venerdì 7 ottobre 2022

IL VACCINO CHE NON E' UN VACCINO


 

Sarebbe più convincente per tutti attribuire ai termini il loro giusto significato in modo da evitare che si continui a contestare una cosa per un’ altra

 

di  Alberto Zei


A seguito della contrastata campagna promozionale delle diverse tipologie dei vaccini, andrebbe chiarito una volta per tutte che nessuno di questi “vaccini“ rispondeva alle caratteristiche preventive basate sugli anticorpi prodotti direttamente contro il covid. Infatti il meccanismo terapeutico provocato dalla sostanza inoculata non crea direttamente anticorpi contro il coronavirus ma induce una relazione nell’organismo che genera degli spike (protuberanze puntiformi) i quali a loro volta si posizionano sul recettori cellulari ostruendo la penetrazione del virus all’interno della cellula.

Si è trattato dunque di un espediente che stante le condizioni di emergenza ha comunque impedito anche se  solo in parte, conseguenze più gravi.

 

Ma di quale vaccino si tratta - Dopo alcuni mesi dalla somministrazione del vaccino la protezione dei recettori cellulari che impediva al coronavirus di posizionarsi sugli stessi, si affievolisce. Ciò avviene in modo progressivo ma mediamente, in 4 o 5 mesi, la protezione si riduce sensibilmente tanto che dal punto di vista statistico la percentuale di copertura assume valori poco significativi.

Sembra infatti accertato, stante il numero degli ammalati di covid dopo la prima efficacia del vaccino, che il sistema immunitario rimanga depresso quando i recettori cellulari si liberano dagli spike che hanno impedito al virus di penetrare nelle cellule. Quindi l'effetto lasciato dalle attuali tipologie dei vaccini somministrati – in luogo di alzare le difese nel futuro contro gli antigeni della stessa specie coronavirus – finisce al contrario col diminuire la capacità reattiva  del sistema immunitario.

In particolare, una delle attuali varianti del covid, denominata  Omicron,  si è  avvalsa della sintesi con un virus influenzale. Questa combinazione tra i due agenti patogeni ha comportato anche una variante nelle conseguenze patologiche: la componente influenzale di maggior contagio ha ridotto quella della virulenza tipica del covid. Il risultato al momento  è la maggiore contagiosità e la minore gravità dell’infezione.

 

Prospettive future - Questa è la situazione attuale ma la prossima variante potrebbe essere di differenti caratteristiche. Il meccanismo che domina il cambiamento di base sull’introduzione del RNA del virus, è una proteasi (enzima) delle cellule umane, denominata  furina.  Senza scendere nei dettagli di questo enzima, va solo detto che la furina fornisce  al  virus che penetra nella cellula il servizio di renderlo adeguato alla riproduzione. Il quadro operativo della malattia è pertanto attivato da un segmento di RNA estraneo al virus  originale ma presente al suo interno, in quanto  risulta ora introdotto nella sequenza di replicazione. Sorge allora la domanda perché mai non si elimina questo enzima. Se si trattasse di una proteina del virus non sarebbe un problema eliminarla in qualche modo ma, trattandosi del segmento di una proteasi umana introdotta nel virus, le conseguenze si rifletterebbero anche sull’intero organismo poiché la furina ha più di 200  funzioni riguardanti le cellule umane che, pertanto, ne risulterebbero danneggiate.

La questione che si pone è dunque come si possa venir fuori da una problematica di questo genere dal  momento che siamo di fronte a un problema che non ammette soluzioni. La risposta è machiavellica. Occorre aggirare l’ ostacolo. In altri termini, se non è possibile eliminare questa proteina, dovrebbe però essere possibile intervenire indirettamente affinché la stessa proteina non si comporti in modo favorevole alla riproduzione del virus.

 

La furina -  Per meglio comprendere il perché la furina è così importante, è bene  accennare brevemente alla sua funzione all’interno del virus, una volta che questo penetra nella cellula. La furina, in estrema sintesi, è un segmento proteico posto all’interno della struttura virale del RNA, come chiuso da una sub struttura che lo contiene.

Quando il virus  penetra all’interno della cellula, questa struttura si apre per fare uscire quanto serve allo stesso virus per duplicarsi. Nell’ attuale mutazione Omicron in cui prevale la contagiosità, la funzione della furina è di produrre delle sostanze intercellulari che si prestano alla rapida replicazione virale e  che hanno la caratteristica della notevole contagiosità. Per far questo la furina dispone di due particolari aperture, ma secondo la  tipologia virale, la furina apre la porta  alle  sostanze necessarie al virus di questa specie, ossia all’Omicron.

In caso di ulteriore mutazione del codice genetico con una specie di maggiore virulenza, la  furina  dispone dell’altra apertura che in tal caso utilizzerebbe in luogo dell’attuale. Le due  porte che caratterizzano la fuoriuscita delle sostanze deputate alle necessità di riproduzione  del ceppo virale attivo, mantengono la loro alternanza a seconda della qualità dell’ infezione, ossia della  contagiosità piuttosto che della  virulenza  o viceversa.




Le ondate virali -  Le successive mutazioni del covid prevarranno a secondo dei meccanismi naturali utilizzati da questo virus  per la sopravvivenza della specie; condizioni queste sulle quali non sembra proprio che fino adesso si possa intervenire con successo.

Le note di speranza nel  contesto delle ondate di pandemia che si prevedono nel prossimo futuro è quello di intervenire sulla furina che però non può essere eliminata perché, come già detto, è indispensabile all’organismo umano.

Da quanto è dato sapere l’ intervento della furina virale all’ interno della cellula  potrebbe però essere  bloccato, almeno in teoria. La  furina che apre la via all’ uscita di componenti essenziali per la riproduzione del virus inizialmente veniva contrastata con la somministrazione di sostanze terapeutiche, contenenti zinco. Solo che, con il passare del tempo, il virus ha trovato il modo di fare aprire la furina ugualmente. Quindi lo zinco almeno in parte, è stato ormai superato dal meccanismo di sopravvivenza del coronavirus.

La ricerca attuale è quella di avvalersi di altri elementi di simile effetto dello zinco per impedire l’apertura delle furine, come potassio, calcio o altro. Tutto ciò  è ancora in fase sperimentale. D’altra parte non possiamo ragionevolmente attenderci che il covid così come si sta trasformando, possa regredire spontaneamente nel tempo, come fu per l’infezione  SARS di qualche anno fa. Infatti per la qualità della struttura  di cui il coronavirus  è stato dotato, non è destinato a regredire in modo spontaneo ma a mutare ulteriormente, in particolare con l’alternanza tra contagiosità e virulenza. Questa alternanza non possiamo prevederla e pertanto non sapremo se la prossima variante mantenga o no l’attuale caratteristica dell’ Omicron.

 

Il vaccino del prossimo futuro - Ma se il vaccino non è un vaccino di quale vaccino si parla?

Il peccato originale, per così dire, è proprio nel farmaco che viene utilizzato anche con  risultati positivi contro il coronavirus: gli viene attribuito il termine di vaccino mentre si tratta di altro  preparato con diverso  meccanismo terapeutico.

In un precedente articolo si è già detto in proposito che i vaccini somministrati non avevano le caratteristiche di contrapporsi attraverso la formazione di anticorpi all’infiltrazione virale del coronavirus. Si trattava di generare, attraverso l’inoculazione dello pseudo vaccino, degli spike che, come il cappello lasciato sulla sedia del teatro per mantenere il posto occupato, si posizionavano sopra i ricettori cellulari impedendo al covid di penetrare all’interno della cellula. Ma per quanto tempo? Da quanto è dato sapere il tempo di copertura non andava più là di qualche mese, abbandonando l’occupazione del recettore in modo progressivo, tanto che al quinto mese la percentuale di efficacia si riduceva poco sopra  del  10%. La questione più importante è forse quella relativa alle conseguenze di questa copertura che avrebbe dovuto, alla stregua dei vaccini, contribuire alle difese immunitarie generando anticorpi proprio contro la malattia che il vaccino dovrebbe prevenire.

Al contrario, per quanto riguarda il coronavirus, quando la protezione dei recettori occupati si esaurisce, la capacità di opporsi al covid, anziché aumentare a seguito del vaccino somministrato,  diminuisce.


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