Amos Oz, Giuda, trad. E. Loewenthal, Feltrinelli, Milano, 2014, pp.329 Edizione Mondolibri, Milano, 2015, pp.321 |
Giuda,
ricco possidente di Kerioth, non tradì Gesù per miseri trenta denari, come
raccontano i vangeli canonici, né perché era un agente al servizio dei farisei.
Questa la tesi che Amos Oz fa sostenere al protagonista del suo recente romanzo
Habasorah Al Pi Yehuda Ish Qariyot [“Vangelo
secondo Giuda, uomo di Kerioth (Iscariota)”, reso nella versione italiana edita
da Feltrinelli, semplicemente con il titolo di Giuda].
La tesi dell’innocenza di Giuda, già contenuta
nei vangeli gnostici, fa per così dire da sfondo a tutta la narrazione – che si
svolge a Gerusalemme tra l’inverno del 1959 e la primavera del ’60 – e si
riconnette alla figura storica di Gesù, visto dagli ebrei nel corso del tempo.
È questo peraltro l’argomento della tesi di dottorato dello studente Shemuel
Asch che, per gli aspetti caratteriali, l’abbandono della fidanzata e sopravvenuti motivi familiari, decide di abbandonare la ricerca e di accettare
la “Proposta di rapporto personale” affissa nella bacheca degli annunci
dell’Istituto Kaplan di Gerusalemme:
“A
studente celibe di scienze umane, conversatore sensibile dotato di competenza
storica, offronsi alloggio gratis e modesto stipendio mensile in cambio di
cinque ore serali di compagnia a settantenne invalido, colto ed eclettico.
Invalido generalmente in grado di badare a se stesso, bisognoso di
conversazione, non di aiuto […]. Date le particolari circostanze, al candidato
sarà richiesto un impegno scritto a mantenere il riserbo.”
L’incontro, quasi all’insegna del mistero, di
Shemuel con l’anziano Gershom Wald, affetto da atrofia degenerativa, e con la
sua bellissima nuora Atalia Abravanel, offre ad Amos Oz tutta una serie di
spunti per parlare di Gesù, dell’amore universale, di Ben Gurion, della
politica di Israele, del rapporto ebrei-arabi e della passione di uno studente
per una donna che ha il doppio dei suoi anni.
Ne nasce un ottimo romanzo dove la psicologia
dei personaggi principali – tra i quali sono da annoverare anche gli scomparsi Shatiel
e Micah, rispettivamente padre e marito di Atalia – è approfondita con notevole
acume e sempre in relazione alle vicende dell’esistenza, lasciando tuttavia
aperta la questione se è il carattere a determinare la trama di una vita o se,
viceversa, sono gli accadimenti a forgiare il modo di intendere e di affrontare
la realtà.
Shemuel
è spesso soggetto ad attacchi di asma ed è depresso per il fallimento economico
di suo padre che non gli permette di continuare gli studi, e perché Yardena, la
sua ragazza, lo ha appena lasciato per sposare un altro. È davvero così? O non
c’è nel ragazzo un’energia sottile che lo induce a vivere con gli altri, ma in
fondo separato, un’ansia di proseguire la sua ricerca fuori degli schemi
accademici, il desiderio di amori impossibili che finiscono per lasciargli
l’amaro in bocca? Così lo descrive Amos Oz:
“Amava molto compiacere i suoi interlocutori,
chiunque fossero, ma soprattutto gli amici del Circolo per il Rinnovamento
socialista: amava commentare, argomentare, contraddire, smontare e
ricominciare. Parlava a lungo, con compiacimento e intelligenza, divagando
spesso.
Ma quando gli replicavano, quando toccava a
lui ascoltare le idee degli altri, Shemuel veniva colto da un improvviso
attacco di impazienza, di distrazione, cadeva in preda a una stanchezza tale
che gli si chiudevano gli occhi e la testa scompigliata crollava contro il
tappeto villoso del petto.
Anche
in presenza di Yardena amava tenere le sue ardenti orazioni, demolire
preconcetti e far vacillare convinzioni assodate, attingere una conclusione da
un’ipotesi e un’ipotesi da una conclusione. Ma quando era lei che parlava a
lui, allora quasi sempre gli si abbassavano le palpebre nel giro di pochi
secondi. Lei lo rimproverava perché non lo ascoltava, lui negava, lei gli
chiedeva di ripetere quello che aveva appena detto, lui cambiava argomento […]”
[p.10,
ediz.Mondolibri]
Gershom Wald è un intellettuale che riguarda il mondo che lo circonda, come
da una prigione, col disincanto che maschera il dolore per la morte del figlio,
ma anche con l’amara saggezza che gli viene dalla conoscenza degli esseri umani
e dallo studio della tradizione, alla quale ricorre spesso citando a proposito
versetti biblici con la maestria di un cabalista. E di fronte a Shemuel che lo
intrattiene sul frutto della sua ricerca, Gesù
in una prospettiva ebraica, osserva che gli autori ebrei che si sono
occupati di Gesù o hanno finito per denigrarlo, inventando favole sulle sue
origini, come nelle Toledot Yeshu, o
hanno parlato di lui come di un autentico ebreo, osservante della Legge e che
mai ha dichiarato di essere figlio di Dio, se non nel senso che appartiene a
tutti gli uomini. Nessuno, tuttavia, si è intrattenuto sul “sogno” di Gesù che
è anche il suo messaggio più originale: il concetto di amore universale. Nessuno si è chiesto se è davvero possibile amare
tutti gli uomini. Egli naturalmente non lo crede possibile e persino Gesù ne dà
prova, quando in preda all’ira scaccia i mercanti dal tempio o quando maledice
il fico che, incolpevole, non era nella stagione di dare frutti. E, a
testimonianza del suo scetticismo, ecco le parole che un giorno rivolge a
Shemuel:
“Quasi tutti gli uomini attraversano lo spazio
della vita, dalla nascita alla morte, a occhi chiusi. Anche tu e io, mio caro
Shemuel. Ad occhi chiusi. Perché se solo li aprissimo per un istante, ci
sfuggirebbe da dentro un urlo tremendo e continueremmo a urlare senza smettere
mai. Se non urliamo giorno e notte, è segno che teniamo gli occhi chiusi” [p.219]
Atalia che vive separata, in una zona
quasi segreta della casa, è una donna che la morte del marito sembra aver reso
fredda e sfuggente. In lei c’è anche l’amarezza per il ricordo del padre, un
tempo amico di Ben Gurion, morto poi come traditore per aver creduto in una
politica di pace tra arabi ed ebrei. Disincantata per la visione di una
Palestina, sempre più divenuta un immenso cimitero, la donna sembra incapace di
amare ancora e tuttavia cede occasionalmente ai sensi quando in lei si
risveglia la compassione. Quanto il suo comportamento si lega alle sventure,
quanto alla sua vera natura?
Shemuel
che ha continuato in proprio la sua ricerca su Gesù, giunge infine alla
conclusione che Giuda Iscariota non solo non tradì il suo Maestro, ma fu anche
l’unico ad amarlo veramente e a credere in lui come figlio di Dio. Per questo
lo convinse a salire e predicare a Gerusalemme. La sua condanna alla croce,
dalla quale si sarebbe liberato di fronte a tutti per volontà del padre,
avrebbe rappresentato il giorno della redenzione universale e l’inizio del
mondo a venire. La delusione e il rimorso per la sua ingenuità che aveva causato la
morte del Maestro, lo costrinsero ad impiccarsi. Fu Giuda il vero primo
cristiano, forse anche l’ultimo.
sergio magaldi
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