Le Sei Reincarnazioni Di Ximen
Nao è un grande
romanzo. Le edizioni Einaudi lo hanno riproposto nella traduzione di Patrizia
Liberati, dopo l’assegnazione dell’ultimo Nobel per la letteratura [2012] al
suo autore, lo scrittore e sceneggiatore Guan Moye, più noto come Mo Yan, che
in cinese significa “Non voglio parlare”. La scelta di questo pseudonimo l’ha
chiarita lo stesso Guan Moye in una recente intervista, fornendo una triplice
motivazione. L’una di carattere personale e piuttosto ingenua, ancorché legata
alla sua ambizione letteraria: “Ho scelto
uno pseudonimo perché molti scrittori famosi sono diventati tali proprio con
uno pseudonimo”. L’altra di carattere familiare, legata ai ricordi di
quando era ragazzo, alla sua abitudine di parlare molto e ai continui moniti
dei genitori: “Ma non puoi evitare di
parlare, non puoi far finta di essere muto?”. La terza, infine, forse la
più interessante delle tre, di rilevanza politica. Dichiara infatti: “Durante la Rivoluzione culturale se si
parlava troppo e si dicevano cose sbagliate le conseguenze non erano piacevoli
per sé e per la propria famiglia”.
“Abbandonate le spoglie del toro, la mia anima tenace
rimase a volteggiare nel cielo sopra il campo di Lan Lian. Anche la mia
esistenza di toro era stata tragica. Re Yama aveva pubblicamente decretato che,
dopo essere stato asino, mi sarei reincarnato in un uomo e invece ero uscito
dalla pancia della mucca dalla coda di serpente. Ero ansioso di confrontarmi
con lui per accusarlo di essersi preso gioco di me, tuttavia non riuscivo a
distaccarmi dalla terra di Lan Lian e a lungo sostai lì sopra. Vidi il cadavere
del toro ridotto una poltiglia di carne e sangue; Lan Lian che piangeva di
dolore con la testa vicina a quella del toro; mio figlio Jinlong dal fisico
imponente con un’espressione ebete sul viso; il “piccolo Lan Lian”, figlio
della mia concubina Yingchun […]. Dopo che l’anima si fu distaccata dal corpo,
i ricordi della bestia si dileguarono e la memoria di Ximen Nao tornò a farsi
viva. Ero stato un brav’uomo che non meritava di morire, invece mi avevano
fatto fuori a colpi di fucile; persino Re Yama non poteva fare a meno di riconoscere
che ero stato ucciso ingiustamente […]:
- È vero,
l’hai detto, c’è stato un errore, e allora che
vogliamo fare? Io non ho l’autorità per farti rinascere come Ximen Nao; ti sei
reincarnato due volte e dovresti aver capito che l’era di Ximen Nao è finita da
tempo […]
- Vostra
altezza, - dissi affranto, in ginocchio sul freddo marmo del pavimento del
palazzo del re degli inferi. – Sire, anch’io vorrei dimenticare il passato, ma
non ci riesco. Quei ricordi amari mi stanno appiccicati addosso, come un
ascesso che infetta un osso, come un batterio tenace. Quando ero asino mi
ricordavano il risentimento di Ximen Nao e, come toro, mi impedivano di
dimenticare l’ingiustizia che avevo subíto. Vostra altezza, i ricordi del
passato mi torturano.
- Possibile che il decotto,
per dimenticare l’anima, di comare Meng, mille volte più
potente di un narcotico, non ti faccia nessun effetto? – chiese perplesso Re
Yama” [pp.269-270].
Già, perché a Ximen Nao capita ciò che, mutatis mutandis, accade ad Er nel
famoso mito del X Libro della Repubblica
di Platone. Lì, ad Er è impedito di bere l’acqua del fiume Lete che produce nelle
anime l’oblio delle vite precedenti, qui è lo stesso Ximen ad evitare con uno
stratagemma di bere la pozione di comare Meng che cancella ogni ricordo del
passato. Le similitudini con la concezione platonica della metempsicosi non
finiscono qui. Stesso il giudizio che attende le anime dopo la morte, con premi
e castighi per i giusti e gli iniqui, ciò che si è soliti chiamare karma. C’è tuttavia una differenza
sottile, ed è interessante notarla perché riflette la differenza tra la mente occidentale e quella orientale. Ximen non “si sceglie” come asino, né
come toro o maiale. La sorte gli viene assegnata dai giudici del mondo infero.
In Platone, la responsabilità è di chi sceglie, non della divinità. In
definitiva, tuttavia, il risultato non cambia, perché per il grande filosofo greco
ognuno fa una scelta conseguente alla sua vita passata, così, per esempio,
chi ha avuto motivo di soffrire a causa della propria debolezza, cercherà di
reincarnarsi nella pelle di un leone…
“Il lavoratore in proprio è
un ponte a un tronco solo,
traballa ad ogni passo, tre volte fa su e
giù,
alla fine cade, affoga e non c’è più.
La Comune Popolare è la strada per il cielo,
il socialismo un ponte tutto d’oro,
per sradicare la povertà e seminare
prosperità.
Lan Lian, vecchio cocciuto,
se rimani in proprio sei in un vicolo cieco.
Una singola merda di topo può guastare una
giara d’aceto […]” [p.140]
Nell’opporre resistenza
a minacce, sberleffi e lusinghe, Lan Lian si fa forte , di fronte ai dirigenti
comunisti del villaggio di Ximen, delle parole di Mao e così risponde alle
pressioni dei familiari che inutilmente cercano di convincerlo:
- Ve
l’ho già detto: dovrà essere Mao Zedong in persona a ordinarmi di entrare nella
Comune. Lui ha detto:“Alle Comuni si accede volontariamente e se ne esce
liberamente”: come possono obbligarmi? Sono forse più importanti di Mao Zedong?
Io non mi rassegno:voglio proprio vedere se le parole di Mao Zedong contano
qualcosa.” [Ibid.]
E le parole di Mao contano, ma da sole non
bastano, a Lan Lian occorrerà anche la protezione di un funzionario provinciale
del Partito, che nel frattempo si è “invaghito” del suo asino, e che gli farà
rilasciare uno speciale attestato per permettergli di continuare a lavorare in
proprio. Ma con l’arrivo della Grande Rivoluzione Culturale, lanciata da Mao nel
1966, neanche il “pezzo di carta” gli sarà sufficiente per proteggersi dalle
guardie rosse. Riceverà la punizione, sottoforma di faccia dipinta di vernice
rossa, ma continuerà, più testardo che mai, a rifiutarsi di entrare nella
Comune, finché cessato il vento rivoluzionario, riprenderà il lavoro in proprio,
raggiungendo risultati persino superiori a quelli della Comune.
Mo Yan descrive con ironia e garbato sarcasmo
il periodo della Rivoluzione Culturale, come nell’episodio della vecchia
venditrice di polli:
“Durante la
Rivoluzione Culturale nei mercati non c’era grande scambio di merci, e la gente
si riuniva lì per godersi lo spettacolo. Era l’inizio dell’inverno, la maggior
parte delle persone indossava giacche imbottite, e alcuni giovani portavano
abiti sfoderati per seguire la moda. Sul braccio di tutti c’era una fascia
rossa […]. Una vecchia venditrice di polli, tenendone uno per le zampe, stava
davanti alla porta della cooperativa dei consumi, una fascia rossa al braccio.
Qualcuno le chiese: - Zia, siete entrata anche voi nelle guardie rosse? – Lei
rispose, facendo boccuccia: - La lotta rossa: come si fa a non partecipare? –
Di quale fazione siete? Di quelli del ‘Monte Jinggang’ o della ‘Furia della
Scimmia d’oro’? – Vaffanculo, non parlarmi di queste stupidaggini, comprami un
pollo, altrimenti fuori dai piedi!” [pp.184-5].
O nel parlare delle solette ricamate da
Baofeng [figlia di Ximen Nao, così come Jinlong, il fratello che diventerà
potente segretario del Partito a Ximen, nonché ricco imprenditore] per Chang,
il capo del distretto, detto anche Primo somaro, di cui è innamorata:
“Per le
giovani delle nostre parti regalare solette ha il valore di una promessa di
nozze. Erano ricamate con una coppia di anatre mandarine che giocavano
nell’acqua. Dai fili rossi e verdi, dai mille punti e i diecimila fili del disegno
delicato traboccava un affetto profondo. Il Primo somaro prese le solette
dicendo: - Ti prego di dire alla compagna Lan Baofeng che anatre mandarine e
farfalle rispondevano ai gusti capitalisti dei padroni; l’estetica del
proletariato si esprime attraverso il pino, il sole rosso, l’oceano, le
montagne, la torcia, la falce e la scure. Se deve ricamare, che ricami queste
cose […]” [p.192].
O ancora nell’illustrare la campagna “allevate
suini in abbondanza”, di cui è testimone Ximen Nao, durante la sua terza reincarnazione
come maiale:
“Le foglie
degli alberi di albicocche erano di un rosso cinabro, nel cielo non c’era una
nuvola per diecimila miglia e presso l’allevamento suino degli albicocchi della
Brigata di produzione di Ximen nel distretto di Gaomi si tenne la prima
riunione della campagna “allevate suini in abbondanza” […] Per fortuna era una
stagione morta per il lavoro agricolo, e nei campi non c’erano messi […] ma
fosse anche stato il periodo dei ‘tre grandi compiti’ – arare, seminare, raccogliere
– non sarebbe importato nulla, in quegli anni la politica era prioritaria e la
produzione veniva dopo; allevare suini era la politica: la politica era tutto e
il resto doveva dare la precedenza alla politica […] Hong Taiyue […]Disse: -
Compagni membri della Comune […] spinti dal vento rivoluzionario, eleveremo il
lavoro di allevamento suino a nuove vette. Ora alleviamo soltanto un migliaio
di animali, dovremo allevarne cinque, diecimila, e quando sarete arrivati a
ventimila andremo a Pekino a portare la buona notizia al vecchio Presidente
Mao! […] Jinlong sul palco blaterava a ruota libera: - Dirigenti e compagni, in
tutta onestà possiamo affermare che il mangime saccarificato da noi
sperimentato ha riempito un vuoto in ambito internazionale. Per prepararlo
utilizziamo foglie di alberi, erbacce e stoppie del raccolto, ossia ricicliamo
queste sostanze trasformandole in ottima carne di maiale, per nutrire le masse
e scavare la fossa all’imperialismo, al revisionismo, alla controrivoluzione…
[…] – Ogni maiale è un colpo di cannone lanciato contro la fortezza reazionaria
dell’imperialismo, del revisionismo e della controrivoluzione… - urlava il
funzionario agitando il pugno nell’aria, con un impeto da trascinatore di
folle” [pp.306-308, 328 e 334].
Nella sua quarta reincarnazione come cane,
Ximen Nao diventa testimone di una contrastata storia d’amore tra il suo
padrone Lan Jiefang [figlio di Lan Lian] già infelicemente sposato, e Pang
Chunmiao, più giovane di lui di vent’anni. In realtà, Quartino è più il cane
del figlio del suo padrone ufficiale e di sua moglie, l’ineffabile Huang Huezo
che non ha mai amato il marito, ma che non intende concedergli il divorzio,
manifestando tutta la sua rabbia con un messaggio pubblico, scritto col proprio
sangue. L’antipatia che Quartino-Ximen Nao nutre per Jiefang non è solo dovuta
al suo ruolo di guardiano e protettore della casa e della famiglia che la abita,
si lega anche a motivazioni di carattere personale…
“Non stavi dormendo affatto, ti eri rintanato nello
studio, e sulla scrivania avevi messo a bella posta una copia delle Opere scelte di Lenin. Un individuo dal
cervello pieno di corrotte idee capitaliste come te che legge i lavori di
Lenin? Puah! Uno dei soliti trucchi per evitare di dormire insieme alla mia padrona
[…] Memorizzavo il tuo odore, una base di angoscia acre mista a un sentore di
fumo; quello di tua moglie, una tristezza acida coperta dall’olio rancido e
dalla tintura di iodio; l’odore di tuo figlio, che era un miscuglio aspro e
amaro dei vostri due odori, lo conoscevo da tempo. A Ximen, sarei riuscito a
tirar fuori le sue scarpe dal mucchio, ad occhi chiusi. E tu osasti cacciarmi
di casa, relegandomi nella stanza del carbone. Ma quale cane vorrebbe vivere
nella casa degli uomini? Per sentire il tanfo dei vostri piedi, il fetore delle
vostre scoregge, l’afrore delle vostre ascelle, il vostro alito puzzolente? Ma
all’epoca ero ancora un cucciolo: avresti potuto tenermi in casa per una notte,
sarebbe stato un gesto di bontà, però tu…! Tra di noi la faida iniziò allora.” [pp.533-34].
L’opposizione dei familiari di entrambi gli
amanti, lo scandalo per il Partito, per il quale Lan Jiefang ricopre l’incarico
di vicesegretario della cooperativa dei consumi, mostrano i pregiudizi e i tabù
ancestrali di questo comunismo contadino, ma al tempo stesso rivelano la forza
dirompente dell’amore… quando è vero! Mo Yan ci intrattiene in più di una
pagina sulla passione che travolge Jiefang e Chunmiao, anche lasciando
trapelare l’inesorabile legge karmica che, in un modo o nell’altro, prima o
poi, si abbatterà su tutti i protagonisti della vicenda.
“Nell’attimo del bacio, i nostri occhi erano aperti,
così vicini… Le lacrime, le leccai, salate e rinfrescanti. Mia buona Chunmiao,
perché? È un sogno, perché? Lan, fratello mio, sono tua, prendimi… Mi sforzavo
di lottare, come l’uomo che mentre affonda cerca di reggersi a una pagliuzza di
riso, ma non ci riuscii. Un bacio ci unì di nuovo e ci lasciò in fin di vita,
il resto poi fu inevitabile.
Ci sdraiammo
abbracciati sullo stretto lettino da campo che non era troppo piccolo per noi.
– Chunmiao, sorellina, ho vent’anni più di te, sono un mostro, ho paura di
farti del male, meriterei di morire… - Farfugliavo in modo inarticolato. Lei mi
accarezzava il viso, la barba a spuntoni. La sua bocca vicino al mio orecchio
mi faceva il solletico; mi disse:
-
Ti
amo…
-
Perché?
-
Non
lo so…
-
Mi
prenderò le mie responsabilità…
-
Tu
non sei responsabile, è stata una mia scelta. Sarò tua cento volte, soltanto
allora me ne andrò.
Ero un vecchio toro affamato
davanti a un tenero filo d’erba.
Ben presto le cento volte
furono consumate, ma ormai non potevamo più separarci.
Non volevamo che la
centesima finisse mai. Lei mi accarezzava; piangendo disse: - Guardami bene,
non dimenticarmi… “ [p.562].
Non aggiungo altro.
La bellezza di questo libro può essere gustata solo immergendosi nella
lettura delle 730 pagine che lo compongono e il talento di Mo Yan va ben oltre
i fatti che racconta e/o alcune delle motivazioni con cui gli è stato conferito
il Premio Nobel: “Con realismo
allucinatorio, egli è capace di fondere insieme fiabe popolari, storia e
contemporaneità”.
sergio magaldi