YOUTH-LA GIOVINEZZA, regia di Paolo Sorrentino, Italia, 2015, 118 minuti |
Youth di Paolo Sorrentino,
contrariamente alle aspettative, resta a bocca asciutta al Festival del cinema
di Cannes. La stessa cosa era capitata a La
Grande Bellezza e aveva portato fortuna, perché mesi dopo il regista
napoletano avrebbe ottenuto l’Oscar per il miglior film straniero.
Youth solo nella locandina reca il
sottotitolo “La Giovinezza”, nell’originale è interamente in inglese [titolo
compreso], con la motivazione ufficiale che, avendo come protagonista Michel
Caine, non poteva che essere girato in questa lingua. E, del resto, nel cast
predominano gli attori britannici e statunitensi con poche eccezioni, come
l’argentino Roly Serrano, sosia di Maradona, o la bella rumena Mădălina Diana Ghenea, nel ruolo di
Miss Universo.
Pur parlando
inglese e con un cast internazionale, come si suole dire, di tipo stellare, il
film vanta una regia sicuramente di stile italiano, con una serie di quadri
animati che purtroppo appartengono ormai, con qualche rara eccezione, alla
tradizione del cinema nazionale degli ultimi venti o trent’anni. Quadri che la
fotografia di Luca Bigazzi rende però stupendi, con immagini oniriche concepite
da Sorrentino con rara efficacia e dove il bello, il grottesco, l’orrore, il
desiderio e il pacchiano si alternano tra musiche e canzoni in un turbinio di
luci e colori. Quadri didascalici per apprendere come utilizzare la vita nel
tempo della giovinezza ma soprattutto durante la vecchiaia.
Insomma, se nel
film che gli ha dato l’Oscar, La Grande Bellezza
[vedi il post Omaggio a La Grande Bellezza, cliccando sopra per leggere], Sorrentino si era sottratto alla
staticità e alla separatezza delle sequenze, grazie al grande dinamismo di Toni
Servillo e alle immagini di Roma, città eterna, che costituivano il forte leitmotiv della gracile trama, qui la
pur ottima interpretazione di Michel Caine, velata di malinconia per esigenze
di copione e non solo, ripete il miracolo solo a metà e il film rimane sospeso
tra la bellezza cromatica e la sagacia comunicativa da una parte, e
l’inadempienza stilistica che ne riduce il ritmo, dall’altra.
Alla bellezza,
decadente ma viva, della città vegliata dai sette colli e cullata dal Tevere,
si sostituisce qui la cornice di un resort
delle Alpi svizzere dove si ritrovano, per ritemprarsi dalla fatica di
vivere, vip di ogni genere,
pensionati di lusso, artisti, ex grandi calciatori, attori poco soddisfatti di
sé e che si appartano per studiare nuovi personaggi, rare donne in carriera, le
cui splendide forme nude sfidano vecchiaia e morte, più di quanto non riesca al
monaco buddista che fa levitare il suo corpo. Tutti più vicini alla natura, ma
già paradossalmente più lontani dalla vita. In questo paradiso artificiale,
l’unica musica possibile per Fred Ballinger [Michel Caine], illustre compositore e direttore d’orchestra, è
quella prodotta dallo strofinio della carta che avvolge le caramelle rossana o dai
suoni spontanei prodotti dagli animali nel loro habitat naturale.
Al contrario di
lui, Mick Boyle [Harvey Keitel], suo
amico e noto regista, è venuto al resort svizzero, con la sua troupe di
cineasti per realizzare un film che vuole essere anche il suo testamento
spirituale. E mentre Fred rifiuta l’invito della regina d’Inghilterra di
recarsi a Buckingham Palace per dirigere le sue Canzoni semplici, cantate da un’artista giapponese di fama
internazionale, e riceverne in cambio il titolo di sir, Mick si prodiga con ansia per portare a compimento il suo
progetto. Dove l’uno [Fred] sa come controllare le proprie emozioni, l’altro
[Mick] affida proprio all’emozione e al desiderio il compito di esorcizzare il
tempo.
In questo
contrasto, si fa spazio con forza la dialettica di Sorrentino. Fred, in fondo,
ha sempre pensato che le emozioni siano sopravvalutate, e lo dichiara
apertamente. Questa sua consapevolezza, dunque, non è, come potrebbe apparire,
una conquista della vecchiaia ma, come gli rimprovera la figlia Lena [una brava
Rachel Weisz], una forma di egoismo
artistico che lo ha sempre tenuto lontano dalla famiglia. Mick pensa invece che
le emozioni siano tutto ciò che abbiamo e anche negli anni che gli restano da
vivere non ha dismesso questa filosofia.
La domanda a questo
punto è: quando è tramontata la giovinezza e si approssima la morte, cosa ci
tiene ancora in vita? Il futuro – sembra
rispondere il regista – nella vita di ognuno è garantito dal desiderio, nelle
sue tante sfumature, e ciò è tanto più vero durante la vecchiaia. Se però ce ne
lasciamo travolgere, usciamo sconfitti e, nello scacco del desiderio, non ci
resta che la strada già indicata da Novalis, il poeta e filosofo romantico
citato nel film. Scrive il pensatore tedesco nei versi di Anelito di morte: “Non più ci attraggono terre straniere,/vogliamo tornare alla
casa del Padre”.
Se,
al contrario, nell’apparente atarassia, sappiamo conservare il desiderio
nell’anima, allora la vita è ancora possibile, anche in tarda età. Messaggio
sottile questo di Sorrentino, ancorché a una mente superficiale possa apparire
contraddittorio o giungere malinteso. E il finale del film, pur in uno ostentato
ottimismo che non convince del tutto per la coreografia, sembra una risposta
alle parole con cui Jep Gambardella calava il
sipario su La Grande Bellezza:
Finisce sempre così… con la morte. Prima però
c’è stata la vita… nascosta sotto il bla… bla… bla… bla… bla. È tutto
sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore… il silenzio e il sentimento…
l’emozione e la paura… gli sporadici inconsistenti sprazzi di bellezza e
poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile… tutto sepolto dalla coperta
dell’imbarazzo dello stare al mondo…
Insomma,
al di là di certe cadute stilistiche, che purtroppo sembrano ormai connaturate
al cinema italiano, il film di Sorrentino si muove efficacemente e con la
consueta eleganza nella prosecuzione di un discorso già iniziato con il lavoro
che gli ha meritato l’Oscar. La vita, nella giovinezza come nella vecchiaia, è
inseguita dal tempo e non c’è rimedio. Le uniche consolazioni sono la bellezza
e la serenità dello spirito.
sergio
magaldi
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