giovedì 29 ottobre 2020

IL PREDESTINATO E IL GRIGIORE BIANCONERO


 

 Dopo le vittorie con una Sampdoria incompleta nella prima di Campionato e con la Dinamo Kiev al debutto in Champions, la vittoria a tavolino contro il Napoli e i tre pareggi con Roma, Crotone ( squadra che dopo 5 giornate vanta soltanto il punto ottenuto contro la Juve) e Verona, arriva anche la prima sconfitta di Pirlo, “il predestinato”, contro un Barcellona oggettivamente in crisi alla vigilia (un solo punto nelle ultime tre giornate del campionato spagnolo) e apparso rivitalizzato ieri notte proprio dal confronto con la Juventus.

La squadra bianconera ha offerto di fronte al non-pubblico di casa l’ennesima prova scialba e deludente, appena mitigata dalle buone prove del solito Cuadrado e di un Morata in eccellente stato di forma che va a segno tre volte ma tutte in fuorigioco, anche se sull’ultimo dei tre goal, che avrebbe consentito ai bianconeri il momentaneo pareggio, ci sarebbe molto da ridire. Naturalmente, non tutte le responsabilità sono da attribuire a Pirlo, una fetta consistente spetta sicuramente al mercato degli ultimi anni. Con un centrocampo a parametro zero con in più un Bentancur in fase involutiva e gli acquisti di Arthur, che non giocava da mesi e pagato dieci milioni di euro oltre alla cessione di Pjanic proprio al Barcellona e di un Mckennie molto simile ad un giocatore di rugby. Con una difesa che utilizza Cuadrado, esterno alto, in pianta stabile come terzino, Danilo, esterno basso, come centrale e, talora, Frabotta, under 23, come esterno basso al posto dell’infortunato Alex Sandro, senza avere altre alternative (dopo le partenze, peraltro non rimpiante, di De Sciglio e Rugani), se non quelle di De Ligt ancora convalescente e del grande Chiellini, ormai quasi sempre infortunato. Con gli acquisti dei fiorentini Bernardeschi e Chiesa costati oltre cento milioni di euro e, di contro, la cessione di Kean, un campione in erba cresciuto nelle giovanili della Juve, utilizzato dalla nazionale italiana e che ieri sera con due goal ha portato il Paris Saint Germain alla vittoria esterna di Champions, dopo averne segnati altrettanti nella partita di Campionato contro il Digione.  

Bernardeschi - sempre fischiato quando a Torino c’era ancora un pubblico - ha la responsabilità del pareggio del Verona e del rigore che ha portato al secondo goal del Barcellona, mentre Chiesa, dal canto suo, si limita a qualche dribbling vincente, seguito regolarmente dalla perdita della palla e fa rimpiangere persino il fumoso Douglas Costa, ceduto in prestito gratuito al Bayern Monaco dal quale la Juve l’aveva comprato un paio di anni prima per oltre quaranta milioni. Se, a tutto ciò, si aggiunge l’accresciuto debito della Società (non solo colpa del covid-19) e la disinvoltura con cui si continuano a pagare due allenatori, Allegri e Sarri, entrambi esonerati dopo aver vinto lo scudetto, si comprende meglio come la crisi dei bianconeri non dipenda solo da Pirlo. E, del resto, chi ha scelto Pirlo, ritenendo ingenuamente di poter imitare il Real Madrid quando scelse Zidane? Non tenendo conto che il francese aveva già fatto la sua esperienza, anche se breve, da allenatore, mentre Pirlo ha iniziato da zero, e ancora che Zidane fu chiamato ad allenare una squadra forte e dagli equilibri consolidati, mentre all’ex campione bianconero (prima ancora rossonero) è stato affidato un “cantiere aperto”, una “squadra in costruzione e priva di esperienza (?!)”, come lo stesso Pirlo non si stanca di ripetere per giustificare la propria totale inesperienza e l’attuale grigiore bianconero.

Del resto, è un fatto che il nuovo allenatore juventino - con i suoi tanti esperimenti che si sostanziano nell’idea di schierare tutti insieme i giocatori considerati sulla carta i più forti, senza distinzione dei ruoli e senza tener conto dei necessari equilibri - stia cercando di applicare il verbo contenuto nella sua recente Tesi di Coverciano per il Master Uefa Pro. Scrive nell’introduzione: «L’idea fondante del mio calcio è basata sulla volontà di un calcio propositivo, di possesso e di attacco […] un calcio totale e collettivo, con 11 giocatori attivi in fase offensiva e difensiva. Manipolando spazi e tempi, abbiamo l’ambizione di comandare il gioco in ambedue le fasi. Il ‘gioco’ deve essere il filo conduttore della mia squadra […] un gioco basato sul collettivo ma che sia in grado di esaltare le individualità più forti».

Parole in sé condivisibili da parte di ogni allenatore e che si commentano da sole per la loro vacuità ed efficacia retorica ma che, prima di essere pronunciate, dovrebbero confrontarsi oltre che con la modestia e con l’esperienza, anche con la realtà del campo e dei giocatori a disposizione. Eppure, si ha come l’impressione che con i ritorni in squadra di De Ligt, Alex Sandro, Ronaldo e in più l’acquisto a gennaio di un buon terzino e di un centrocampista di rango e di esperienza (forse quel Jorginho che tanto piaceva a Sarri, forse un altro più capace di assomigliare proprio al Pirlo calciatore), la Juventus potrebbe ancora rimettere in piedi la propria stagione che al momento attuale pare già compromessa sia in Campionato che in Champions. Sempre che non si abbia la voglia e la forza di dire ai tifosi che la squadra sta vivendo un anno di transizione (verso dove?), con l’unico obiettivo di raggiungere almeno il quarto posto del Campionato, utile per partecipare alla Champions del prossimo anno. Obiettivo peraltro non facile a giudicare dal gioco e dai risultati di oggi e in virtù della concorrenza di diverse altre squadre, come Inter, Milan, Napoli, Atalanta, Lazio, Roma e persino Sassuolo.

 sergio magaldi


martedì 20 ottobre 2020

LA NOSTRA DIFESA DAL CORONAVIRUS


 

La miglior difesa contro il coronavirus non potrà mai prescindere dal corretto  atteggiamento mentale che non è quello dell’estrema cautela

 

Di Alberto Zei

 

Il pensiero positivo

Il vecchio adagio  di “volere è  potere“, ripetuto da generazioni in virtù dei risultati empirici ottenuti con questa impostazione mentale, poggia su concetti profondi della nostra coscienza, ossia sull’inconscio.

Il pensiero positivo contro la malattia che crea un atteggiamento biologico consapevole o inconsapevole, percorre due differenti virtuali direzioni. La prima che agli occhi della maggior parte delle persone appare la più importante, è quella del comportamento prudenziale assunto nel contesto sociale per ottenere il risultato che si desidera. Ma questo soltanto potrebbe non bastare per il successo sperato se manca il convincimento del volere veramente, ossia del “voler  volere“.

 



Un esempio

 Quando si desidera di smettere di fumare, il desiderio autentico non è rivolto all’abbandono delle sigarette ma solo al non voler provare più desiderio di fumare per poi comodamente lasciare le sigarette senza sacrificio. Un atteggiamento di questo genere, che riguarda la prima impostazione conflittuale del pensiero, non risolve il problema.  Non lo risolve  in quanto la creazione di contraddizioni della volontà nelle quali il piacere della nicotina e degli  arabeschi azzurri del fumo a cui si rinuncerebbe  e che fanno da protagonisti per ore ed ore, indeboliscono il risultato dei settori psicobiologici interessati, in conflitto tra loro. 

Emblematico in questo periodo è  il timore del coronavirus a cui si pensa per gran parte del tempo. Tutto infatti deve essere visto con i piedi per terra, in quanto la forza del pensiero prevalente per la salute, nel corso della giornata, rappresenta sempre una situazione di interferenza con gli eventi futuri. L’impostazione mentale di ciò che realmente si vuole, come è facile accorgersi, porta quasi sempre a conclusioni positive. Ma se tutto il pensiero volitivo e il risultato desiderato è formato di elucubrazioni mentali, ossia del continuo ripetere proprio di ciò che si teme, ecco che allora il meccanismo psichico della forza del pensiero, prodotta e protratta  nel tempo, rinforza quella stessa idea. Ma quale idea? L’ idea dominante che è quella che con un “non” o un altro tipo di negazione, si vorrebbe invertire.

Per analogia

Si ricorda per analogia l’efficacia del pensiero ricorrente espresso in un vecchio detto popolare che rende bene il concetto del risultato che si ottiene quando ci si preoccupa troppo dello stesso argomento: “Ma quello  dai e dai, se l’è  proprio tirata!“

Questo non significa che non vi siano dei limiti prudenziali da adottare, allorché gli eventi lo richiedano. L’obiettività dei pericoli, quando i fatti lo dimostrano, non può essere sottovalutata perché in tal caso il vecchio adagio di cui sopra, potrebbe trasformarsi: “Ma allora se l’è proprio voluta!“

Manzoni racconta nei Promessi Sposi che, durante l’imperversare della peste del 1600 a Milano, Don Ferrante si fosse convinto che il contagio non potesse propagarsi tra una persona e l’altra; di conseguenza non adottava alcuna precauzione. Andò tra gli appestati e morì di peste.

L’ estrema difesa

Pensare di dover fuggire dall’aggressione del coronavirus assumendo un atteggiamento mentale di estrema difesa, indebolisce proprio quelle stesse differenze psichiche del convincimento che si riflettono nel sistema biologico prima accennato. Alla lunga, la riflessione dei pericoli incombenti continuamente evocati,  passano e ripassano per la mente lasciando il segno. Non sarà quindi quella semplice convenzione grammaticale della particella negativa a ribaltare le immagini mentali dei pericoli o delle contrarietà lungamente evocate proprio nel modo in cui si temono. Nella psiche, ovvero nell’inconscio, si crea in tal caso quella presenza mentale degli eventi che influenzano le risposte biologiche del sistema immunitario, predisponendo il relativo risultato.

La  convenzione  del “non”

Si  deve  convenire  che il pensiero nella quotidianità esistenziale si è evoluto nel linguaggio comunicativo fino a rappresentare per economia  discorsiva di una stessa frase  il diritto e il rovescio dell’ atteggiamento opposto  che poggia su “non“, mentre la intera struttura della frase e quindi del pensiero, rimane identica. Ma l’ energia psichica ogni volta prodotta, proprio per esprimere quello stesso concetto con l’ aggiunta di una negazione, mantiene per differenza il livello di intensità per tutto il  tempo dedicato all’intero concetto. Per dare un’idea della condivisione dell’efficacia del pensiero che raggiunge un risultato, non importa quale, si riporta un aforisma indiano riguardante la credenza religiosa induistica. “A colui che ama Dio occorrono sette incarnazioni per raggiungere la perfezione, a colui che lo odia ne bastano tre, perché colui che lo odia penserà a lui più di colui che lo ama “.

Il saper volere

Questo deve farci riflettere. Non serve approfondire l’argomento per comprendere la forza dell’idea temuta del coronavirus e per di più, ripetuta mentalmente durante la giornata, possa cambiare in virtù di una semplice negazione.

Così il flusso creativo della mente realizza una sorta di contenitore chiamato, “forma di pensiero“. Questa è alimentata dal continuo ragionamento il quale, ripetendo l’idea temuta,  esprime l’effetto nella direzione opposta a quella voluta.

Ecco che il timore conduce proprio all’evento che si intende evitare, mentre l’atteggiamento mentale opposto, consapevole delle proprie capacità di difesa, naturalmente entro ragionevoli limiti, favorisce l’ottenimento del successo che prima o poi arriverà, se si comprende che cosa significa effettivamente saper volere.


lunedì 5 ottobre 2020

Uno spot della politica per il nuovo lockdown?


 

 In un breve post di ieri mattina sull’argomento, auspicavo l’intervento dei ministri della Salute e dello Sport per permettere in serata il regolare svolgimento della partita tra Juventus e Napoli, nel rispetto del protocollo  a suo tempo concordato tra governo, FIGC e LEGA Calcio e ribadito solo qualche giorno fa. Il quale protocollo prevede, tra l’altro, per ogni componente della squadra, tamponi periodici nell’arco della settimana sino a 48 ore prima della partita. I calciatori che risultano negativi a tutti i tamponi possono giocare. In caso di positività, il contagiato anche asintomatico deve essere messo in quarantena. Terminata la quale, per tornare a far parte della squadra, il giocatore deve avere la negatività in due tamponi successivi. Su tutti gli altri, calciatori e non, risultati sino a quel momento negativi, si eseguono tamponi ogni 24 ore per 14 giorni consecutivi e, se persiste la negatività, il gruppo-squadra è autorizzato ad uscire dal ritiro solo per andare a giocare.

E, in effetti entrambi i ministri sono intervenuti: il ministro Speranza per dire che “dovremmo occuparci meno di calcio e più di scuola” – pensiero che nel suo populistico raffronto, non tiene conto che “il calcio vale oltre il 7% del PIL italiano e che  l'industria calcistica fornisce lavoro a circa 250 mila italiani e porta nelle tasche dei lavoratori oltre 22,5 miliardi di Euro”(FIGC, settembre 2019), senza contare, aggiungerei, il denaro che lascia al fisco – e il ministro Spadafora per dire che alla Asl regionale spetta l’ultima parola in fatto di vigilanza sulla salute pubblica, mentre alle autorità calcistiche compete l’applicazione dei regolamenti di propria competenza. Al di là dell’apparente “pilatismo”, le parole del ministro dello Sport potrebbero significare: 1)Che la Lega Calcio, secondo regolamento, darà la vittoria a tavolino alla Juventus per 3-0 e infliggerà al Napoli un punto di penalizzazione in classifica, 2)Che il Tar della Campania annullerà il provvedimento, riconoscendo la maggiore competenza della Asl regionale rispetto alle autorità sportive.

Se così fosse, il Campionato di calcio potrebbe già considerarsi concluso, perché si sarebbe creato il precedente per rinviare all’infinito le partite tra squadre che presentano anche due sole positività al Covid-19, come nel caso del Napoli (tante almeno ne presentava la squadra alla vigilia del match con la Juve). Del resto, già da fonti governative si parla di cambiare il protocollo esistente alla luce dell’aumentato numero di contagi. In merito alla vicenda, tuttavia, c’è ancora da osservare che la Asl della Campania – a quanto si dice – non avrebbe vietato ai giocatori del Napoli calcio di partire per Torino, ma ne avrebbe solo sconsigliato la partenza a fronte di una precisa richiesta della Società partenopea, tant’è che il giorno prima i giocatori della Salernitana, anche loro con due positività, si erano recati tranquillamente a Verona per disputare la partita del Campionato di Serie B contro il Chievo. Senza contare che sarebbe interessante sapere se nel nostro Paese un divieto regionale abbia il potere di bloccare un evento nazionale, anche alla luce del fatto che solo poche ore prima che si disputasse il match tra Juventus e Napoli, si erano giocate le partite Atalanta – Cagliari (con i bergamaschi che avevano un giocatore in isolamento per il contagio) e Milan – Spezia (con due giocatori del Milan in quarantena). In ogni caso,  se la notizia è vera – come sembra – e non siamo di fronte a un divieto della Asl regionale ma solo ad un “consiglio su richiesta”, il Tar non potrà intervenire e c’è il rischio che l’eventuale penalizzazione del Napoli calcio, stante il regolamento vigente, non possa essere cancellata .

Resta da chiedersi che interesse aveva la Società partenopea a non disputare la partita, oltretutto in un momento della stagione calcistica che sembrava più favorevole agli azzurri piuttosto che ai bianconeri. L’unica spiegazione possibile sembra legata a quanto accaduto dopo la vittoriosa partita per 6-0 del Napoli contro il Genoa, quando nel corso della settimana, a seguito dei ripetuti tamponi, è stata resa nota la progressiva positività sino a ben 22 genovesi, tra calciatori e accompagnatori, tant’è che in questo caso – come prevede il suddetto protocollo – la partita Genoa-Torino è stata giustamente rinviata. In tal caso, tuttavia, il comprensibile disagio della Società e dei calciatori napoletani – per l’eventualità di portare a Torino calciatori la cui positività non si era ancora manifestata – doveva essere fatto presente alla Lega Calcio. Diversamente, i malevoli potrebbero pensare che ci sia voluti uniformare al “giro di vite” della Regione Campania, la più sollecita e rigorosa da sempre nel dettare norme anticovid-19, ma attualmente anche la più colpita per numero di contagi.

 sergio magaldi


sabato 3 ottobre 2020

RIQUALIFICATO IL PARCO NEMORENSE DI ROMA?


  Dopo circa 9 mesi - giusto il tempo di una gestazione -  il Parco Nemorense o Virgiliano alla fine di luglio ha riaperto i suoi cancelli, mentre il bar all’interno del parco ha ripreso a funzionare solo da pochi giorni ma con prezzi di vendita al pubblico almeno raddoppiati. In un post dello scorso 25 novembre (il parco era stato chiuso già dal giorno 11), che invito a rileggere cliccando di seguito sul titolo: Roma capitale e il II Municipio chiudono il Parco Nemorense di Roma, ero stato facile profeta nel prevedere che i lavori non sarebbero terminati nei previsti 180 giorni (ancorché persino i lavori annunciati ne richiedessero molti di meno). Naturalmente il Coronavirus è l’alibi che ne giustifica la prolungata chiusura. 

La cerimonia di riapertura è avvenuta in pompa magna alla presenza della sindaca di Roma, Virginia Raggi. Nell’occasione, dopo aver fatto a lungo attendere i cittadini presenti per i suoi innumerevoli impegni a beneficio della popolazione romana, la sindaca ha detto tra l’altro:

 

«I lavori appena conclusi hanno permesso di riqualificare un’area verde molto frequentata da cittadini e residenti del quartiere migliorandone la fruibilità. Un restyling ampio, effettuato nel rispetto delle caratteristiche naturalistiche e dell’alto valore storico di questo luogo. Siamo felici di poter restituire ai cittadini questo spazio, ora molto più bello, vivibile e decoroso»

 

Chi abita nel quartiere Trieste e conosce bene il Parco Nemorense si è subito reso conto dell’entità dei lavori eseguiti: la copertura del calpestabile con ghiaia bianca piccola è stata fatta solo per circa il 50%, lasciando la restante parte facile preda del fango già alle prime piogge. E ciò è tanto più sorprendente perché si trattava di una superficie relativamente piccola da coprire, considerando le numerose aiuole e l’esiguità dell’area del parco nel suo complesso.

 

 

 



Quanto al muro che circonda le parti scoscese prospicienti la via Martignano, nella foto che segue si può vedere come tutto sia rimasto esattamente come prima

 

 






Rispetto alle altre opere annunciate si può osservare che la potatura e il taglio degli alberi fa parte della manutenzione ordinaria, il ripristino delle panchine era già stato fatto ad opera dell’associazione privata del parco e la ripulitura “una tantum” del laghetto, mostra già l’accumulo di foglie e terriccio sul fondo dell’acqua. Insomma, una “riqualificazione” costata ai contribuenti 470.000 euro che evidentemente non sono neanche bastati per coprire al 100% di ghiaia la superficie calpestabile del parco e a mettere in sicurezza il muretto che trattiene le parti scoscese del terreno lungo la via Martignano, dove ad un metro di distanza, lungo il marciapiede, sono parcheggiate le auto e dove transitano a piedi di continuo adolescenti usciti dal plesso scolastico Giuseppe Mazzini di piazza Volsinio, proprio di fronte al Parco Nemorense.


sergio magaldi