martedì 26 aprile 2022

TITANIC E CONCORDIA: lo stesso destino cento anni dopo


 

    

Nel fatidico centenario di ricorrenza tra i due più eclatanti eventi di affondamento dei transatlantici Titanic e Concordia con migliaia di passeggeri a bordo, i fatti avvenuti rievocano l’assurdo gioco del destino quando l’eccesso di sicurezza trascura l’eterno agguato dell’ “imprevisto “.

 

di Alberto Zei

 

Il presente articolo prende in considerazione le cause della collisione e dell’ inabissamento del Titanic. Nel  secondo articolo che sarà pubblicato domani verrà  trattata la sorprendente analogia con le condizioni del Titanic, le tragiche sequenze del tutto simili degli eventi e delle responsabilità dell’affondamento della Concordia.

 

  Corsi e ricorsi

Ancora una volta la intuizione del noto filosofo napoletano Giambattista Vico sui corsi e ricorsi delle grandi catastrofi storiche può in un certo modo, accordarsi con sorprendente  ripetizione e anche  in  eventi di minor spessore quando questi incidono  emotivamente sulla coscienza di un grande numero di persone. Si tratta di  situazioni che per la loro singolarità sembravano irripetibili ma che si ripresentano invece con caratteristiche del tutto simili a quelle dell’evento precedente.

Ciò significa che non abbiamo imparato niente di quanto è accaduto prima, oppure si crede che certi  fatti siano correlati dal caso, tanto da lasciare scandire gli eventi umani dalla ineluttabilità del destino.

Il 14 aprile scorso[1] ricorreva il giorno, ovvero la fatidica notte, in cui il  Titanic – il più innovativo transatlantico della sua epoca, per giunta  ritenuto inaffondabile – durante il suo viaggio inaugurale nel 1912 incontrò lungo la rotta al largo della Groenlandia  un iceberg alla deriva con il quale ebbe una grave collisione che ne determinò il tragico affondamento in meno di tre ore.

 

L’inaffondabilità

Si trattava di una nave concepita già da allora con i compartimenti stagni che avrebbero consentito, anche in caso di gravi danni, di mantenere con il loro vuoto la nave in linea di galleggiamento.

Ecco che già questo particolare avrebbe garantito la sua inaffondabilità quando invece il destino decretò al contrario, il suo tragico inabissamento.

Un’altra caratteristica della robustezza del Titanic consisteva nella fortissima resistenza del corpo nave agli urti anche più violenti, in quanto lo spessore e la durezza di quel tipo di acciaio utilizzato nella costruzione dello scafo avrebbe resistito anche alle massime sollecitazioni previste. Per quanto riguarda la saldatura delle lamiere tra loro, come nel caso della Torre Eiffel, questa operazione fu sostituita con milioni di ribattini di acciaio per la relativa congiunzione delle varie parti che avrebbero contenuto con pari o ancora maggiore tenacia la struttura dello scafo nella sua interezza.

Cos’altro ancora per rendere il transatlantico invulnerabile, il cui nome rappresentava la mitologica figura attribuita ad un invincibile gigante?

 

La prevedibilità….. dell’ imprevisto

Eppure c’è sempre l’imprevisto ossia un agguato con la sua catena degli eventi che come per volontà del destino o per errore umano  si mettono tutti insieme per intervenire uno dopo l’altro, nel modo peggiore da causare un improbabile risultato che però solo dopo ci si accorge con “ con il senno del poi“, che si sarebbe potuto evitare.

Per quanto riguarda la navigazione non possono sfuggire la sequenza degli  errori comuni probabilmente determinati dall’eccessiva sicurezza sotto tutti i punti di vista.

In primo luogo va detto che il Titanic ha attraversato un arco di Atlantico in cui in primavera inoltrata, eravamo infatti alla fine di aprile, si incontravano iceberg provenienti dalla calotta polare nella via delle correnti fredde dirette verso l’altra sponda dell’oceano che si allargavano con la loro presenza anche nel tratto di mare dove il transatlantico percorreva la rotta tracciata per quel viaggio.

Il Titanic  essendo  dotato di potenti motori avrebbe potuto allargare il percorso più a sud, senza il pericolo di incontri pericolosi come purtroppo in quella notte avvenne ma per questioni di emulazione di pubblicità per il record della traversata, preferì non allargare la rotta e non solo.

Infatti un’altra  concausa  che si  deve imputare alla negligenza del personale di bordo è che gli addetti alle comunicazioni radio, quantunque fossero stati in condizioni di ricevere la segnalazione di iceberg da parte di altre navi in transito, non erano presenti in tempo utile nella sala radio per ascoltare i messaggi, oppure, non hanno riferito al comandante o all’ufficiale di guardia, le informazioni ricevute. Questo è stato accertato dall’indagine dopo il disastro. Ma dove era il comandante durante il tempo in cui il Titanic transitava nel tratto di mare in presenza di iceberg?

Sempre nel campo operativo della rotta seguita dal Titanic, la responsabilità maggiore si deve forse imputare  all’equipaggio di vedetta che, durante la navigazione, pare non avesse a disposizione i binocoli di dotazione perché chiusi a chiave in un armadietto; binocoli che avrebbero consentito di avvistare in tempo idoneo il pericolo dell’iceberg sulla rotta della nave. Non solo, nonostante il tardivo avvistamento, sarebbe stato sufficiente ad evitare la collisione una manovra di allargamento dal  ghiaccio  eseguita nella giusta direzione. Ecco che qui entra pesantemente in campo la fatalità, oppure l’errore umano che rende ancora più difficile accettare l’affondamento del Titanic e le sue luttuose conseguenze.

 

L’ equivoco del timone

Quantunque la grande innovazione del motore avesse modificato tanto le modalità di navigazione, quanto gli ordini del comandante al timoniere, rispetto alla tipologia delle imbarcazioni  a vela  del passato, il retaggio dei tempi della tradizione avevano mantenuto i vecchi concetti della cibernetica dei bastimenti. Ossia il timone concepito come una superficie immersa nell’acqua e munita di una barra di comando a dritta e a sinistra.

Il termine di barra a dritta significava che il timoniere doveva eseguire questa operazione senza ulteriori interpretazioni, mentre l’imbarcazione girava dalla parte opposta, ossia a sinistra. Con l’avvento dei timoni più sofisticati collegati con cavi e pulegge alla ruota in mano al timoniere, il termine di barra a dritta si doveva intendere nel senso che la nave dovesse girare da quella parte e non dalla parte opposta.

Questo è stato il primo equivoco in cui è forse caduto il timoniere, posizionando su comando il timone come fosse una barra a mano dalla parte opposta a quella che avrebbe dovuto scansare l’iceberg. Così che invece di allontanarsi, il Titanic si avvicinò ulteriormente alla montagna di ghiaccio che emergeva dall’acqua. Invano fu il tentativo successivo di porre la barra nella giusta posizione, in quanto la nave non riuscì a riprendere il largo dal bordo dell’iceberg finendone contro  di struscio alla velocità di circa 30 km l’ora. Sarebbe bastato che il timoniere avesse eseguito in modo corretto il comando ricevuto che la nave si sarebbe allontanata sufficientemente, evitando il contatto.

 

Le vere cause dell’ affondamento

Ciò che di vero si è saputo, dopo il ritrovamento del relitto a circa 3000 m nel fondo dell’oceano, è stato accertato dall’ indagine sulle cause effettive di un affondamento così rapido, assolutamente non previsto anche nella peggiore delle ipotesi.

Si è infatti appreso che i rivetti di congiunzione delle lamiere erano di acciaio ricco di zolfo e che alle basse temperature dell’acqua oceanica gli stessi rivetti assumevano delle caratteristiche di fragilità allo strappo.

Questa è stata la ragione per cui la collisione avvenuta tra la fiancata della nave e l’ iceberg, ha praticamente strappato gli assi dei ribattini aprendo la lamiera come se questi non ci fossero mai stati. Ciò che ne è conseguito è stata una lunga apertura della paratia per diverse decine di metri sotto il livello del mare. Da qui l’acqua è entrata a dismisura come mai nessun altro tipo di collisione ipotizzata avrebbe potuto causare se le lamiere fossero state saldate o mantenute a contatto con ribattini di acciaio di qualità idonea alla deformazione plastica, ossia all’allungamento senza causare frattura.

Per quanto riguarda i compartimenti stagni, vera e propria innovazione nel sistema di sicurezza navale, questi avrebbero dovuto mantenere l’acqua penetrata all’interno della loro capienza, impedendo l’ulteriore allagamento del transatlantico. La ragione che gli scompartimenti non funzionarono come avrebbero dovuto, è imputabile alla incompleta ermeticità dei settori in quanto, nella  parte alta delle pareti vicino al soffitto, queste avevano un varco di areazione tra i vari locali. Così che l’acqua traboccando da uno scompartimento all’altro fuoriuscì, allagando la nave e rendendo vano lo stesso concetto vantato della sua inaffondabilità.

 

La beffa del…… destino?

Non finisce qui la serie delle perfide matriosche,  perché anche la qualità dell’acciaio con il quale è stato costruito il Titanic,  prevedeva la durezza alla compressione cioè all’urto, ma non alla flessione perché forse non era neanche concepibile un incidente che comportasse sollecitazioni di questo genere. Invece le cose sono andate diversamente in quanto il tipo d’acciaio utilizzato era reso ancor di più rigido e fragile (come ad esempio  il vetro); cosicché per la eccessiva e nociva presenza di zolfo  nelle lamiere, quando la nave cominciò ad affondare con la prua e la poppa si sollevò dall’acqua, l’acciaio non tenne il peso e, di lì a pochi minuti, il Titanic si spezzò in due parti, inabissandosi rapidissimamente.

 

Il capro  espiatorio

In considerazione della enorme gravità del naufragio non poteva mancare l’immediato capro espiatorio della situazione, individuato in Bruce Ysmay, Direttore Generale della Compagnia navale White Star, dello stesso Titanic, imbarcatosi in quel viaggio inaugurale. Questi si sarebbe macchiato di disonore per essere salito a bordo di un scialuppa di salvataggio quando  altre persone del suo stesso rango, oltre che  molte donne,  erano rimaste  sulla nave. Ha soprattutto suscitato  sdegno l’ accusa di aver vergognosamente  preso la prima canoa  per fuggir via. Egli fu riabilitato  soltanto in seguito, in virtù di testimoni che lo videro adoperarsi fino all’ estremo, nel far salire i passeggeri sulle imbarcazioni. Fu giustificato per  essere salito sull’ ultima canoa,  su richiesta delle stesse donne che si trovavano a bordo; canoa che partì con 40 persone mentre la capienza era di 47. Per quanto riguarda le imbarcazioni di salvataggio, i progettisti ritenevano che il numero delle lance di dotazione fosse sufficiente per qualsiasi evenienza, stante sempre la presunta inaffondabilità del transatlantico, sennonché l’evento catastrofico rivelò di quanto ci si potesse ingannare nelle previsioni.

Con l’ articolo di domani sarà tracciata la sequenza dei fatti che, a distanza di cento anni, sostanzialmente ripetono le analoghe circostanze del caso Concordia; circostanze che, nel loro insieme, ricordano come l’ eccesso di sicurezza aumenti sempre la gravità della tragedia, quando questa si verifica.

 



[1] Tra le ultime ore del 14 e le prime ore del 15 aprile 1912 naufragò il Titanic a causa della collisione con un iceberg. Cento anni dopo, il 13 gennaio 2012, la stessa sorte toccò al Concordia, per essersi andato a infrangere sugli scogli. Nella notte dello scorso 14 aprile ricorreva il centodecimo anniversario dell’affondamento del Titanic, a dieci anni di distanza da quello del Concordia.

 


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