Il cielo di Natal [Brasile], sotto il quale si è disputata la partita tra l'Italia e l'Uruguay |
Alla vigilia della sfida decisiva per l’accesso agli
ottavi di finale del campionato del mondo, Tabárez dichiarava di aver ricevuto
“un dono del cielo” nel dover incontrare un avversario come l’Italia. E subito
gli addetti ai lavori nostrani, nei media
e nella carta stampata, lodavano la finezza e la sapienza dell’anziano commissario
tecnico dell’Uruguay, prendendola alla lettera come un riconoscimento del
grande valore dell’avversario, nella fattispecie, l’Italia del pallone. A
nessuno è venuto in mente che il ringraziamento pubblico, per il dono venuto
dal cielo, poteva intendersi più velatamente come la consapevolezza di una
vittoria annunciata, dopo aver preso visione della modestia della squadra
azzurra e della sua insipienza tattica.
A ognuno il suo, e se Tabárez e gli
uruguayani ringraziano il cielo, gli italiani sono invece grati a Prandelli del
dono fatto alla nazione, nel dimettersi dall’incarico di commissario tecnico,
subito dopo la disfatta che ci butta fuori del mondiale già al primo turno.
E dire che questa volta Prandelli aveva messo
da parte l’abituale e “signorile” testardaggine, dando ascolto ai tanti che lo
sollecitavano a schierare contro l’Uruguay la difesa a tre della Juventus, con il
miniblocco juventino, Verratti e il tandem d’attacco Balotelli-Immobile. Anch’io
l’ho ritenuta la soluzione migliore, pur sottolineando la necessità di
sostituire con Parolo – più adatto all’interdizione – un affaticato e spento
Marchisio [vedi il post e clicca sul titolo per leggere: MONDIALI DI CALCIO: perde Prandelli…].
Ebbene, nel primo
tempo, l’Italia non ha demeritato, dando anche l’impressione di poter segnare,
se solo avesse osato di più. Quale è stato “il colpo di genio” del nostro
commissario tecnico nel secondo tempo? Preoccupato che Balotelli potesse essere
espulso per via di un cartellino giallo ricevuto nel corso dei primi 45 minuti,
Prandelli lo lasciava nello spogliatoio, dando forte il messaggio che la
squadra si accontentava del pareggio, risultato comunque utile per passare il
turno. Si tornava così all’unico attaccante abbandonato a se stesso delle gare
precedenti, insomma più o meno alla stessa disposizione tattica che Prandelli
ha sempre avuto in mente, sin da quando ha stilato la lista dei 23 per il
Brasile. Cadendo inoltre nel tranello pubblicamente annunciato dagli uruguayani
prima della sfida: eliminare di scena Balotelli, così sensibile alle
provocazioni e che, pur non lasciando intravedere un elevato stato di forma, era
pur sempre una mina vagante, tanto da impegnare non meno di due o addirittura
tre difendenti.
La legge karmica è inesorabile: il timore di restare in dieci è stato fatale
a Prandelli, perché Immobile s’è infortunato, lasciando l’Italia senza attaccanti, e l’arbitro ha espulso lo stanco e nervoso Marchisio, reo di un
calcio allo stinco di un avversario, proprio sotto gli occhi del direttore di
gara. Incredibili le contromisure prese dallo stratega della nostra nazionale:
l’ingresso di Cassano come unica punta [!] e poi quello di Thiago Motta [il
peggiore in campo contro il Costa Rica], allorché s’è fatto male anche Verratti
[quanto male? Non è stata affrettata la sua sostituzione?], unica nota positiva
del centrocampo azzurro.
È così iniziato
l’assedio dell’Uruguay nella nostra metà campo e si è subito sentito che il goal della “celeste” era nell’aria.
E infine è arrivato. Su calcio d’angolo, per un colpo di testa smorzatosi a
mezza altezza da terra che, se avesse incontrato un giocatore italiano posizionato
sul primo palo [già, perché non c’era? L’organizzazione difensiva di Prandelli
non lo prevedeva?], probabilmente non sarebbe entrato in porta.
Ma le
responsabilità di Prandelli non escludono le responsabilità, addirittura
maggiori di altri. A cominciare dalla FIGC [Federazione Italiana Gioco Calcio]
che non fa nulla per promuovere i vivai giovanili e che consente alle squadre
italiane del massimo campionato di schierarsi in campo senza calciatori
italiani, come è avvenuto in passato per l’Inter, o con un solo italiano, come
per il Napoli [Insigne] o per la stessa Inter [Ranocchia] di quest’anno, o con
due o tre italiani, come avviene di regola per la maggior parte delle squadre,
se si escludono Juventus e Roma,
destinate prima o poi anch’esse ad uniformarsi alla moda che favorisce
l’importazione dei giocatori e l’arricchimento dei procuratori, con la
giustificazione politica della libera circolazione dei “lavoratori” del
pallone. Se non si avrà il coraggio di introdurre la regola – già inutilmente
ventilata in passato – che il tesseramento libero e semilibero di calciatori
comunitari ed extracomunitari debba essere affiancato dall’obbligo che almeno
sei giocatori degli undici schierati sul rettangolo di gioco siano italiani [intendendo per italiani anche
gli oriundi e i naturalizzati], presto sarà persino impossibile allestire la
nazionale di calcio.
sergio magaldi
Nessun commento:
Posta un commento