giovedì 28 aprile 2022

Massoneria On Air N°16 28-04-22 La Resurrezione Alchemico Pasquale

mercoledì 27 aprile 2022

COSTA CONCORDIA cento anni dopo l'affondamento del Titanic


 

 

Le molteplici e straordinarie coincidenze tra i due tragici sinistri nella storia delle grandi navi passeggeri lascia pensare che il riferimento ai “corsi e ricorsi storici” di Giambattista Vico potrebbe aiutarci ad avvalerci dell’inconscio collettivo per attingere dall’ esperienza altrui,  ivi conservata.

 

di Alberto Zei

 

La storia si ripete

A seguito dell’ articolo pubblicato ieri,  riguardante le circostanze che hanno determinato l’ inabissamento del Titanic, ecco che la Concordia con la sua tragedia avvenuta esattamente 100 anni dopo, si presenta come un simbolico riferimento ai “corsi e ricorsi storici” dei grandi eventi, ritenuti da molti più unici che rari per la loro particolarità, ma che  prima o poi si ripetono, anche negli avvenimenti dove la partecipata emotività pubblica  genera un effetto moltiplicatore della loro importanza, senza essere noi riusciti  a trarre da questi,  esperienza e conoscenza sufficiente per evitarli. 

Si può  semplicemente rilevare per i due colossi del mare che gli stessi criteri innovativi di costruzione, i servizi previsti per l’emergenza, gli errori  di navigazione, la insufficienza delle imbarcazioni di soccorso e l’ essere ritenuti al di sopra di ogni possibile naufragio, traccino un interessante  confronto con gli eventi che hanno causato il loro affondamento. Vediamo il probabile e significativo parallelo.

 

Compartimenti  stagni

La Concordia, così come il Titanic, era normalmente dotata di compartimenti stagni  che avrebbero contenuto l’allagamento anche con il coinvolgimento di tre settori adiacenti danneggiati. Nel  caso della Concordia il cedimento delle pareti di contenimento hanno creato l’allagamento dell’intera nave.

 

La lamiera di costruzione

Per le moderne navi da crociera di grande stazza, è prevista una lamiera acciaiosa di adeguato spessore e composizione chimica. Il criterio di scelta sta nella possibilità di superare eventuali impatti senza subire lacerazioni, Infatti la lamiera utilizzata che viene denominata “navale”, oltre alla necessaria consistenza, possiede la caratteristica della flessibilità e dello stiramento all’urto, in modo che possa deformarsi ma non lacerarsi evitando le pericolosissime falle sotto il livello di galleggiamento.

La Concordia però, così come sembra il Titanic, per lo sfregamento della fiancata sullo scoglio è stata tagliata e accartocciata per la lunghezza per 70 m che l’ha aperta come si trattasse di una scatoletta. Ma di quale tipo di acciaio era costruito lo scafo della Concordia? Del  medesimo acciaio dello scafo della gemella Serena, ancora in servizio.

 

Imprudenza di navigazione  

Anche per la Concordia, come mutatis mutandis per il Titanic, non era prevista la rotta imprudente verso l’isola del Giglio che invece la nave percorse incorrendo nella collisione con uno scoglio imprevisto, davanti alle isolette delle Scole.

 

Tardivo avvistamento dell’ostacolo

La Concordia, così come il Titanic, pare non avesse predisposto la vedetta e i sistemi di rilevazione delle ecoscandaglio e della marca radar di sicurezza sembra fossero stati disattivati.

 

Ufficiale di guardia in luogo del comandante

Così come il Comandante del Titanic, anche il Comandante della Concordia in quella notte – in base alla relazione tecnica dei consulenti nominati dal Gip del Tribunale di Grosseto – era assente dal ponte di comando, subentrando in un secondo tempo, quando la nave ormai significativamente fuori rotta gli fu consegnata qualche minuto prima della collisione.

 

Errore del timoniere

Com’era accaduto con il timoniere del Titanic, anche il timoniere della Concordia – stando alle registrazioni della scatola nera – pur avendo ancora tempo sufficiente per evitare lo scoglio, mentre riceveva l’ordine dal Comandante: “20° a sinistra”, portò la barra a 20° a dritta. E solo dopo, ma troppo tardi, prima ha riportato la barra al centro per qualche secondo e poi ha eseguito il giusto comando a sinistra. Il risultato è stato un assurdo impatto sulla roccia emergente dall’acqua con tutta la tragedia che ne è seguita.

 

Lance di salvataggio

La stessa fatalità accomuna Titanic e Concordia riguardo alla mancanza delle scialuppe di salvataggio. Quantunque la Concordia ne fosse dotata. La causa fu l’impossibilità del personale di bordo di sganciare dai supporti di ancoraggio ben tre delle 12 lance di dotazione del ponte  sinistro che avrebbero consentito l’evacuazione di tutto il personale presente in quello stesso lato del transatlantico. Il risultato fu quello di dover necessariamente lasciare a bordo centinaia di persone, 32 delle quali perite  a causa del ribaltamento della nave. 

Da ultimo, a titolo simbolico della concomitanza degli eventi: il tempo di galleggiamento del Titanic, prima di affondare nel gelido oceano di quella notte, fu di circa due ore e 40 minuti; quello della Concordia, prima del suo ribaltamento in quella fredda notte d’inverno, esattamente cent’anni più tardi, fu di circa due ore e 57 minuti.

 

 

 


martedì 26 aprile 2022

TITANIC E CONCORDIA: lo stesso destino cento anni dopo


 

    

Nel fatidico centenario di ricorrenza tra i due più eclatanti eventi di affondamento dei transatlantici Titanic e Concordia con migliaia di passeggeri a bordo, i fatti avvenuti rievocano l’assurdo gioco del destino quando l’eccesso di sicurezza trascura l’eterno agguato dell’ “imprevisto “.

 

di Alberto Zei

 

Il presente articolo prende in considerazione le cause della collisione e dell’ inabissamento del Titanic. Nel  secondo articolo che sarà pubblicato domani verrà  trattata la sorprendente analogia con le condizioni del Titanic, le tragiche sequenze del tutto simili degli eventi e delle responsabilità dell’affondamento della Concordia.

 

  Corsi e ricorsi

Ancora una volta la intuizione del noto filosofo napoletano Giambattista Vico sui corsi e ricorsi delle grandi catastrofi storiche può in un certo modo, accordarsi con sorprendente  ripetizione e anche  in  eventi di minor spessore quando questi incidono  emotivamente sulla coscienza di un grande numero di persone. Si tratta di  situazioni che per la loro singolarità sembravano irripetibili ma che si ripresentano invece con caratteristiche del tutto simili a quelle dell’evento precedente.

Ciò significa che non abbiamo imparato niente di quanto è accaduto prima, oppure si crede che certi  fatti siano correlati dal caso, tanto da lasciare scandire gli eventi umani dalla ineluttabilità del destino.

Il 14 aprile scorso[1] ricorreva il giorno, ovvero la fatidica notte, in cui il  Titanic – il più innovativo transatlantico della sua epoca, per giunta  ritenuto inaffondabile – durante il suo viaggio inaugurale nel 1912 incontrò lungo la rotta al largo della Groenlandia  un iceberg alla deriva con il quale ebbe una grave collisione che ne determinò il tragico affondamento in meno di tre ore.

 

L’inaffondabilità

Si trattava di una nave concepita già da allora con i compartimenti stagni che avrebbero consentito, anche in caso di gravi danni, di mantenere con il loro vuoto la nave in linea di galleggiamento.

Ecco che già questo particolare avrebbe garantito la sua inaffondabilità quando invece il destino decretò al contrario, il suo tragico inabissamento.

Un’altra caratteristica della robustezza del Titanic consisteva nella fortissima resistenza del corpo nave agli urti anche più violenti, in quanto lo spessore e la durezza di quel tipo di acciaio utilizzato nella costruzione dello scafo avrebbe resistito anche alle massime sollecitazioni previste. Per quanto riguarda la saldatura delle lamiere tra loro, come nel caso della Torre Eiffel, questa operazione fu sostituita con milioni di ribattini di acciaio per la relativa congiunzione delle varie parti che avrebbero contenuto con pari o ancora maggiore tenacia la struttura dello scafo nella sua interezza.

Cos’altro ancora per rendere il transatlantico invulnerabile, il cui nome rappresentava la mitologica figura attribuita ad un invincibile gigante?

 

La prevedibilità….. dell’ imprevisto

Eppure c’è sempre l’imprevisto ossia un agguato con la sua catena degli eventi che come per volontà del destino o per errore umano  si mettono tutti insieme per intervenire uno dopo l’altro, nel modo peggiore da causare un improbabile risultato che però solo dopo ci si accorge con “ con il senno del poi“, che si sarebbe potuto evitare.

Per quanto riguarda la navigazione non possono sfuggire la sequenza degli  errori comuni probabilmente determinati dall’eccessiva sicurezza sotto tutti i punti di vista.

In primo luogo va detto che il Titanic ha attraversato un arco di Atlantico in cui in primavera inoltrata, eravamo infatti alla fine di aprile, si incontravano iceberg provenienti dalla calotta polare nella via delle correnti fredde dirette verso l’altra sponda dell’oceano che si allargavano con la loro presenza anche nel tratto di mare dove il transatlantico percorreva la rotta tracciata per quel viaggio.

Il Titanic  essendo  dotato di potenti motori avrebbe potuto allargare il percorso più a sud, senza il pericolo di incontri pericolosi come purtroppo in quella notte avvenne ma per questioni di emulazione di pubblicità per il record della traversata, preferì non allargare la rotta e non solo.

Infatti un’altra  concausa  che si  deve imputare alla negligenza del personale di bordo è che gli addetti alle comunicazioni radio, quantunque fossero stati in condizioni di ricevere la segnalazione di iceberg da parte di altre navi in transito, non erano presenti in tempo utile nella sala radio per ascoltare i messaggi, oppure, non hanno riferito al comandante o all’ufficiale di guardia, le informazioni ricevute. Questo è stato accertato dall’indagine dopo il disastro. Ma dove era il comandante durante il tempo in cui il Titanic transitava nel tratto di mare in presenza di iceberg?

Sempre nel campo operativo della rotta seguita dal Titanic, la responsabilità maggiore si deve forse imputare  all’equipaggio di vedetta che, durante la navigazione, pare non avesse a disposizione i binocoli di dotazione perché chiusi a chiave in un armadietto; binocoli che avrebbero consentito di avvistare in tempo idoneo il pericolo dell’iceberg sulla rotta della nave. Non solo, nonostante il tardivo avvistamento, sarebbe stato sufficiente ad evitare la collisione una manovra di allargamento dal  ghiaccio  eseguita nella giusta direzione. Ecco che qui entra pesantemente in campo la fatalità, oppure l’errore umano che rende ancora più difficile accettare l’affondamento del Titanic e le sue luttuose conseguenze.

 

L’ equivoco del timone

Quantunque la grande innovazione del motore avesse modificato tanto le modalità di navigazione, quanto gli ordini del comandante al timoniere, rispetto alla tipologia delle imbarcazioni  a vela  del passato, il retaggio dei tempi della tradizione avevano mantenuto i vecchi concetti della cibernetica dei bastimenti. Ossia il timone concepito come una superficie immersa nell’acqua e munita di una barra di comando a dritta e a sinistra.

Il termine di barra a dritta significava che il timoniere doveva eseguire questa operazione senza ulteriori interpretazioni, mentre l’imbarcazione girava dalla parte opposta, ossia a sinistra. Con l’avvento dei timoni più sofisticati collegati con cavi e pulegge alla ruota in mano al timoniere, il termine di barra a dritta si doveva intendere nel senso che la nave dovesse girare da quella parte e non dalla parte opposta.

Questo è stato il primo equivoco in cui è forse caduto il timoniere, posizionando su comando il timone come fosse una barra a mano dalla parte opposta a quella che avrebbe dovuto scansare l’iceberg. Così che invece di allontanarsi, il Titanic si avvicinò ulteriormente alla montagna di ghiaccio che emergeva dall’acqua. Invano fu il tentativo successivo di porre la barra nella giusta posizione, in quanto la nave non riuscì a riprendere il largo dal bordo dell’iceberg finendone contro  di struscio alla velocità di circa 30 km l’ora. Sarebbe bastato che il timoniere avesse eseguito in modo corretto il comando ricevuto che la nave si sarebbe allontanata sufficientemente, evitando il contatto.

 

Le vere cause dell’ affondamento

Ciò che di vero si è saputo, dopo il ritrovamento del relitto a circa 3000 m nel fondo dell’oceano, è stato accertato dall’ indagine sulle cause effettive di un affondamento così rapido, assolutamente non previsto anche nella peggiore delle ipotesi.

Si è infatti appreso che i rivetti di congiunzione delle lamiere erano di acciaio ricco di zolfo e che alle basse temperature dell’acqua oceanica gli stessi rivetti assumevano delle caratteristiche di fragilità allo strappo.

Questa è stata la ragione per cui la collisione avvenuta tra la fiancata della nave e l’ iceberg, ha praticamente strappato gli assi dei ribattini aprendo la lamiera come se questi non ci fossero mai stati. Ciò che ne è conseguito è stata una lunga apertura della paratia per diverse decine di metri sotto il livello del mare. Da qui l’acqua è entrata a dismisura come mai nessun altro tipo di collisione ipotizzata avrebbe potuto causare se le lamiere fossero state saldate o mantenute a contatto con ribattini di acciaio di qualità idonea alla deformazione plastica, ossia all’allungamento senza causare frattura.

Per quanto riguarda i compartimenti stagni, vera e propria innovazione nel sistema di sicurezza navale, questi avrebbero dovuto mantenere l’acqua penetrata all’interno della loro capienza, impedendo l’ulteriore allagamento del transatlantico. La ragione che gli scompartimenti non funzionarono come avrebbero dovuto, è imputabile alla incompleta ermeticità dei settori in quanto, nella  parte alta delle pareti vicino al soffitto, queste avevano un varco di areazione tra i vari locali. Così che l’acqua traboccando da uno scompartimento all’altro fuoriuscì, allagando la nave e rendendo vano lo stesso concetto vantato della sua inaffondabilità.

 

La beffa del…… destino?

Non finisce qui la serie delle perfide matriosche,  perché anche la qualità dell’acciaio con il quale è stato costruito il Titanic,  prevedeva la durezza alla compressione cioè all’urto, ma non alla flessione perché forse non era neanche concepibile un incidente che comportasse sollecitazioni di questo genere. Invece le cose sono andate diversamente in quanto il tipo d’acciaio utilizzato era reso ancor di più rigido e fragile (come ad esempio  il vetro); cosicché per la eccessiva e nociva presenza di zolfo  nelle lamiere, quando la nave cominciò ad affondare con la prua e la poppa si sollevò dall’acqua, l’acciaio non tenne il peso e, di lì a pochi minuti, il Titanic si spezzò in due parti, inabissandosi rapidissimamente.

 

Il capro  espiatorio

In considerazione della enorme gravità del naufragio non poteva mancare l’immediato capro espiatorio della situazione, individuato in Bruce Ysmay, Direttore Generale della Compagnia navale White Star, dello stesso Titanic, imbarcatosi in quel viaggio inaugurale. Questi si sarebbe macchiato di disonore per essere salito a bordo di un scialuppa di salvataggio quando  altre persone del suo stesso rango, oltre che  molte donne,  erano rimaste  sulla nave. Ha soprattutto suscitato  sdegno l’ accusa di aver vergognosamente  preso la prima canoa  per fuggir via. Egli fu riabilitato  soltanto in seguito, in virtù di testimoni che lo videro adoperarsi fino all’ estremo, nel far salire i passeggeri sulle imbarcazioni. Fu giustificato per  essere salito sull’ ultima canoa,  su richiesta delle stesse donne che si trovavano a bordo; canoa che partì con 40 persone mentre la capienza era di 47. Per quanto riguarda le imbarcazioni di salvataggio, i progettisti ritenevano che il numero delle lance di dotazione fosse sufficiente per qualsiasi evenienza, stante sempre la presunta inaffondabilità del transatlantico, sennonché l’evento catastrofico rivelò di quanto ci si potesse ingannare nelle previsioni.

Con l’ articolo di domani sarà tracciata la sequenza dei fatti che, a distanza di cento anni, sostanzialmente ripetono le analoghe circostanze del caso Concordia; circostanze che, nel loro insieme, ricordano come l’ eccesso di sicurezza aumenti sempre la gravità della tragedia, quando questa si verifica.

 



[1] Tra le ultime ore del 14 e le prime ore del 15 aprile 1912 naufragò il Titanic a causa della collisione con un iceberg. Cento anni dopo, il 13 gennaio 2012, la stessa sorte toccò al Concordia, per essersi andato a infrangere sugli scogli. Nella notte dello scorso 14 aprile ricorreva il centodecimo anniversario dell’affondamento del Titanic, a dieci anni di distanza da quello del Concordia.

 


lunedì 25 aprile 2022

25 Aprile 2022


 

 Per ricordare il 25 Aprile scelgo due brani: l’uno tratto da Sul Fascismo di Antonio Gramsci che, sebbene scritto addirittura prima dell’avvento del fascismo in Italia e dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (L'Ordine Nuovo, 11 marzo 1921), appare quanto mai attuale sul fascismo e sulla guerra in generale.

 

Il secondo brano è tratto dalla prefazione che Italo Calvino antepose in un momento successivo alla pubblicazione del suo primo romanzo: Il sentiero dei nidi di ragno, edito da Einaudi nel 1947 e considerato uno dei libri più belli scritti sulla Resistenza.

 

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«Cos'è il fascismo, osservato su scala internazionale? È il tentativo di risolvere i problemi di produzione e di scambio con le mitragliatrici e le revolverate. Le forze produttive sono state rovinate e sperperate nella guerra imperialista: venti milioni di uomini nel fiore dell'età e dell'energia sono stati uccisi; altri venti milioni sono stati resi invalidi; le migliaia e migliaia di legami che univano i diversi mercati mondiali sono stati violentemente strappati; i rapporti tra città e campagna, tra metropoli e colonie, sono stati capovolti; le correnti d'emigrazione, che ristabilivano periodicamente gli squilibri tra l'eccedenza di popolazione e la potenzialità dei mezzi produttivi nelle singole nazioni, sono state profondamente turbate e non funzionano più normalmente. Si è creata un'unità e simultaneità di crisi nazionali che rende appunto asprissima e irremovibile la crisi generale. Ma esiste uno strato della popolazione in tutti i paesi — la piccola e media borghesia — che ritiene di poter risolvere questi problemi giganteschi con le mitragliatrici e le revolverate, e questo strato alimenta il fascismo, dà gli effettivi al fascismo»

 

(Antonio Gramsci, Sul Fascismo, a cura di Enzo Santarelli,Editori riuniti, Roma, 1973, p.95)

 

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“[…]Questo romanzo è il primo che ho scritto. Come posso definirlo, ora, a riesaminarlo tanti anni dopo? (Devo ricominciare da capo. M'ero cacciato in una direzione sbagliata: finivo per dimostrare che questo libro era nato da un'astuzia per sfuggire all'impegno; mentre invece, al contrario...) Posso definirlo un esempio di « letteratura impegnata ». nel senso più ricco e pieno della parola. Oggi, in genere, quando si parla di « letteratura impegnata » ci se ne fa un'idea sbagliata, come d'una letteratura che serve da illustrazione a una tesi già definita a priori, indipendentemente dall'espressione poetica. Invece, quello che si chiamava l'« engagement », l'impegno, può saltar fuori a tutti i livelli; qui vuole innanzitutto essere immagini e parola, scatto, piglio, stile, sprezzatura, sfida.

Già nella scelta del tema c'è un'ostentazione di spavalderia quasi provocatoria. Contro chi? Direi che volevo combattere contemporaneamente su due fronti, lanciare una sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d'una Resistenza agiografia ed edulcorata. Primo fronte: a poco più d'un anno dalla Liberazione già la « rispettabilità ben pensante » era in piena riscossa, e approfittava d'ogni aspetto contingente di quell'epoca - gli sbandamenti della gioventù postbellica, la recrudescenza della delinquenza, la difficoltà di stabilire una nuova legalità -per esclamare: « Ecco, noi l'avevamo sempre detto, questi partigiani, tutti cosi, non ci vengano a parlare di Resistenza, sappiamo bene che razza d'ideali... » Fu in questo clima che io scrissi il mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: D'accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tatto composto di tipi un po' storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere! » Il senso di questa polemica, di questa sfida è ormai lontano: e anche allora, devo dire, il libro fu letto semplicemente come romanzo, e non come elemento di discussione su di un giudizio storico. Eppure, se ancora vi si sente frizzare quel tanto d'aria provocatoria, proviene dalla polemica d'allora…”

 S.M.


sabato 23 aprile 2022

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte V


 

SEGUE DA:

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte I

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte II

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte III

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte IV

 

 

 

 Il grafico astrologico di Venere-Afrodite, formato di un cerchio che sovrasta una croce, sul piano meramente figurativo fa pensare ad uno specchio e/o ad una chiave. È lo specchio con cui la dea rimira la propria bellezza e si compiace di sé. “Chi è la più bella del reame?”. Quale la dea che a buon diritto può fregiarsi del titolo di regina dell’Olimpo? Di sicuro è lei, Venere-Afrodite, che si vide assegnare da Paride la mela d’oro della più bella fra le dee.


 Com’è noto, nell’universo dei Greci, i miti sono tutti collegati tra loro. La mela – seconda per fama solo a quella che il serpente offre ad Eva nell’Eden – colta dal giardino delle Esperidi (e a questo punto si dovrebbe parlare della dodicesima e ultima fatica di Ercole), fu gettata al banchetto nuziale di Peleo e Teti da Eris, dea della discordia e sorella del dio della guerra (Marte) per vendicarsi di non essere stata invitata alle nozze. Eris accompagnò il lancio con la dichiarazione che dovesse essere assegnata alla più bella tra tutte le dee convenute al banchetto. Il risultato fu l’immediata contesa fra: Era-Giunone, Atena-Minerva ed Afrodite-Venere. Arbitro del giudizio fu designato il troiano Paride che assegnò il pomo a Venere. Scelta che avrebbe provocato più tardi la guerra di Troia, per la ricompensa accordatagli dalla dea che lo premiò con l’amore di Elena, considerata la donna più bella dell’epoca sua, moglie di Menelao e cognata del re greco Agamennone.

 

Significati astrologici collegati al glifo dello specchio di Venere si trovano nei due domicili del pianeta e cioè la terra prima del Toro e l’aria seconda di Bilancia, ma anche una Venere dominante nel tema di nascita rimanda agli stessi significati. 

 

Per DOMINANTE s’intende in astrologia quell’elemento (pianeta, casa o segno) particolarmente forte nell’oroscopo, come per esempio può esserlo un pianeta che posto in una casa angolare, e particolarmente al Medio Cielo o all’Ascendente, intrattenga rapporti (con aspetti più o meno benefici) con tutti gli altri pianeti o con la maggior parte di essi. I significati sono quelli del fascino, della socievolezza, della buona fortuna, dell’amabilità, del talento artistico, del buon eloquio etc… in positivo (qualora cioè non sia collocata in posizione disarmonica con gli altri pianeti), ma anche: narcisismo, pigrizia, futilità, infedeltà, lussuria, dilapidazione di beni o denaro etc… in negativo.


Quanto all’altra immagine della chiave, non c’è dubbio trattarsi della “chiave di vita” dell’immortalità, perché dall’amore che Venere rappresenta nasce e si riproduce di continuo la vita nel nostro universo.


Se guardiamo poi ai significati che hanno ispirato la costruzione del glifo di Venere, notiamo subito che il cerchio che sovrasta la croce (impugnatura dello specchio, ma anche simbolo del quaternario, dei quattro elementi: fuoco-aria-acqua-terra, del sesso femminile, tratto orizzontale, e di quello maschile, tratto verticale) può rappresentare il Sole cioè lo spirito che sovrasta la materia oppure il cerchio della Luna che si lascia dominare da passione, emotività e accidia.


Sul piano astrologico valgano qui le stesse considerazioni fatte sopra. Quando i luminari (Sole-Luna) sono in aspetto armonico con Venere è lecito parlare di longevità, giusto equilibrio di materia e spirito, di emozioni e ragione etc…, quando non lo sono, può essere vero il contrario...

 S E G U E

sergio magaldi


giovedì 14 aprile 2022

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte IV


 


SEGUE DA:

 

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte I

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte II

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte III

 

Un esempio letterario al riguardo lo fornisce un romanzo di Paolo Maurensig che per l’appunto s’intitola VENERE LESA, edito da Mondadori diversi anni fa. Nel risvolto di copertina del romanzo si trova scritto tra l’altro:



“Questo amore che si nutre del possesso come della sottrazione, dell’attaccamento come della rivalsa, trova il suo simbolo in una figura dell’astrologia, quella Venere LESA cioè incrinata, afflitta, ferita, che allude a un’ansia immedicabile, all’impossibilità della durata, a un gioco straziante che di eterno ha solo le regole che la governano".

L’autore del romanzo premette poi alla narrazione una citazione di J. Péladan che bene esemplifica la condizione per eccellenza di una Venere FORTE (così l’astrologo definisce un pianeta presente in un oroscopo, in positivo o in negativo, per la molteplicità degli aspetti e/o la sua particolare presenza in determinati e significativi luoghi del tema di nascita) e LESA in un tema femminile:

“La sua sfrontatezza viene immediatamente rivelata, a meno che non sia nata nell’ambito di un’alta classe sociale e che l’educazione non l’abbia fornita di una potente capacità di dissimulazione. La si incontra a tutte le gradazioni della galanteria professionale che è il suo vero destino. Cortigiana per vocazione, sa risvegliare i sensi e identificarsi in essi con un’arte prodigiosa. Ella chiama il fango che si nasconde nell’uomo e l’incatena attraverso un sapiente uso della lussuria. È lei che si ama fino ad uccidersi e che si disprezza fino all’omicidio…”

Farò ora solo qualche esempio pratico di interpretazione in base alla cosiddetta astrologia giudiziaria o previsionale. Quando, in un tema zodiacale, Venere non sia in esilio o in caduta (nei segni di Scorpione, Ariete e Vergine), nonché afflitta in una casa astrologica problematica, come Sesta, Ottava e Dodicesima, e si trovi congiunta al Sole, e la Luna nel cielo di nascita non sia particolarmente ostile, si può ragionevolmente argomentare da parte dell’interprete che il soggetto avrà vita lunga. D’altra parte, la presenza di Venere in Scorpione o nella Ottava casa, induce a far pensare a forti appetiti sessuali ancorché distorti (naturalmente anche in funzione di altri aspetti), come pure Venere Ascendente o nel segno dell’Ariete, fa pensare al fascino del nativo. Esemplare per quest’ultimo riguardo il tema di nascita di Marylin Monroe.


La famosa attrice – vero e proprio mito di bellezza femminile anche ai nostri giorni – nasce a Los Angeles alle 9.30 del 1 Giugno 1926, con Venere agli ultimi gradi di Ariete, in Nona casa, posizione questa non sfavorevole e addirittura stimolante per trovarsi in analogia col segno di FUOCO TERZO del Sagittario. Venere, inoltre, è congiunta al Mediocielo in Toro dove il pianeta ha il suo domicilio, il che rafforza ulteriormente il fascino della donna e rende comprensibile per l’astrologo anche la sua fortunata carriera di attrice (Com’è noto, infatti, il luogo privilegiato dall’interprete per osservare lavoro, carriera ed eventuale successo è appunto la Decima casa di nascita o Mediocielo). 

Tuttavia, la non felice posizione della Luna (opposta a Nettuno, quadrata a Saturno ecc…) nonché la dominante Marte-Plutone, Nettuno Ascendente e altre configurazioni planetarie rendono probabile anche e purtroppo la brevità della vita di Marylin e le tristi modalità della sua fine.

S E G U E

sergio magaldi

lunedì 11 aprile 2022

martedì 5 aprile 2022

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA Parte III


 

SEGUE DA:

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte I

ASTROLOGIA E ASTRONOMIA  Parte II

 

Non vorrei essere frainteso. È chiaro che gran parte dei significati che l’astrologia attribuisce a Venere derivano dai miti collegati alla dea ed è altrettanto vero che tali significati sono la proiezione fantastica che il corpo celeste, ovvero la sua veste fisica, ha generato nella psiche umana sin dai primordi e che la tradizione ha successivamente contribuito ad implementare. Naturalmente, non si tratta di miti isolati perché vanno sempre considerati in relazione alla complessa mitologia degli altri dei-pianeti e/o luminari ed alla particolare posizione che ciascuno di tali corpi celesti occupa nello spazio. Così, l’astrologo parlerà diversamente di un aspetto Venere – Marte piuttosto che di uno Venere – Giove e questo stesso aspetto sarà diversamente considerato in funzione del segno zodiacale in cui si colloca, delle cosiddette case di reciproca pertinenza, nonché della distanza espressa in gradi che intercorre tra i due pianeti e dall'osservazione dei rapporti che ciascuno dei due intrattiene con altri corpi celesti. In proposito, per ciò che riguarda lo zodiaco, ricordo che Venere ha domicilio nel Toro e nella Bilancia, è esiliata nei segni opposti rispettivamente dello Scorpione e dell’Ariete, si esalta nei Pesci ed è in caduta nell’opposto segno della Vergine. Domicilio (o governo o maestria) ed esaltazione sono posizioni genericamente favorevoli di Venere, mentre l’esilio e la caduta genericamente sfavorevoli. 

La mitologia della dea greca Afrodite, divinità d’origine orientale, si fonde presto con quella di un’antica dea italica, l’ALMA VENUS dei latini. Tre erano in Roma i santuari di Venere: presso il Circo Massimo, ai piedi dell’Aventino, sorgeva il tempio di Venere Murcia o Murtea che addolcisce la vita dell’uomo e ne asseconda le voglie, ma anche dea del mirto, simbolo di amore casto; nell’area dove la Cloaca Maxima entrava nel Foro, il tempio dedicato a Venere Cloacina a ricordo della pace tra Romani e Sabini dopo il famoso ratto delle donne sabine; e infine, in un luogo ignoto, l’edificio sacro a Venere Libitina, divinità del piacere (libet) ma anche della morte, per l’associazione che da sempre la psiche umana fa tra amore e morte. S’aggiunse poi il culto di VENUS VICTRIX (vincitrice) onorata in un tempio sul Campidoglio e più tardi quello di VENUS GENITRIX (genitrice), venerata da Giulio Cesare, che da lei faceva discendere la propria famiglia tramite l’eroe troiano Enea, e celebrata dal poeta latino Lucrezio nell’invocazione che apre il DE RERUM NATURA:

“Aeneadum genetrix,hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quondam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis:

te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum…”
 
Madre della stirpe di Enea, che il desiderio susciti
negli uomini e negli dei, alma Venere,
tu che rendi navigabile il mare con celesti segni,
e rechi alla terra abbondanti messi,
tu che causi la vita d’ogni essere animato
che nascendo si rallegra dei raggi del sole:
te, dea, fuggono i venti,
dileguano le nubi del cielo al tuo apparire,
per te la terra lucente fa spuntare fiori,
per te la distesa del mare sorride e brilla di luce splendente il cielo sereno…” 
(trad. mia)


 I significati generali della Venere astrologica sembrano dunque delinearsi nelle principali caratteristiche di Venere-Afrodite. La dea configura genericamente in astrologia i valori della vitalità e della cosiddetta solarità di una persona, le sue eventuali doti di fascino, bellezza, capacità d’amare, maternità, paternità, fecondità, dolcezza, tenerezza ed una carriera tendenzialmente votata all’arte, alla musica e alla danza (ma anche alle “minori” professioni di ostetrica, estetista, parrucchiera, commerciante di abbigliamento intimo e così via). E la musica, tra le arti di Venere, esprime nel linguaggio che le è proprio le armonie o le disarmonie del reale e, a buon diritto, può rappresentare una metafora dell’astrologia, non solo per gli aspetti correlati agli accordi e ai toni musicali, ma più in generale per tutti i corpi celesti  simbolicamente presenti nella scala musicale.  

In omaggio a Venus Victrix (Venere vittoriosa) il pianeta è anche considerato simbolo di FORTUNA MINOR (minore) in rapporto alla FORTUNA MAIOR (maggiore), per l’astrologo, a quanto pare, dispensata da Giove e di cui parlerò più avanti. Naturalmente purché non si tratti di una VENERE LESA, come gli astrologi definiscono l’infelice posizione di Venere in un tema di nascita, perché in tal caso tutte le qualità positive del pianeta si mutano come per magia nel loro contrario, e la grande capacità di amare diventa frigidità, gelosia e possesso, o intrigo di cortigiana, la vitalità si volge in malattie frequenti, la solarità in tetraggine e/o pratiche segrete di magia, la fortuna nelle piccole cose della vita in altrettanta sfortuna  e così via.

 sergio magaldi

 S E G U E


domenica 3 aprile 2022