Ormai a
poche ore dal voto, tutti i cittadini
europei si chiedono con qualche apprensione quali saranno le conseguenze del
referendum greco. Prevedere in anticipo la vittoria del sì o del no è
praticamente impossibile. I sondaggi che sino a qualche giorno fa davano un
punto e mezzo di vantaggio ai sì, ora
sembrano attestarsi sulla perfetta parità.
Viene da chiedersi perché Tsipras e Varoufakis
abbiano scelto questa strada. La vittoria elettorale di Syriza e la relativa
formazione di un esecutivo legittimato dai cittadini davano al governo il
potere democratico di scegliere quale via intraprendere: la trattativa ad
oltranza o il rifiuto di cedere alle richieste dell’Unione Europea. E per
quanto ci si sforzi di credere che proprio dal Paese che inventò la democrazia
venga una lezione all’Europa – attraverso una scelta che non ha precedenti nel
rapporto con le istituzioni europee che mai hanno avvertito la necessità di
chiamare alle urne i cittadini, né al momento di introdurre l’euro, né per
l’adozione di politiche di austerità – , resta in molti la convinzione che la
scelta del referendum, con tutti i rischi che comporta, sia stata determinata
da contrasti interni al governo e al partito di maggioranza.
Solo così si spiega un ricorso al voto il cui
esito, se prevarrà il sì, sarà
esiziale per il governo e che, se prevarrà il no, avrà come conseguenza probabile il default della Grecia e inevitabili ricadute per la maggior parte
dei paesi europei. Si ha un bel dire che l’eventuale vittoria del no non impedirà la ripresa delle
trattative con la Troika, né comporterà l’uscita dall’euro. Proprio su questi
argomenti si basa la propaganda del sì,
con il timore della classe media che il no
faccia precipitare definitivamente il Paese nel baratro. Ed è questa una
strategia che potrebbe risultare vincente, con buona pace di tutte le
aspettative che non solo in Grecia, ma anche altrove in Europa, aveva suscitato
la formazione di un governo capace di tener testa alla Merkel e ai “signori dell’austerità”.
La vittoria del sì sarebbe infatti, almeno in un certo senso, una sconfitta per Podemos in Spagna e, per certi aspetti,
anche per Cinque Stelle in Italia. Rafael
Mayoral, segretario per le Relazioni con la Società Civile di Podemos, ha dichiarato
di condividere le scelte del governo greco. Non si è schierato apertamente per
il no, nel rispetto della democrazia
e delle scelte dei cittadini greci [quasi evocando lo spirito e i principi del 1789, in un linguaggio
diversamente comune con altri esponenti di Podemos che parlano di ghigliottina
per fermare la corruzione pubblica in Spagna], ma ha sostenuto che “È venuta
l’ora di non fare calcoli elettorali, ma di difendere i diritti umani di fronte
all’austericidio”. Analogamente, sia
pure in toni più defilati, Beppe Grillo ha manifestato il suo appoggio al
governo greco. Sarà ad Atene in questi giorni e attende rispettoso le scelte dei
cittadini. Perché Mayoral, Pablo Iglesias, leader di Podemos, e Beppe Grillo
non sostengono apertamente il no contro
il ricatto di Bruxelles? Ragioni di politica interna, evidentemente. Il Movimento Cinque Stelle sta crescendo in
Italia al ritmo in cui cala il consenso verso il PD di Renzi e Podemos, appoggiato dal PSOE e da Izquierda Unida, si accinge a governare
le più importanti città della Spagna. E le elezioni nel paese iberico sono
vicine: il 27 Settembre si vota in Catalonia e il 20 Dicembre in tutto il
Paese. E c’è chi dice che Rajoy vorrebbe addirittura giocare d’anticipo,
votando il più presto possibile, prima che si allarghi il consenso attorno a Podemos e il PP si veda sfilare voti anche da parte di Ciudadanos, una formazione di centrodestra, ma critica verso il Partido
Popular. Non a caso, Rajoi si sta
affrettando a fare approvare la riforma fiscale che, a giudizio degli
avversari, è solo una manovra elettorale e per di più “classista” perché,
mentre prevede minori aliquote dell’uno per cento per i redditi sino a 12450
euro [dal 20 al 19%], per quelli sino a 20200 euro [dal 25 al 24%] e per quelli
sino a 35200 euro [dal 31 al 30%], per i redditi sino a 60000 euro prevede
un’aliquota minore del 2% [dal 39 al 37%] e analogamente per quelli oltre i
60000 euro [dal 47 al 45%].
Il 5 Luglio sarà comunque una data decisiva
per i cittadini europei: per la prima volta saranno di fronte, da una parte la
cricca che governa l’Europa, nel nome della Merkel, dell’austerità e dell’alta
finanza, dall’altra coloro che lottano per l’avvento di un’Europa che sia
davvero espressione della volontà popolare. E per quanto questo referendum mi
lasci perplesso, per i motivi che dicevo sopra, non c’è dubbio che solo la
vittoria del no – pur con tutti i
rischi di “colpi di coda”, cui i maggiorenti europei ricorreranno per incutere
timore nelle classi medie – può rappresentare il primo tassello di una Europa
alternativa a quella che purtroppo conosciamo.
In questa prospettiva, c’è un lontano
precedente di buon auspicio. Quando, il 28 Ottobre del 1940, il popolo,
chiamato al referendum, disse no all’occupazione
del suolo greco da parte dell’Italia di Mussolini. Ne seguì una guerra, ma da
quel no nacque la resistenza greca contro l’Europa nazifascista.
sergio
magaldi
Nessun commento:
Posta un commento