lunedì 26 febbraio 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte IX, l’albero, le acque e il vino di NOÈ



SEGUE DA:

NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia  (clicca sul titolo per leggere)


NOTE SULLA QABBALAH: parte IV, l’uno e le porte della conoscenza (clicca sul titolo per leggere)

NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l’uno e l’unificato (clicca sul titolo per leggere)




(clicca sul titolo per leggere)

Avvertenza: per leggere le lettere ebraiche occorre il font hebrew


  Così come non c’è che un solo albero, anche le acque, benché distinte in superiori e inferiori, provengono entrambe da una sola fonte. Com'è detto in Tiqqune ha-Zohar (Gli ornamenti dello splendore): "Invero le pietre di marmo puro sono le due yud, comprese nell'Alef,[1]  l'una superna e l'altra inferiore, e perciò non vi è impurità [...] né (vera e propria) distinzione tra acqua e acqua, poiché tutto è unito assieme e proviene dall'albero della vita che è la Waw posta al centro dell'Alef". E in Zohar (II, 84b) è detto che queste due Yud sono le stesse due gocce di Tal,  rugiada  l f  che il signore rese solide come pietre preziose e con un soffio appiattì per farne le tavole della Legge. Solo allorché il Signore decide di punire l’umanità indegna e di distruggere il mondo, le due acque divengono incompatibili tra di loro. Perché l’Altissimo scelse l’acqua e non, per esempio, il fuoco per distruggere l’umanità indegna? Una risposta è contenuta nel trattato Noah dello Zohar. Il Tetragramma è il nome del Signore nella manifestazione ed è formato da quattro lettere dell’alfabeto ebraico: una Yud iniziale e una Wav, separati da una prima He e da una seconda He finale. Quando sulla terra ogni ordine fu sovvertito, le lettere maschili, Yud e Wav, si ritirarono dalla realtà manifesta e lasciarono le lettere femminili, le due He, da sole: la conseguenza fu che le acque superiori e le acque inferiori, che Adonai aveva separato nei giorni della creazione, si riunissero e distruggessero il mondo.

 Nella Qabbalah luriana, la sostanziale unicità dell'albero è sostenuta esplicitamente. Vital, il più famoso dei discepoli di Itzach Luria, in Etz Chayyim, “L'albero della vita”, assegna per entro l’unico albero delle Sephiroth, la destra all'albero della vita e la sinistra all'albero della conoscenza. Insomma, Adamo vuole mangiare il frutto proibito per rendersi immortale, ignorando che Dio ha già predisposto per lui l’immortalità, alla sola condizione che egli sappia attendere la maturazione del frutto. Lo assapora quando è ancora acerbo e ciò che ne ricava non è l’immortalità, bensì la consapevolezza del bene e del male, l’allontanamento dalla condizione edenica e l’ingresso nel tempo e nella storia. E ciò trova conferma ancora in un riferimento a Noè, il patriarca biblico che reitera il gesto di Adamo e che come Adamo ne paga le conseguenze. Queste saranno di minore entità, rispetto a quelle che il primo uomo è costretto a pagare, ma solo perché egli agisce in buona fede e non per il desiderio di rendersi immortale come Dio. In Zohar (I, 36a) è detto che nel giardino di Eden, Eva avrebbe pigiato grappoli d'uva per darli poi ad Adamo e poco dopo (I,73a) che Noé si sarebbe ubriacato di quel vino non per ripetere il peccato di Adamo ma "per investigare sul peccato che era stato del primo uomo; non quindi per aderire ad esso ma per averne conoscenza e restaurare il mondo. Ma non vi riuscì. Pigiò i grappoli per esaminare quella vite ma quando giunse a quel punto si ubriacò e si scoperse..."

  Il senso occulto dell'ubriachezza di Noè è appunto da ricercare nel tentativo di entrare nello stesso stato di coscienza di Adamo, ripristinando la condizione edenica, ma ancora una volta la bevanda dell’immortalità si rivela troppo forte per i limiti umani. Tutto il segreto di Noè si riassume in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua nudità. Su questo episodio mi sembra assai illuminante l’interpretazione del Sepher Zohar. Qui, si comincia col discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata scacciata, mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del diluvio e che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla. Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come se si parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si sarebbe potuto scacciare una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un anno, cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale. C’è di più: nel giardino di Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi 2,10), ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabbalistico dello Zohar, il giardino è la sephirah Malchuth, che significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che significa Fondamento. Il sospetto che non di una comune vigna si tratti ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del Genesi, in cui si dice che “Noè iniziò a piantare una vigna”, prosegua col versetto 9,21 in cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante è il commento di Rabbi Simeone del già citato passo dello Zohar:

 “In questo versetto (Genesi 9,21) si trova uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna. Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” (Sepher-ha Zohar, 73a-b. )

 Insomma, apprendiamo che Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali, conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone:

 “Accadde qui come per i figli di Aronne che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu del vino di Noè che essi si ubriacarono”  (Ibid.)

 In Esodo, il peccato di Adamo è nuovamente richiamato, allorché è detto (15,23-25): "Giunsero a Marah ma non poterono bere l'acqua perché era amara. Il popolo mormorò contro Mosè dicendo: 'Che berremo?'. Allora Mosè gridò al Signore e il Signore gli mostrò un legno. Mosè lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce".

 Allorché il popolo accusa Mosè è presente il demonio che viene per tenere lontano l'uomo dall'albero della vita. Egli istiga Israele a bere acqua amara, altrimenti tutti morranno, perché nel deserto non si trova altra acqua. Ma il Signore ascolta l'invocazione di Mosè e gli mostra un legno che muterà la natura della stessa acqua. Quel legno è lo stesso legno dell'albero della vita che in origine circondava le acque. Insomma, se non fosse stato per Mosè, il popolo impaziente avrebbe bevuto senza attendere la trasformazione delle acque. E fu l'impazienza – osserva Gikatila –  a causare la caduta di Adamo, il suo non aver saputo attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano, precipitandolo nel regno, del bene e del male, della vita e della morte. Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah (Le Porte della Luce):

 "Il serpente primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza..." (f. 105a).

Scrive ancora Gikatila in Sod ha - Nahach (Il Segreto del Serpente):

 "... E' per questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno." (f. 276a-b). Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello spirito. 

 Se si guarda ora al secondo atto del mito cosmogonico, allorché il Signore nomina nuovamente l'albero della vita e si decide la sorte di Adamo ed Eva (Genesi III, 21-24), si comprende che al centro del giardino di Eden non c’è che un albero:

 "Il Signore Dio fece ad Adamo e ad Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse: 'Ecco Adamo è diventato come uno di noi,[2] conoscitore del bene e del male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell'albero della vita, per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo cacciò via dal Gan Eden perché coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato Adamo, collocò a oriente del Gan Eden Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la via che portava all'albero della vita ". 

 Questi versetti starebbero proprio a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di due distinti alberi. Quel che c’è di vero è invece che dell'albero della conoscenza d’ora in avanti non si parla più, perché un albero della conoscenza distinto dall'albero della vita in realtà non c'è mai stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per saggiarlo, per metterlo alla prova, ma nel momento in cui l'uomo si è reso colpevole di ubris, ha voluto cioè rendersi identico a Dio, anche l'illusione è scomparsa. Sin dal primo momento non c'è stato che un solo albero, come ha ben visto Tiziano nella sua tela ad olio dove l'albero, il cui frutto Eva riceve in dono dal serpente, costituisce l'asse centrale che divide la composizione, creando l'effetto che ciò che è UNO venga visto come duplice.

 Ancora una volta il Sepher Bahir c'illumina sull’intera questione (97-8 e 66-7): ci sono 32 sentieri che l'uomo deve percorrere per giungere in cima all'albero della vita, e l'albero con i suoi sentieri, è una metafora del corpo umano. Cosa è in realtà accaduto nel momento in cui l'uomo, preso da impazienza e dal desiderio di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento egli, come si è già detto, entra nel tempo e nella condizione umana attuale, tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi, al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I, 29-30). Ora l'uomo è carne che desidera carne e in quanto tale non potrà più godere di immortalità. C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è ancora dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada fiammeggiante per poter entrare nei sentieri e compiere l'ascesa lungo l’albero-colonna. Anche qui non sarà inutile ricorrere alle ghematrie: Etz, albero si scrive da destra a sinistra { u (70+90)=160=7; Ammud, colonna con  
 d w m u  (70+40+6+4)=120=3. Sommando 7 con 3 si ha 10, oppure, se si preferisce, sommando 160 con 120 si ha 280, quindi per riduzione teosofica si ha ugualmente 2+8=10,  cioè le dieci sephiroth dell’albero della vita o albero delle sephiroth. L’uomo deve a questo punto iniziarsi, deve cioè percorrere il cammino all'inverso [Teshuvah] per tornare alla condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".

 Del resto, l'uomo può in ogni momento tornare a compiere il peccato di Adamo, come si è visto accadere ingenuamente a Noé. Reso presuntuoso dalla conoscenza, consapevole della linfa vitale che scorre all’interno dell'albero, egli ancora una volta impaziente, avrà l’illusione di vincere la guardia dei cherubini per cibarsi dei frutti e guadagnare l’immortalità, ma ciò che otterrà, credendo di aver eluso la sorveglianza dei cherubini, sarà una ubriacatura simile a quella di Noé.

[ S E G U E]

sergio magaldi




[1] Le due Yud della Alef, come pure la Waw del centro, sono quelle che appartengono alla grafia della lettera Alef.
[2] “Noi”: in quasi tutte le versioni si sottintende “angeli”, ma c’è anche, come vedremo più avanti, chi lo attribuisce agli Elohim.

Nessun commento:

Posta un commento