La giornalista
Sandra Bonsanti, sulla base della propria esperienza professionale e delle
molte interviste raccolte nel corso degli anni, racconta l’Italia degli ultimi
cinquant’anni, dilaniata da lotte intestine per l’accaparramento del denaro e
l’esercizio del potere. Lo fa con una chiave universale che le permette di
entrare nelle stanze segrete del potere per mostrare “di che lacrime grondi e
di che sangue” il Belpaese e perché.
L’aspetto più
sconcertante della ricostruzione storica fatta dall’attuale presidente
dell’associazione Libertà e Giustizia
è innanzi tutto nella divisione manichea tra agenti del bene e agenti del male,
individuati tra i membri della classe politica che governò il Paese. Emerge
così, chi da una parte lavorò in difesa della Repubblica, dall’altra coloro che
si mossero tra Stato e Antistato, spesso
a contatto con organizzazioni malavitose, centrali lobbistiche, servizi segreti
ed eversione di destra e di sinistra.
Altro che “casta
della politica”, corrotta e privilegiata, superficiale e inconcludente, altro
che oscillazioni tra Stato e Antistato! Il
quadro che emerge dalle analisi della Bonsanti è quello di un gruppo dirigente
– con l’eccezione di quanti vengono citati per nome e cognome e che Gustavo
Zagrebelsky ricapitola nella Postfazione del libro [p.237] – che fa del crimine
un “instrumentum regni”, senza naturalmente mai apparire in prima persona,
lasciando sul campo solo voci incontrollate ad uso delle chiacchiere da
salotto.
Coerenza avrebbe
voluto che la Bonsanti, oltre a raccontare e a “lasciare intendere”, avesse
tratto delle conclusioni, senza servirsi della nebulosa metafora di “Stato e
Antistato”, per descrivere la gestione del potere da parte di chi – secondo la
sua ricostruzione dei fatti – più che servire la Repubblica, pensava unicamente
e con ogni mezzo a servire se stesso e le lobby di cui era parte.
Come interpretare
altrimenti affermazioni di questo tenore? “Santillo era un onesto e fedele servitore dello
Stato. I suoi rapporti però furono ignorati […]. La struttura di Santillo fu silurata alla vigilia del sequestro Moro
per iniziativa del ministro dell’Interno Francesco Cossiga” [pp.33-34], il quale Cossiga
sostituì il nucleo antiterrorismo di Emilio Santillo, con il comitato di crisi
formato di autorevoli rappresentanti delle più alte cariche dello stato, che la
commissione di Tina Anselmi rivelò più tardi essere per la maggior parte
iscritti alla P2 [p.69], e ancora: “Andreotti era lo Stato e l’Antistato, Gelli era il potere
occulto, Carmelo Spagnuolo era la giustizia compromessa e la vecchia mafia.
Santillo era un bravo poliziotto e un servitore onesto” [p.37].
Del resto, sin dai
primi tempi della sua attività di giornalista, recandosi in Sicilia, la
Bonsanti si era fatta un’idea di come funzionasse l’Italia: “Mi era parso di capire che
lo Stato, la nostra Repubblica, fosse nelle mani di un gruppo di mafiosi che
contendevano ad altri mafiosi l’amicizia e la protezione di Fanfani e di
Andreotti, che il secondo stesse scalzando il primo (Salvo Lima aveva
abbandonato il proconsole fanfaniano Giovanni Gioia già nel 1968) e che attorno
a questo duello, che materialmente si combatteva in Sicilia a colpi di tessere
di partito, affari, traffici di droga e morti ammazzati, fra vecchi e nuovi
padrini, ruotassero tutte le vicende della politica italiana”[pp.19-20].
Salvo a ricredersi più
tardi, quando scopre che la tela è assai più vasta e complessa e che la madre
di tutte le vicende della politica italiana era rappresentata dalla “loggia P2 di Licio Gelli, di
Michele Sindona e dei loro padrini politici”[p.20]. Ecco trovato nel piduismo il grimaldello per comprendere i tanti misfatti, tutti
volti a controllare denaro e potere nell’intento, in un primo tempo, di una
“violenta occupazione” dello Stato, secondo il progetto politico contenuto
nello Schema R. [dove R. sta per rivoluzionario], e in secondo tempo nel
tentativo, grazie all’apporto del cosiddetto Piano di rinascita democratica, di “rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione
di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi
dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini
elettori”, [p.45].
Non c’è dubbio che
le analisi della Bonsanti, per quanto in gran parte già note, per tutto quello
che negli ultimi decenni è stato scritto sugli stessi argomenti, suscitino una
qualche attenzione, soprattutto laddove si tratti di apprendere qualche
particolare in più. Come pure, è sensato imputare ad alcuni iscritti alla P2 probabili
responsabilità in merito a fatti che misero a dura prova la vita della
Repubblica, riconoscendo alla magistratura il merito di aver talora riempito il
vuoto lasciato da un potere esecutivo, spesso imbelle e condizionato dagli
interessi e dalle fazioni. Desta invece più di una perplessità la
semplificazione con la quale la giornalista arriva a concludere che tutti i
mali dello stato italiano siano imputabili al piduismo, soprattutto se si considerano gli argomenti utilizzati
per sostenere questa tesi:
1)L’appartenenza dei piduisti alla Massoneria. 2)La
presenza nel mondo degli affari di iscritti alla loggia di Licio Gelli. 3)
L’attribuzione non dimostrata alla P2 della regia di ogni intrigo e mistero
italiano. 4)L’esistenza del Piano di
rinascita democratica con il fine preciso di trasformare la Repubblica
democratica in stato autoritario, soprattutto attraverso le modifiche
costituzionali.
L’ultimo punto, sul quale la Bonsanti insiste
particolarmente, è divenuto quanto mai attuale proprio in questi giorni in cui
il Parlamento è chiamato ad esprimersi sulle riforme costituzionali e sulla
legge elettorale. Osserva in proposito Marco Travaglio su Il fatto quotidiano del 15 Luglio u.s., che “se andrà in porto la
controriforma elettorale e costituzionale” voluta da Renzi e Berlusconi con il patto del Nazareno,
Licio Gelli e la loggia P2 saranno finalmente accontentati.
«Quanto al Parlamento –
scrive tra l’altro Travaglio - il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche.
“Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali
diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il
modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2°
grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno
spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle
Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo
punto (l’Italicum,
con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino
troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i
consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il
Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di
espropriare il Senato del voto
di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il
Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera
preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza
economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio
vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del
premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio».
Insomma,
le analisi di Travaglio mi sembrano la puntuale conclusione delle affermazioni
contenute nel libro della Bonsanti e, del resto, già il 28 Marzo, Il fatto quotidiano aveva riportato
l’appello di Libertà e Giustizia
contro le riforme:
“Stiamo assistendo impotenti
al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento
esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del
2014, per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio
poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la
semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo
Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i
cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità
del PD è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano
che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole
e ora in sordina accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il
leader del PD a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora
più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito
questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a
fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che
vale a rendere giusto ciò che è sbagliato. Una democrazia plebiscitaria non è
scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha
rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il
leader che la propone”.
In
merito non posso che ripetere quanto già scrivevo allora, aggiungendo soltanto
che il cosiddetto Piano di rinascita
democratica non è un male in sé e
che, se al suo interno vi sono elementi simili a quelli che potrebbero essere
utilizzati per uscire dalla paralisi legislativa in cui il Paese versa da
troppi anni, non bisogna averne timore né demonizzarli:
“Il bicameralismo perfetto è bello perché rende
l’Italia l’unico Paese al mondo capace di esercitare l’autentica democrazia.
Già, perché si sostiene che l’abolizione del Senato elettivo e legislativo,
sostituito dalla Camera delle autonomie, con rappresentanti non retribuiti ed
eletti indirettamente dai cittadini attraverso le consultazioni regionali e
comunali, rappresenterebbe una svolta autoritaria in senso illiberale. In altre
parole, il vero esercizio della democrazia consisterebbe nella quasi totale
paralisi e/o nel sistematico insabbiamento delle leggi, costrette a rimbalzare
per anni tra una Camera e l’altra del Parlamento”. [Sull’intera questione, rimando al post del 1
Aprile 2014: Bicameralismo perfetto è bello!].
sergio
magaldi