Mo Yan, Le canzoni dell'aglio, Einaudi, 2014 Edizioni Mondolibri, 2015, pp.361 |
Tra
le prime opere di Mo Yan, il romanzo Le
canzoni dell’aglio del 1988 [Titolo originale: Tiantang suantai zhi ge, dove Tiantang che significa “Paradiso”, è
un immaginario villaggio della provincia dello Shandong], preceduto solo da Sorgo Rosso di un anno prima, fa
presagire gran parte dei contenuti dei successivi lavori, sino al romanzo,
forse il più bello, Le sei reincarnazioni
di Ximen Nao pubblicato del 2006, sei anni prima di ricevere il meritato
Nobel per la letteratura.
La cultura di riferimento è la civiltà
contadina, colta a distanza di circa un decennio dalla morte di Mao, dopo il
governo di transizione di Hua Guofeng e l’avvento al potere di Deng Xiaoping,
leader della fazione riformista. La natura non è ancora avvolta nel realismo
magico delle opere successive [Si veda in proposito il post: Le sei reincarnazioni di Ximen Nao,
cliccando sul titolo per leggere], ma è descritta, nella sua bellezza come
nella sua cruda realtà, con la maestria del pittore che si accinge a
rappresentarla sulla tela:
“Nei
due mesi che non era uscita di casa, la campagna si era trasformata. Le spighe
di sorgo si stavano seccando e avevano preso un colore rosso scuro; le
pannocchie erano secche e le foglie dei fagioli ingiallite. Il cielo era
azzurro e la vista sconfinata; la collina Zhou, simile a un ventaglio capovolto
e aperto a metà, formava una macchia scura all’orizzonte. Gli uccelli mandavano
i loro richiami volando a mezza altezza, un canto lugubre che la rattristò.” [Ediz. Mondolibro, p.76].
Spettatrice di questa lenta e inesorabile
metamorfosi della natura è Jinju, infelice protagonista – così come Gao Ma,
l’uomo che ama – di questa vicenda, in cui anche la speranza sembra negata,
persino quando nelle pagine finali Mo Yan cerca di ricondurre i drammatici avvenimenti
che hanno colpito gli abitanti di Tiantang entro la linea consapevole e giusta del Partito. Qui, in luogo della
consueta ironia con cui spesso egli descrive le relazioni umane, mi sembra che
lo scrittore faccia buon uso di sarcasmo:
“Vi
do l’ultima notizia: il compagno Zhong Weimin, ex vice segretario del comitato
del partito e capo del distretto, e il compagno Ji Nancheng, ex segretario del
comitato del partito di Tiantang,
macchiatisi di gravi colpe nel corso dei fatti di Tiantang, dopo aver diligentemente
studiato la linea, le direttive e la politica del partito ed esaminato a fondo
la sua ideologia, hanno riconosciuto i loro errori e preso la risoluzione,
d’ora in avanti, di correggerli e di riparare i danni provocati. Pertanto, il
comitato del partito e il governo di Cantian, dopo aver esaminato la
situazione, hanno fatto rapporto al comitato del partito e al governo
provinciali e chiesto di nominare il compagno Ji Nancheng vice segretario del
comitato del partito e capo del distretto di Yuecheng, e di nominare il
compagno Zhong Weimin vice segretario del comitato del partito e capo del
distretto di Sanhe.” [cit.
pp.360-361].
I fatti di Tiantang – che in realtà non sono
immaginari, perché si riferiscono alla rivolta di Cangshan del maggio 1987 –
sono narrati dal cantore cieco Zhang Kou, in 21 canzoni che costituiscono
altrettanti capitoli di cui si compone il libro, a cominciare dalla prima:
“Prestate ascolto compaesani!
Zhang Kou racconterà del paradiso in terra
Migliaia di ettari di terreno fertile
Acque fresche che scorrono gorgogliando
Patria di tanti uomini belli e di belle donne
Dove cresce un aglio famoso in tutto il
mondo” [cit.p.3]
Ben presto però Tiantang – Il Paradiso – si
trasforma in Inferno. Il Partito aveva imposto ai contadini di coltivare l’aglio
abbandonando ogni altra coltivazione. Quando l’aglio è maturo, i contadini
affrontano il viaggio per andare a venderlo al distretto ma troveranno i
magazzini chiusi. E Zhang Kou intona la sua quinta canzone:
“I
girasoli ad agosto guardano verso il sole
I bambini che piangono vengono dati alle
madri
Il popolo confida nel Partito comunista
Se l’aglio non si vende si va a cercare il
capo distretto” [cit.p.83]
Esemplare il caso di Gao Yang, un altro tra i
protagonisti della narrazione. Diverse volte farà il viaggio a vuoto nel
tentativo di vendere il suo aglio, con l’unico risultato di dover pagare ai
burocrati la tassa sul traffico, su un commercio mai avvenuto e infine
sull’igiene, allorché l’asino che trasporta il carro fa i suoi bisogni sulla
strada. Canta Zhang Kou nella sua sesta canzone:
“Prefetti
e sottoprefetti possono distruggere clan e famiglie
I grandi funzionari non scherzano
Mi ordinate di piantare l’aglio e io
obbedisco
Perché allora poi non me lo comprate?” [cit.90].
Tutto sembra girare attorno all’aglio in
questo romanzo di Mo Yan, tanto che si ha quasi l’impressione di sentirne l’odore e di percepirne il tocco.
In realtà, lo scrittore ci sta dicendo altro. A distanza di mezzo secolo dalla rivoluzione
di Mao, non soltanto il Partito è spesso in mano ai burocrati e ai funzionari corrotti,
ma neppure è cambiata la mentalità dei contadini. La toccante vicenda
dell’amore “impossibile” tra Jinju e Gao Ma, ne è la drammatica testimonianza.
Promessa sposa dai genitori a un anziano malandato perché suo fratello zoppo
possa a sua volta sposare la bella cognata diciassettenne Cao Wenling, Jinju si
ribella, ma è percossa e rinchiusa in casa dal padre Fang Yijun [“È mia figlia
– egli dice – se voglio l’ammazzo, chi può impedirmelo?], senza che né la madre
Fang Sishen, né i prepotenti fratelli mostrino un barlume di pietà. La
condizione di vita dei contadini è spesso simile a quella delle bestie con cui
vivono. Tutto ubbidisce alla più bieca materialità e i rari sentimenti sono
ispirati dalla necessità e dalla convenienza. Le prigioni, nelle quali saranno rinchiusi
i presunti responsabili della rivolta – sulla carta luoghi di “rieducazione”
comunista – sono gestite al limite del subumanità, tanto che si ha
l’impressione che Mo Yan, nel suo esasperato linguaggio crudo e naturista, talora
esageri.
Ecco il
lamento e la denuncia di Zhang Kou nella sua nona canzone:
“Nella vecchia società i funzionari si
proteggevano
e il popolo subiva
Nella nuova società dovrebbe regnare la
giustizia
Chi poteva immaginare che il capo distretto
Wang fosse
al di sopra della legge? […] [cit.p.150].
Ma
il cantore cieco non si rassegna e incita i contadini alla ribellione:
“Compaesani, gonfiate il petto, stringete
l’addome
Tenetevi per mano e irrompete nella sede del
governo
Il capo distretto Zhong non è una stella del
cielo
E il popolo non è composto di bestie da
cortile”
[cit.p.187]
Le conseguenze saranno tragiche e Zhang Kou
nella sua ultima canzone, prima che qualcuno gli chiuda la bocca per sempre,
invoca la giustizia per il popolo:
“Canto i fatti avvenuti a Tiantang
Nel maggio del 1987
Convergendo da varie direzioni i poliziotti
Hanno arrestato novantatre persone
Alcuni sono morti, altri sono stati
processati
Quando avrà giustizia il popolo?” [cit.p.331]
Le
conseguenze saranno quelle già note: il carcere duro e inumano per i rivoltosi
sino al termine della “rieducazione” e alla successiva, consueta povertà. Il
riconoscimento degli errori commessi da parte dei funzionari sino ai nuovi
prestigiosi incarichi.
Per
amore della verità, occorre riconoscere che l’opera di denuncia sociale di Mo
Yan non ha mai conosciuto censure e che, anzi, il regime di Pechino ha sempre
tenuto lo scrittore come il proprio fiore all’occhiello. Ciò potrebbe far
sospettare una buona dose di opportunismo, in realtà dimostra soltanto che la
dialettica è stata sempre il cuore pulsante del partito comunista cinese, anche
nei suoi periodi peggiori. E questo, al di là di quello che si pensa in
Occidente, non può che fare onore al popolo cinese e ai suoi massimi
rappresentanti.
sergio magaldi
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