Dopo
aver creduto che seminando nel campo dei miracoli i suoi zecchini d’oro [circa il 24% dei voti di cui disponevano insieme
il PD e il NCD, al netto dei voti negati dalla sinistra del partito
democratico], questi si sarebbero più che raddoppiati [nonostante il 70%
dell’elettorato fosse nelle mani di tutti gli altri partiti], consentendogli di
vincere il Referendum e di continuare a governare, Matteo Renzi compiva il “bel
gesto” [controproducente, rispetto alle intenzioni, lo giudica questa mattina
Ferrara su Il foglio] di dimettersi da presidente del consiglio con un
compromesso che consegnava il suo governo al fido Gentiloni. Da quel momento,
confidando nella fatina azzurra, Renzi lavorava alacremente per andare il più
presto alle urne, forte di quel 41% che la semina gli aveva comunque fatto
raccogliere. Allo scopo, dimenticando il passato, chiamava a raccolta il gatto
e la volpe e con loro lanciava un’opa per andare a votare in primavera. Ma la
fatina azzurra non ama gli animali populisti e, un po’ con le buone, un po’ con
le cattive, gli intima una volta per tutte di uscire dalla favola e Matteo
Renzi sembra prenderne atto e si mostra disponibile a fare marcia indietro.
Nell’odierna intervista a Massimo Franco sul Corriere
della Sera, l’ex sindaco di Firenze lascia infatti trasparire una nuova
consapevolezza: la bacchetta magica in questo infelice Paese è saldamente nelle
mani del correntone democristiano del suo partito e della ex nomenklatura del
partito comunista, entrambi illuminati dal vecchio e dal nuovo inquilino del
Colle. Ma soprattutto una cosa sembra comprendere Renzi: se vuole sopravvivere
nella politica italiana, deve dismettere quei toni e quegli atteggiamenti da
“straordinaria presenza” che gli hanno permesso di scalare il vertice del PD e
del governo, e rientrare il più in fretta possibile nella normalità. Solo a
questa condizione gli sarà consentito di prendere parte [ma non da
protagonista] alla “gestione del nulla” di questa vergognosa classe dirigente
che, passo dopo passo, spingerà l’Italia nel baratro. D’altra parte, nella sua
coscienza di cattolico, Renzi continua a rimproverarsi di essere stato
sconfitto nel Referendum e sente di doverne pagare le conseguenze e non lo
sfiora minimamente l’idea laica che a metterlo fuori gioco sia stata in realtà
la semina dei suoi “zecchini” nel campo dei miracoli, sperando ingenuamente,
e/o accecato da ubris, che raddoppiassero.
Ma la nota più intrigante e al tempo stesso
più comica del giorno è rappresentata dal giubilo che si leva dalle forze
trasversali del NO al voto, nell’apprendere che a due mesi di distanza
dal Referendum e dopo la sentenza della Consulta, bisognerà ora attendere un
altro mese per conoscere le motivazioni della sentenza costituzionale, prima di
mettere mano ai “ritocchi” dell’Italicum e del Consultellum, cioè delle sole
due leggi attualmente valide per eleggere rispettivamente i rappresentanti del
popolo alla Camera e al Senato. Una ammissione di impotenza e una
manifestazione di ipocrisia che serve unicamente a: 1) Preservare, almeno per
il momento, l’unità del partito democratico. 2) Tenere a bada i Cinquestelle,
nell’auspicio che le vicende della Raggi, col passare delle ore sempre più
complesse sotto il profilo giudiziario, facciano diminuire il consenso nei
confronti del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. 3) Consentire alla
minoranza del PD di organizzarsi e di trovare nuove alleanze per modo di
togliere di mezzo una volta per tutte Matteo Renzi. 4) Ridare fiato a Forza Italia
perché recuperi nell’ambito del centrodestra i voti che oggi perderebbe a
favore della Lega e di Fratelli d’Italia. 5) Trovare un accordo per spostare il
premio di maggioranza dalle liste alle coalizioni, prefigurando così le forze
di governo del dopo-voto e spegnendo di fatto ogni velleità di governi
“straordinari”, formati anche accidentalmente dai cosiddetti partiti populisti.
6) Permettere agli onorevoli di prima nomina di utilizzare i contributi versati
per aggiudicarsi una pensione dopo 4 anni, sei mesi e rotti di lavoro
parlamentare.
Insomma, se gli italiani si aspettavano di
andare alle urne in primavera, è quasi certo che nella bella stagione – che
prelude ai bagni di sole, di mare e ai viaggi e alle vacanze per quelli che
possono permetterselo –troveranno una stangata fiscale per recuperare i 3,4
miliardi di sforamento di bilancio che Eurogermania ci intima di pagare e che
il governo italiano, succube della propria tradizionale impotenza, pagherà
volentieri, prendendo i soldi dalle nostre tasche e attribuendone la
responsabilità a Matteo Renzi per aver distribuito [male e con intenzioni
puerili: il Sì al voto referendario] qualche mancia alla popolazione,
sottraendola comunque al tritacarne degli sprechi, della corruzione e delle
prebende. Con il risultato che, quando tra un anno o poco più si andrà
finalmente a votare, lo “straordinario” patrimonio renziano del 41% si sarà
ampiamente polverizzato.
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