domenica 19 luglio 2015

LE CANZONI DELL' AGLIO E LA RIVOLTA CINESE

Mo Yan, Le canzoni dell'aglio, Einaudi, 2014
Edizioni Mondolibri, 2015, pp.361

Tra le prime opere di Mo Yan, il romanzo Le canzoni dell’aglio del 1988 [Titolo originale: Tiantang suantai zhi ge, dove Tiantang che significa “Paradiso”, è un immaginario villaggio della provincia dello Shandong], preceduto solo da Sorgo Rosso di un anno prima, fa presagire gran parte dei contenuti dei successivi lavori, sino al romanzo, forse il più bello, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao pubblicato del 2006, sei anni prima di ricevere il meritato Nobel per la letteratura.

 La cultura di riferimento è la civiltà contadina, colta a distanza di circa un decennio dalla morte di Mao, dopo il governo di transizione di Hua Guofeng e l’avvento al potere di Deng Xiaoping, leader della fazione riformista. La natura non è ancora avvolta nel realismo magico delle opere successive [Si veda in proposito il post: Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, cliccando sul titolo per leggere], ma è descritta, nella sua bellezza come nella sua cruda realtà, con la maestria del pittore che si accinge a rappresentarla sulla tela:

 “Nei due mesi che non era uscita di casa, la campagna si era trasformata. Le spighe di sorgo si stavano seccando e avevano preso un colore rosso scuro; le pannocchie erano secche e le foglie dei fagioli ingiallite. Il cielo era azzurro e la vista sconfinata; la collina Zhou, simile a un ventaglio capovolto e aperto a metà, formava una macchia scura all’orizzonte. Gli uccelli mandavano i loro richiami volando a mezza altezza, un canto lugubre che la rattristò.” [Ediz. Mondolibro, p.76].

 Spettatrice di questa lenta e inesorabile metamorfosi della natura è Jinju, infelice protagonista – così come Gao Ma, l’uomo che ama – di questa vicenda, in cui anche la speranza sembra negata, persino quando nelle pagine finali Mo Yan cerca di ricondurre i drammatici avvenimenti che hanno colpito gli abitanti di Tiantang entro la linea consapevole e giusta del Partito. Qui, in luogo della consueta ironia con cui spesso egli descrive le relazioni umane, mi sembra che lo scrittore faccia buon uso di sarcasmo:

 “Vi do l’ultima notizia: il compagno Zhong Weimin, ex vice segretario del comitato del partito e capo del distretto, e il compagno Ji Nancheng, ex segretario del comitato  del partito di Tiantang, macchiatisi di gravi colpe nel corso dei fatti di Tiantang, dopo aver diligentemente studiato la linea, le direttive e la politica del partito ed esaminato a fondo la sua ideologia, hanno riconosciuto i loro errori e preso la risoluzione, d’ora in avanti, di correggerli e di riparare i danni provocati. Pertanto, il comitato del partito e il governo di Cantian, dopo aver esaminato la situazione, hanno fatto rapporto al comitato del partito e al governo provinciali e chiesto di nominare il compagno Ji Nancheng vice segretario del comitato del partito e capo del distretto di Yuecheng, e di nominare il compagno Zhong Weimin vice segretario del comitato del partito e capo del distretto di Sanhe.” [cit. pp.360-361].

 I fatti di Tiantang – che in realtà non sono immaginari, perché si riferiscono alla rivolta di Cangshan del maggio 1987 – sono narrati dal cantore cieco Zhang Kou, in 21 canzoni che costituiscono altrettanti capitoli di cui si compone il libro, a cominciare dalla prima:

 “Prestate ascolto compaesani!
  Zhang Kou racconterà del paradiso in terra
  Migliaia di ettari di terreno fertile
  Acque fresche che scorrono gorgogliando
  Patria di tanti uomini belli e di belle donne
  Dove cresce un aglio famoso in tutto il mondo” [cit.p.3]

 Ben presto però Tiantang – Il Paradiso – si trasforma in Inferno. Il Partito aveva imposto ai contadini di coltivare l’aglio abbandonando ogni altra coltivazione. Quando l’aglio è maturo, i contadini affrontano il viaggio per andare a venderlo al distretto ma troveranno i magazzini chiusi. E Zhang Kou intona la sua quinta canzone:

 “I girasoli ad agosto guardano verso il sole
  I bambini che piangono vengono dati alle madri
  Il popolo confida nel Partito comunista
  Se l’aglio non si vende si va a cercare il capo distretto” [cit.p.83]

 Esemplare il caso di Gao Yang, un altro tra i protagonisti della narrazione. Diverse volte farà il viaggio a vuoto nel tentativo di vendere il suo aglio, con l’unico risultato di dover pagare ai burocrati la tassa sul traffico, su un commercio mai avvenuto e infine sull’igiene, allorché l’asino che trasporta il carro fa i suoi bisogni sulla strada. Canta Zhang Kou nella sua sesta canzone:

 “Prefetti e sottoprefetti possono distruggere clan e famiglie
  I grandi funzionari non scherzano
  Mi ordinate di piantare l’aglio e io obbedisco
  Perché allora poi non me lo comprate?” [cit.90].

 Tutto sembra girare attorno all’aglio in questo romanzo di Mo Yan, tanto che si ha quasi l’impressione  di sentirne l’odore e di percepirne il tocco. In realtà, lo scrittore ci sta dicendo altro. A distanza di mezzo secolo dalla rivoluzione di Mao, non soltanto il Partito è spesso in mano ai burocrati e ai funzionari corrotti, ma neppure è cambiata la mentalità dei contadini. La toccante vicenda dell’amore “impossibile” tra Jinju e Gao Ma, ne è la drammatica testimonianza. Promessa sposa dai genitori a un anziano malandato perché suo fratello zoppo possa a sua volta sposare la bella cognata diciassettenne Cao Wenling, Jinju si ribella, ma è percossa e rinchiusa in casa dal padre Fang Yijun [“È mia figlia – egli dice – se voglio l’ammazzo, chi può impedirmelo?], senza che né la madre Fang Sishen, né i prepotenti fratelli mostrino un barlume di pietà. La condizione di vita dei contadini è spesso simile a quella delle bestie con cui vivono. Tutto ubbidisce alla più bieca materialità e i rari sentimenti sono ispirati dalla necessità e dalla convenienza. Le prigioni, nelle quali saranno rinchiusi i presunti responsabili della rivolta – sulla carta luoghi di “rieducazione” comunista – sono gestite al limite del subumanità, tanto che si ha l’impressione che Mo Yan, nel suo esasperato linguaggio crudo e naturista, talora esageri.

  Ecco il lamento e la denuncia di Zhang Kou nella sua nona canzone:

 “Nella vecchia società i funzionari si proteggevano
  e il popolo subiva
  Nella nuova società dovrebbe regnare la giustizia
  Chi poteva immaginare che il capo distretto Wang fosse
  al di sopra della legge? […] [cit.p.150].

  Ma il cantore cieco non si rassegna e incita i contadini alla ribellione:

  “Compaesani, gonfiate il petto, stringete l’addome
   Tenetevi per mano e irrompete nella sede del governo
   Il capo distretto Zhong non è una stella del cielo
   E il popolo non è composto di bestie da cortile” [cit.p.187]

 Le conseguenze saranno tragiche e Zhang Kou nella sua ultima canzone, prima che qualcuno gli chiuda la bocca per sempre, invoca la giustizia per il popolo:

   “Canto i fatti avvenuti a Tiantang
   Nel maggio del 1987
  Convergendo da varie direzioni i poliziotti
   Hanno arrestato novantatre persone
 Alcuni sono morti, altri sono stati processati
  Quando avrà giustizia il popolo?” [cit.p.331]   

  E la giustizia verrà, sottoforma di una serie di riflessioni e “con pene severe” come annuncia il 30 luglio 1987 “Il quotidiano delle masse”. Si parla di “Grave burocratismo”, si sostiene che “Per dirigere l’economia di mercato bisogna averne una chiara nozione” e che “Senza avere consapevolezza delle masse non si può dirigere bene la produzione agricola” e infine che “Il burocratismo va combattuto, ma non con l’anarchia”.

 Le conseguenze saranno quelle già note: il carcere duro e inumano per i rivoltosi sino al termine della “rieducazione” e alla successiva, consueta povertà. Il riconoscimento degli errori commessi da parte dei funzionari sino ai nuovi prestigiosi incarichi.

 Per amore della verità, occorre riconoscere che l’opera di denuncia sociale di Mo Yan non ha mai conosciuto censure e che, anzi, il regime di Pechino ha sempre tenuto lo scrittore come il proprio fiore all’occhiello. Ciò potrebbe far sospettare una buona dose di opportunismo, in realtà dimostra soltanto che la dialettica è stata sempre il cuore pulsante del partito comunista cinese, anche nei suoi periodi peggiori. E questo, al di là di quello che si pensa in Occidente, non può che fare onore al popolo cinese e ai suoi massimi rappresentanti.


sergio magaldi

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