Il referendum costituzionale della seconda
metà di settembre non sembra presentare reali incognite quanto al suo esito. Molte
invece le implicazioni di carattere politico. Gli ultimi sondaggi, anche se con
il No al taglio dei parlamentari in
rimonta, assegnano il 66% al Sì e il
34% al No. Percentuali che non
lasciano adito al dubbio, anche se le sorprese sono sempre possibili
soprattutto quando - come in questo caso - le posizioni dei partiti che
influenzano il voto dei cittadini sono strumentali.
I
Cinquestelle che hanno la paternità dell’iniziativa del “taglio” si schierano
tutti per il Sì. È la loro posizione
di sempre e lo è tanto più oggi che il loro consenso si è dimezzato. È una
modalità per sopravvivere facendo leva sul sentimento di antipolitica diffuso
nell’opinione pubblica per l’inconcludenza dei parlamentari, le loro prebende,
le tante corruzioni. C’è di più: è anche un mezzo per evitare la fine
anticipata della legislatura o addirittura per posticiparla: la vittoria del Sì determina infatti la necessità di
riformare i collegi e successivamente di varare una nuova legge elettorale.
Templi biblici per chiunque abbia una conoscenza anche soltanto superficiale
della politica italiana.
Il
Partito Democratico dichiara ufficialmente di doversi schierare per il Sì nel rispetto dell’accordo di governo
con i Cinquestelle, ma lascia intendere chiaramente che preferirebbe il No. E in effetti i neodemocristiani sono
gli unici a trarre vantaggi qualunque sia l’esito del referendum: il Sì assicura la continuità di governo e
il varo di una legge elettorale proporzionale, il No una definitiva supremazia sui Cinquestelle e il loro inevitabile
assorbimento, nonché una ritrovata verginità come paladini della democrazia
rappresentativa così com’è concepita oggi, e cioè con la scelta dei
parlamentari da parte delle segreterie politiche dei partiti.
La
Lega appare divisa e paradossalmente ha una posizione simile al PD.
Ufficialmente è per il Sì con Salvini
che, convinto com’è dai sondaggi, teme di schierarsi con gli sconfitti, ma che
lascia libertà di coscienza, tant’è che Borghi ha fatto sapere qualche giorno
fa le motivazioni che lo inducono a votare No.
Tutto
qui il significato del voto referendario: nelle manovre politiche che faranno
seguito al voto. Nulla di ciò che viene contrabbandato come il senso della
votazione dai paladini della democrazia formale – per i quali l’Italia
risulterebbe gravemente danneggiata dal non essere più il paese europeo con il
maggior numero di parlamentari - e dai sostenitori del “taglio”, fatto per
risparmiare e portare acqua al mulino della democrazia diretta. Conservatori i
primi, senza proporre riforme per far fronte alla crisi della democrazia
rappresentativa; velleitari i secondi, incapaci di realizzare le tanto
strombazzate riforme di democrazia sostanziale.
sergio
magaldi