venerdì 7 marzo 2014

Omaggio a LA GRANDE BELLEZZA




 Nel post del 29 Maggio 2013, nel presentare LA GRANDE BELLEZZA  [clicca per leggere], sottolineavo come il lavoro di Paolo Sorrentino, unico film italiano presente a Cannes, non avesse ottenuto riconoscimenti ufficiali, ma più di un apprezzamento da parte della stampa internazionale. Fenomeno questo, tanto più sorprendente se confrontato con lo scarso elogio che la stampa nazionale riservò allora al film del regista napoletano. Con il risultato che, dopo Cannes, il film ha cominciato a collezionare trofei, sino a quello più agognato di tutti: l’Oscar per il miglior film straniero, dopo quello assegnato 15 anni fa al cinema italiano, per La vita è bella di Roberto Benigni.







 Credo che la critica italiana abbia commesso allora l’errore di vedere il film in una prospettiva meramente felliniana. Lo stesso errore nel quale sono incorso anch’io, quando ho visto il film per la prima volta.  Perché, è vero che  La grande bellezza ha del cinema di Fellini la fantasia e il caleidoscopio delle immagini, è vero che il film di Sorrentino è dichiaratamente un omaggio al grande romagnolo, persino nel riproporre una galleria di personaggi di varia e disperata umanità, peraltro solo impropriamente assimilabili a quelli ben più bizzarri e sanguigni che affollano le scene dei film di Fellini: nani e  corpi nudi di “ragazze” ultracinquantenni che non suscitano più il desiderio, attori falliti, attricette che passano dalla velleità di recitare a quella di scrivere, erotomani, cocainomani, illusionisti del trucco per ridare la giovinezza, principi decaduti che si affittano per le feste dei nuovi ricchi, bambine prodigio che imbrattano tele e le vendono a caro prezzo, macchiette di cardinali, suore e suorine e persino una santa vecchia che parla alle cicogne. Ma, soprattutto, è vero che ad essere diversa è la filosofia che sottende il tutto.

 La splendida interpretazione di Toni Servillo non serve a far rivivere “la dolce vita”, ma semmai a rimpiangerla. Le passeggiate romane di Jep Gambardella non ci aiutano a riconoscere una grande bellezza, deturpata dal tempo e dall’incuria dell’uomo, perché Roma non è la grande bellezza, più di quanto non lo siano Atene o Firenze: la natura, l’arte, il sogno, l’amore, forse soltanto il primo amore, e soprattutto la vita sono la grande bellezza  che tenta di resistere al nulla, simbolicamente rappresentato dalla città eterna in cui continueranno ad agitarsi, finché potranno, Jep Gambardella e i suoi amici.

 È  il monologo finale a farci consapevoli - semmai ce ne fosse il bisogno - che, sotto la veste felliniana, il film di Sorrentino ha poco in comune con il vitalismo di cui fu portatore il grande maestro, e proprio in questo consiste la sua originalità e la sua bellezza. Mentre la “santa vecchia” s’arrampica con sofferenza e indicibile sforzo lungo i gradini della scala santa, ecco risuonare le parole eloquenti e dimesse di Jep Gambardella:

 Finisce sempre così… con la morte. Prima però c’è stata la vita… nascosta sotto il bla… bla… bla… bla… bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore… il silenzio e il sentimento… l’emozione e la paura… gli sporadici inconsistenti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile… tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo…














 sergio magaldi


Nessun commento:

Posta un commento