domenica 14 gennaio 2024

RILEGGERE SARTRE (P.4a. Sartre nella critica di cattolici e marxisti)


 

 Meno di un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 





Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:








RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà

la Repubblica

25 gennaio 2023

 

 SEGUE DA:

https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p3a-sartre-nel-teatro.html


https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p2a-sarte-filosofo.html


https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p-1a-sartre-narratore.html



Sartre nella critica di cattolici e marxisti

 

 Maurice Merleau-Ponty negli articoli «Un auteur scandaleux» e «La Querelle de l'existentialisme» (pubblicati nel '45 su Les Tempes Modernes e riprodotti nel saggio Sens et non sens, Nagel, Paris, 1948) fa il punto delle critiche che cattolici e marxisti rivol­gono a Sartre e all'esistenzialismo. Egli si chiede perché i critici parlino quasi all'unanimità di fango, d'immoralità e di mollezza e cita un critico di gusto come Emile Henriot scandalizzato dall'«orribile e sozzo» episodio di L'Age de raison, allorché Ivitch, dopo aver bevuto sino a star male, vomita e Sartre osserva: «Un aspro odore di vomito emanava dalla sua bocca così pura, Mathieu respirò appassionatamente quell'odore». Osserva Merleau-Ponty: «Senza alzare il tono e senza cercare il paradosso, si può trovare nella frase di L'Age de raison che tanto urta Emile Henriot come un piccolo sublime, senza eloquenza e senza illusioni, che è, credo, un'invenzione del no­stro tempo. Si parla da un pezzo dell'uomo come angelo e animale insieme, ma la maggior parte dei critici sono meno arditi di Pascal: trovano ripugnante mescolare l'angelico e l'animale nell'uomo, occorre loro un al di là del disordine umano e se non lo trovano nella religione, lo trovano in una religione del bello»[1]

D'altronde la fama di Sartre scrittore che ha il gusto dell'orri­bile, del sozzo e dell'osceno non si placa, ma al contrario si diffonde sempre più qualche anno dopo la pubblicazione di L'Etre et le Néant. Su Sartre si riversa, in tutta la sua asprezza, non soltanto la critica letteraria, ma ben più agguerrita e sottile la critica fìlosofica. Ciò che non si può tollerare è che Sartre non soltanto dipinga di oscenità i suoi romanzi e le sue pièces ma che addi­rittura pretenda di teorizzare tali cosiddette oscenità in un trattato fìlosofico.

Già nel '44 Gabriel Marcel aveva definito la filosofìa di Sartre come una dottrina «crudamente materialistica» e come un’autentica violenza che si esercita soprattutto sulle coscienze dei giovani [2]. Cattolici e comunisti si scagliano violentemente contro Sartre e l'esistenzialismo, ma l'aspra polemica non fa che accrescere la fortuna di Sartre e l'entusiasmo dei giovani nei suoi confronti:
«A sinistra, i settimanali e le riviste sono invase da articoli critici che pubblicano o non pubblicano. A destra si moltiplicano gli anatemi. Le ragazze nei collegi vengono messe in guardia contro l'esistenzialismo come contro il peccato del secolo. La Croix del 3 Giugno parla d'un pericolo “più grave del razionalismo del XVIII secolo e del positivismo del XIX”. E’ notevole che, quasi sem­pre, si rimandi a più tardi la discussione di fondo. Le critiche assu­mono la forza di avvertimenti ai fedeli, e l'opera di Sartre è desi­gnata come un veleno da cui bisogna guardarsi piuttosto che una filosofia da discutere; la si condanna in base alle sue conseguenze orribili più che per la sua falsità intrinseca. E' una questione d'urgenza, e la cosa più urgente è stabilire un cordone sanitario. Non è certo una prova di forza, nelle dottrine consolidate, rifiutarsi alla discussione. Se è vero che molti giovani accolgono con favore la nuova filosofia, per convincerli ci vuol altro che le critiche astiose che ignorano deliberatamente il problema posto dall'opera di Sartre»[3].

Il cattolico Mercier osserva come nella filosofia di Sartre non ci sia più posto per lo Spirito e come, in luogo del bene e della virtù (identi­ficazioni dell'essere), Sartre proponga la libertà come il nulla del­l'essere[4]. Non meno violento è l'attacco che padre Roger Troisfontaines rivolge a Sartre in un saggio a lui dedicato: «Cos'è un uomo che non ha ancora 40 anni e che frequenta il caffè? Guardatelo, finito su uno sgabello di tela incerata in un posto qualsiasi. Se vive abitualmente in questo luogo pubblico è perché non ha una casa propria, un focolare attorno al quale la sua famiglia potrebbe raccogliersi, dove potrebbe ricevere i suoi cari. Quelli che chiama amici sono dei vaghi compagni e l'amore lo fa con donne di passaggio. Di politica, ah! Egli discute sin troppo ma senza impegnarsi veramente se non per criticare o complottare: impegno sociale, vita civile, mestiere, tutto ciò che sarebbe valido, costruttivo finisce col morire su quella porta a vetri. Non parliamo poi di vita religiosa... né d'amore per la natura... Cosa ne resta in questo am­biente artificiale dove gli stessi prodotti della terra si consumano in piccoli bicchieri in uno stato di fermentazione avanzata? L'uomo al caffè, tolti tutti gli ormeggi, tagliato fuori da ogni rapporto organico col mondo, gli altri uomini e Dio, il fiume della vita l'ha respinto sulla sponda in solitudine»[5]

Nella seconda edizione del libro (1946) viene riportata una conversazione svoltasi a Bruxelles il 23 ottobre del 1945 tra Sartre e Troisfontaines: Sartre risponde alle accuse che gli erano state rivolte dal sacerdote e filosofo cattolico obiettando innanzi tutto a Troisfontaines di fare del caffè un male in sé e inoltre dicendo: «E' vero che tra­scorro le mie giornate al caffè, e dalla mattina alla sera. Ma voi l'interpretate male, poiché lì io sono ben più «impegnato» che a casa mia. Nella mia camera, ho voglia di distendermi sul letto. Al caffè lavoro: è là che ho com­posto i miei libri (...) Cosa mi attrae al caffè? E' un «milieu d'indifference» dove gli altri esistono senza preoccuparsi di me e senza che io mi occupi di loro. Gli avventori anonimi che si bisticciano con gran clamore al tavolo vicino al mio mi disturbano molto meno che una donna e dei bambini che si mettessero a camminare a passo di lupo per non molestarmi. Il peso di una famiglia mi sarebbe insopportabile. Mentre al caffè gli altri sono là, semplicemente. La porta si apre, una graziosa donna attraversa la sala, si siede, io la seguo con gli occhi poi tomo senza sforzo al mio foglio bianco: è passata come un movimento della mia coscienza; non di più». E ancora a Troisfontaines che lo accusa di essere contro Dio obietta: «II mondo è evidentemente assurdo e tutto per noi ha fine con la morte. E' perché hanno paura di questa esistenza gratuita, è per assicurarsi una ricompensa nell'al di là che gli uomini hanno inventato un Dio. Ma per noi che guardiamo la vita così com'è, non c'è tempo di occuparsi di queste chimere. Voi vi ingan­nate quando mi accusate di essere contro Dio: come si potrebbe essere contro ciò che non esiste? Sono senza Dio e ne sono fiero»[6].

Le critiche di parte marxista non sono né meno violente, né meno generiche. Le riassume lo stesso Sartre allorché Francis Ponge, che dirigeva il settimanale comunista, offre a Sartre la possibilità di rispon­dere alle accuse che il marxismo ufficiale faceva all'esistenzialismo sartriano [7]. di ispirarsi al filosofo tedesco e nazista Heidegger, di predicare un quietismo dell'angoscia, di compia­cersi dell'osceno e di mostrare più volentieri la cattiveria e la bas­sezza degli uomini che i loro buoni sentimenti.

Sartre non mette in questione l'appartenenza di Heidegger al Partito nazional-socialista, tuttavia osserva: Heidegger era filosofo molto prima di essere nazista, la sua filosofia non ha nulla a che vedere col nazismo, se ha aderito al Partito di Hitler è stato solo per opportunismo, per mancanza di carattere. Del resto assai spesso gli uomini non sono all'altezza delle loro opere: si può condannare Il Contratto Sociale perché Rousseau ha messo all'ospizio i suoi figli? Inoltre, che importa di Heidegger se l'esistenziali­smo svolgendo le proprie teorie si accorge di avere dei punti di contatto con questo filosofo? Che l'esistenzialismo si serva talora di tecniche e di metodi di Heidegger per accedere a nuovi problemi non significa, d'altronde, che accetti tutte le sue teorie: Marx non si è forse servito della dialettica he­geliana, si può dire per questo che Il Capitale sia un'opera prussiana? D'altra parte — aggiungerei — si è esagerato nel parlare di adesione di Heidegger al nazismo, e, certamente si è attribuita eccessiva importanza alla prolusione “L'autoaffermazione dell'Università tedesca” pronunciata nel '33 dal filosofo tedesco come rettore d'Università, carica alla quale rinunciò poco dopo, finendo anche con l'appartarsi dalla cultura ufficiale del nazismo.

Circa le altre accuse, Sartre risponderà in gran parte con gli argomenti che utilizzerà mesi dopo nella famosa conferenza svoltasi il 28 ottobre del '45 al Club Maintenant di Parigi. Questa conferenza fece scalpore per diversi motivi: l'ecces­siva affluenza di pubblico che comportò lo svenimento di molte donne, il fatto che, per l'enorme clamore, Sartre faticò molto a farsi intendere, l'impossibilità di dar seguito ad un dibattito dopo l'esposizione di Sartre. La conferenza fu così ripetuta in forma privata, in tale occasione si ebbe il vivace dibattito tra Sartre e Naville riprodotto poi nel volume L'existentialisme est un humanisme (Nagel, Paris, 1946). I temi trattati con intento di volgarizzazione, sono quelli tradizionali dell'esisten­zialismo: la distinzione tra essenza ed esistenza, la negazione di una natura umana, il tema della libertà e della scelta.

Il comunista Henri Lefebvre (Action, n. 40, 8 giugno 1945) tratta Sartre da idealista, da soggettivista, da fabbricante di cannoni contro il marxismo. In una intervista pubblicata da Les Lettres françaises il 24 novembre del '45 ancora il Lefebvre parla dell'esistenzia­lismo come di un «fenomeno di putredine perfettamente in linea con la decomposizione della cultura borghese». Lo psicologo marxista Pierre Naville accusa, tra l'altro, Sartre di propagandare i vecchi temi del liberalismo (libertà astratta, di­gnità della persona ecc...), di negare la storia sia umana che natura­le, di guardare con fastidio all'universo oggettivo facendone un perenne probabile, di predicare l'attendismo, di non assumere un impegno che abbia valore collettivo.

Dopo Naville è la volta dei grandi filosofi marxisti Garaudy e Lukacs, dei giornalisti comunisti J. Kanapa [8], H. Mougin, A. Lentin ecc... Le accuse sono sempre le stesse: idealismo, soggettivismo, solipsismo, immoralismo, irrazionalismo, ideologismo piccolo-bor­ghese, mancanza di storicità e di metodo scientifico. Persino la Pravda (il 24 gennaio 1947) finisce con l'occuparsi di Sartre e dell'esistenzialismo. In un articolo intitolato «Les Smertiakine de France» (riprodotto ironicamente su Les Temps Modernes, n.20, maggio 1947) del critico sovietico D. Zaslavuski, un violento attacco è condotto contro «gli stracotti nauseabondi e putridi che la propaganda borghese cerca di far passare per l'ultimo grido e l'espressione più originale della moda filosofica» e si dà questa definizione dell'esistenzialismo: «L'esistenzialismo, roba francese: esistenza, insegna che ogni processo storico è assurdo e fortuito, che ogni morale è menzognera. È la dottrina del vuoto spirituale, per essa non ci sono né possono esserci leggi o norme. Non c'è la storia, ma solo ‘historification’, non c'è morale ma solo ‘uno stile di vita’. Non ci sono né popoli, né società, ma unicamente l'interesse e il profìtto personale, in virtù del principio: Carpe diem».

Sartre viene descritto come un moralista sordido e cinico, seguace del filosofo mistico Sören Kierkegaard e del filosofo esisten­zialista Martin Heidegger, un uomo che ha trasformato l'Università di Friburgo in un letamaio fascista secondo le intenzioni delle giovani SS. I suoi libri sono posti all'indice perché godono il favore della borghesia reazionaria francese e del conservatorismo universitario americano: «Jean-Paul Sartre ha quarant'anni. Prima della guerra era professore di filosofìa. La sua opera fondamentale L'Etre et le .Néant conta più di 800 pagine, scritte nello stile della filosofìa universitaria tedesca. Gli stessi ammiratori di Sartre riconoscono che non riescono ad andare in fondo a questo enorme libro farraginoso. I suoi romanzi sono illeggibili» [9].

Non voglio entrare qui nel merito di una vera e propria storia della critica dell'esistenzialismo sartriano. Converrà tuttavia osservare che da quando la critica comincia ad interessarsi di Sartre e almeno sino al '47-'48 si assiste al fenomeno paradossale per cui via via che Sartre acquista popolarità, la maggior parte della critica tende sempre più a denigrarlo e ciò fa, per lo più, senza una lettura attenta dei suoi scritti filosofici, particolarmente di L'Etre et le Néant. Si tenta di liquidare Sartre filosofo sulla base della sola lettura di L'existentialisme est un humanisme, un testo che, nato da una conferenza divulgativa, è certamente tra i suoi più deboli, anche se dei più conosciuti. Questo, d'altra parte,  è il solo scritto che Sartre abbia in gran parte rinnegato[10]

 

 

S E G U E

 

 

sergio magaldi



[1] Cfr. M. Merleau-Ponty, Senso e non senso. II Saggiatore, Milano, 1962, p. 62.

 

[2] Cfr. G. Marcel, Homo Viator, Paris, 1944, pp. 248 e 296.

[3] Cfr. M. Merleau-Ponty, Senso e non senso. II Saggiatore, Milano, 1962, p. 95.

[4] Cfr. J. Mercier, Les ver dans le fruit,in  Etudes, febbraio 1945, p. 240.

 

[5] Cfr. R. Troisfontaines, Le Choix de Sartre, Aubier-Montaigne, Paris, 1945, pp. 51-52

[6] Sull'ateismo di Sartre si vedano: G. Monthaye, L'athéisme, le communisme et l'existentialisme, Paris, 1948; L. Stefanini, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, Padova, 1952; R. Figurelli, J.-P. Sartre Do ateismo ao antiteismo, Porto Alegre, 1962; J.L. Pintos, El ateismo del ultimo Sartre. Madrid, 1966. Inoltre, per il tentativo di dare un particolare significato al­l'ateismo sartriano: H. Paissac, Le Dieu de Sartre, Paris, 1950 (si invita a riflettere sul fatto che, nonostante il dichiarato e tranquillo ateismo, Dio è per Sartre non ciò che si nega puramente e semplicemente, ma ciò-che si respinge); R. Coffy, Dieu des athées, Marx-Sartre-Camus, Annecy, 1963 (anche se tutta l'opera di Sartre è un rifiuto di Dio, rifiuto motivato soprat­tutto dalla inconciliabilità tra libertà dell'uomo ed esistenza di Dio, il Dio che Sartre respinge è in realtà un Dio come «oggetto infinito» e come «soggetto solitario», cioè il Dio inteso come persona superiore dei deisti, non il Dio inteso come amore e comunione tra le persone).

 

[7] Cfr. J. P. Sartre, A propos de l'existentialisme: mise au point, arti­colo apparso su Action (n. 17, 29 dicembre 1944)

[8] J. Kanapa militante comunista e antico allievo di Sartre scriverà polemicamente: L’existentialisme n'est pas un humanisme, Paris, 1947.

[9]  F. Fé, che nel libro Sartre e il comunismo (La Nuova Italia, Firenze, 1970) si occupa di questa accusa, osserva giustamente: « Si noterà che in nessuna edizione L'Etre et le Néant contava "più di 800 pagine", quanto ai romanzi non erano né lunghi, né pesanti, né illeggibili, bastava riferirsi al successo che riscuotevano » (p. 70).

[10] A distanza di tempo M. A. Burnier spiega la fortuna di questo testo con il fatto che consentì a un buon numero di critici di Sartre, che avevano esitato a leggere L'Etre et le Néant, di attaccare Sartre senza eccessiva fatica e con la coscienza tranquilla (M-A- Bumier, Les Existentialistes et la politique, Gallimard, Paris, 1966. p. 31).

 

















































































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