrale,
cioè una vera e propria sottomissione?
“È la sottomissione, disse piano Rediger.
L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora,
che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta
[…]. Vede, proseguì, l’islam accetta il mondo, e lo accetta nella sua integrità
[…]. Per il buddhismo il mondo è dukkha
– inadeguatezza, sofferenza. Il cristianesimo stesso manifesta serie riserve –
Satana non viene definito ‘principe di questo mondo’? Per l’islam, invece, la
creazione divina è perfetta, è un capolavoro assoluto. Cos’è in fondo il
Corano, se non un immenso poema mistico di lode? Di lode al Creatore e di
sottomissione alla sue leggi.”[pp.220-21]
A distanza di diversi mesi dall’uscita del romanzo
di Houellebecq – in quello stesso tragico giorno di gennaio dell’attentato a
Charlie Hebdo – le polemiche dovrebbero ormai essersi sopite, né si tratta di
dividersi come tifosi, pubblico e critica, tra detrattori ed estimatori. È
indubbio, com’è stato detto, che in François ci sia molto di Michel e, al di là
dell’edonismo e della garbata ironia che talora traspare dalle pagine del
romanzo, è altrettanto vero che ci sia un anelito di verità: “Uno dei motivi che mi hanno fatto scrivere
il libro – dichiarò lo scrittore al Corriere della Sera – è che essere ateo mi è diventato
insopportabile”. Quello che da più parti non gli si perdona è che si
definisca politicamente un conservatore [“Non
ho una visione giusta della società, in realtà me ne frego. Non sono
pessimista. Non sono reazionario. Sono conservatore”], e che abbia mutato di
atteggiamento verso l’Islam, ora prospettato positivamente in una dimensione
politica, sociale ed economica che, nella sua complessità, nulla ha da
invidiare alle società europee ormai in declino. Sorprende il moralismo di certa critica. Solo per restare in Italia, si
veda l’articolo dedicato al romanzo dal Manifesto che parla di un autore-merce
con “Interviste centellinate, bozze
del libro in uscita sapientemente diffuse a pochissimi, creazione di
un’attesa nella quale si susseguono invece le apparizioni dello scrittore
nei media – voce pastosa, dizione lenta eppure capace di accelerazioni
improvvise, occhio torvo ma ironico”,
come se chi fa queste affermazioni non conoscesse le strategie di mercato, ben
peggiori di quelle citate, cui siamo ormai tutti abituati, e non solo in
Occidente. E ancora, citando a memoria e a sproposito frammenti di un
libro, forse neppure letto per intero, talora forzandone l’interpretazione per
meglio “demolirne” l’autore, e dove François-Michel è “accusato” di “essere senza gioia, né passioni, privo di
vita vera” e di aver bisogno del sesso per sentirsi esistere. In proposito, mi viene in mente quanto padre
Roger Troisfontaines scriveva su Sartre giovane:
Jean Paul Sartre |
«Cos'è
un uomo che non ha ancora 40 anni e che frequenta il caffè? Guardatelo, finito
su uno sgabello di tela incerata in un posto qualsiasi. Se vive abitualmente in
questo luogo pubblico è perché non ha una casa propria, un focolare attorno al
quale la sua famiglia potrebbe raccogliersi, dove potrebbe ricevere i suoi
cari. Quelli che chiama amici sono dei vaghi compagni e l'amore lo fa con donne
di passaggio. Di politica, ah! Egli discute sin troppo ma senza impegnarsi veramente
se non per criticare o complottare: impegno sociale, vita civile, mestiere,
tutto ciò che sarebbe valido, costruttivo finisce col morire su quella porta a
vetri. Non parliamo poi di vita religiosa... né d'amore per la natura... Cosa
ne resta in questo ambiente artificiale dove gli stessi prodotti della terra
si consumano in piccoli bicchieri in uno stato di fermentazione avanzata? L'uomo
al caffè, tolti tutti gli ormeggi, tagliato fuori da ogni rapporto organico col
mondo, gli altri uomini e Dio, il fiume della vita l'ha respinto sulla sponda
in solitudine»
[ R. Troisfontaines, Le
Choix de Sartre, Aubier-Montaigne, Paris, 1945, pp. 51-52].
Non che mi venga in mente di paragonare
Houellebecq a Sartre, quel che mi preme sottolineare è che lo scrittore si
colloca con pieno diritto nel filone della narrativa francese e che François,
nel quale come spesso avviene in letteratura confluiscono tratti autobiografici
dell’autore, esprime il disagio post- esistenzialista di un intellettuale che
si trova a vivere in una società che ha profondamente mutato i propri valori,
quando non li ha addirittura cancellati, per lasciare spazio a un edonismo
tradizionale e pre-marcusiano che propone invano la felicità personale.
L’alternativa, allora, può essere una conversione,
l’approdo verso un assoluto di cui
magari si continua a dubitare, ma di fronte al quale non si ha “nulla da
rimpiangere”, secondo le parole con cui si chiude il romanzo.
sergio
magaldi
ottimo contributo
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