In prossimità delle elezioni politiche del 4
marzo, mi viene in mente una volta di più il Saggio Sulla Lucidità [Universale Economica Feltrinelli
Milano, 2011, pp.302] del premio Nobel per la letteratura, José Saramago.
Lì, un paese democratico immaginario che in realtà nasconde una vocazione
autoritaria e un comune denominatore tra i partiti: i cittadini sono
considerati tali solo nel giorno delle elezioni, per il resto del tempo sono
sudditi. Qui, un paese altrettanto democratico, almeno nelle apparenze, dove
tutto si decide altrove e dove la classe politica non fa neppure il tentativo
di proporre una legge elettorale decente, ma ne assume una d’accatto, un ibrido
indecente, dal momento che il fine della tornata elettorale non è quello di
governare il Paese, ma quello di dividersi posti di potere e lucrose prebende.
Con questa legge, infatti, ogni fazione è ben
consapevole di non poter vincere, per questo fa promesse strabilianti agli
elettori, tanto sa che da sola non potrà governare e che perciò non sarà
chiamata a rendere conto di quanto promesso: l’unico obiettivo reale è quello
di non perdere o di “perdere discretamente”: il M5S si accontenta di ottenere
una percentuale di voti più alta degli altri come singolo movimento o partito e
questo è già un piano ambizioso tenuto conto di come sta governando Roma, il
Centrodestra di averne una più alta come coalizione e, al suo interno, la Lega
di avere più voti di Forza Italia, ma i leghisti finirebbero per gridare alla vittoria
se già gli riuscisse di avvicinarsi alle percentuali del partito di Berlusconi,
dal momento che nelle precedenti elezioni il rapporto era stato del 22% [Pdl]
contro il 4% [Lega Nord]. Chi rischia di più è come al solito Renzi: il PD non
potrà essere né il singolo partito più votato e neanche aspirare a
rappresentare – insieme agli altri partitini e movimenti improvvisati – la
coalizione più votata, inoltre sa di dover pagare la scissione interna ma,
com’è noto, l’ex sindaco fiorentino ama le sfide impossibili, come fu in un
altro 4 del mese [Dicembre 2016], quando con una truppa in Parlamento che non
arrivava a rappresentare il 22% dei voti espressi [considerando il No al
Referendum della frangia del suo partito che poi si sarebbe scissa] lanciò il proprio
guanto contro il 78% rappresentato da tutti gli altri partiti, di fronte ad un
elettorato che tradizionalmente ha sempre ubbidito a parrocchie e partiti. Una
sfida rilanciata anche in questa occasione, nell’approvare una legge elettorale
ridicola che, nell’intento di punire i Cinquestelle, castiga prima di tutto il
PD e premia il centrodestra di Berlusconi. Quanto ai frazionisti di Liberi e
Uguali con una percentuale superiore al 5% sarà trionfo, al 3% sarà comunque
vittoria, tanto più che sono stati gli unici, in questa grottesca campagna
elettorale, a non aver solleticato la pancia degli italiani con appetitose
ricette ma, anzi, ad aver preso di mira il loro portafoglio, con la promessa di
ripristinare le tasse sulla casa di abitazione, con una patrimoniale
cervellotica in teoria e iniqua in pratica, spiegata da Bersani in TV come
meglio non si potrebbe, e con la proposta addirittura di aumentare l’IRPEF,
naturalmente, bontà loro, con modalità progressive.
E continuando le associazioni con il clima
elettorale descritto da Saramago: lì una pioggia torrenziale nel giorno del
voto che favorisce il disegno di un elettorato finalmente cosciente di dover
disertare le urne, qui l’auspicio che la neve che in questi giorni cade copiosa
sulla penisola faccia aumentare il numero degli astenuti, accanto a quello
delle schede bianche e nulle.
Certo, non è bello giungere a queste
conclusioni, perché la democrazia è un bene prezioso, spesso conquistato col
sangue, e il voto resta uno strumento insostituibile di partecipazione alla
vita di una comunità. Mai come questa volta però si è caduti così in basso, e quando si conosca in anticipo la sorte che
toccherà ai voti deposti nell’urna e si abbia consapevolezza del grande bluff
perpetrato ai danni dell’elettorato, il cittadino ha il dovere di riflettere e
valutare fino in fondo se non sia giunta l’ora di adottare nuove strategie. Astensione,
scheda bianca [la scelta forse meno
adatta in simili circostanze, perché altri potrebbero usarla al posto nostro], scheda annullata nella cabina [la scelta più responsabile perché la distingue da quella
dell’astensionismo dei pigri e dei qualunquisti], queste sono le reali minacce
per l’oligarchia al potere, non certo il voto dato a questo o quel partito,
proprio come accade nel libro di Saramago:
Il segno che qualcosa di grave stia per
accadere è già nella pioggia torrenziale che si abbatte sulla capitale all’alba
del giorno fissato per le elezioni. I rappresentanti dei tre partiti in lizza,
presenti nel seggio elettorale quattordici, si scambiano le proprie opinioni in
merito:
“Sarebbe stato preferibile rinviare le elezioni” è l’osservazione del rappresentante del p.d.m. [Partito di mezzo o di
centro], mentre il rappresentante del p.d.d. [Partito di destra] si limita ad
annuire e quello del p.d.s. [Partito di sinistra], se non fosse stato
trattenuto dall’improvviso arrivo di un membro del seggio, “c’è da presumere – osserva Saramago
– che non avrebbe mancato di
esprimersi sulla linea di un chiaro ottimismo storico, con una frase come
questa, per esempio, I votanti del mio partito sono persone che non si
intimoriscono per così poco, non è gente da restarsene a casa per quattro
misere gocce d’acqua che cadono dalle nuvole”.[op. cit. pp.11-12]
La pioggia passa,
gli elettori sia pure in misura ridotta cominciano a recarsi ai seggi ma, al
termine dello scrutinio nell’intero paese, il risultato è imbarazzante, con
meno del 25% di voti validi così ripartiti: 13% alla destra, 9% al centro, 2,5%
alla sinistra. Pochi i voti nulli e le astensioni, tutto il resto, più del 70%
al fantomatico partito della scheda bianca.
La ripetizione
della tornata elettorale non ha miglior esito, al contrario: destra 8%, centro
8%, sinistra 1%, zero nulli e astenuti, 83% schede bianche.
“Il primo ministro riconobbe che la gravità
della situazione era estrema, che la patria era stata vittima di un infame
attentato contro i fondamenti basilari della democrazia rappresentativa”[p.39].
A nulla era valso
ricorrere allo stadio d’assedio, con l’esercito ad occupare strade, stazioni e
aeroporti per impedire la diffusione del contagio, il diffondersi della
propaganda a favore del partito della scheda bianca. Il convincimento del
presidente della repubblica, del primo ministro e del governo fu quello di
ricorrere ad altri metodi meno appariscenti e più utili. Primo fra tutti,
quello di infiltrare agenti dei servizi speciali in seno alle masse e nei
gangli più sensibili della società. Inutile sperare, come aveva fatto sino ad
allora il ministro della difesa, di convincere “i degenerati, i delinquenti, i sovversivi
della scheda bianca a riconoscere i propri errori e implorare la misericordia,
al pari della penitenza, di una nuova tornata elettorale alla quale, nel
momento designato sarebbero accorsi in massa a purgare i peccati di un delirio
che avrebbero giurato di non ripetere mai più”[p.57].
La questione
posta da Saramago, per quanto paradossale possa sembrare, pone inquietanti
interrogativi sull’esercizio del potere in una democrazia rappresentativa. Un
partito delle schede bianche del 70-80% forse non è ipotizzabile perché, se lo
fosse, significherebbe che la maggioranza dei cittadini ha preso coscienza che
la democrazia si è trasformata in partitocrazia, il regime democratico in una
dittatura oligarchica e tirannica, e tale presa di coscienza sarebbe forse già
l’anticamera di un cambiamento. Situazione paradossale quella prospettata da
Saramago ma pur sempre possibile. La questione che interessa è però un’altra:
in simili circostanze qual è la risposta che uno stato democratico deve dare per
evitare che il partito delle schede bianche impedisca il retto funzionamento
delle istituzioni democratiche, gettando il paese nell’anarchia e nel caos? La
risposta non è certo quella che Saramago, descrive nel libro con ironia e
pungente sarcasmo, anche se non è difficile immaginare che in una situazione
concreta sarebbe l’unica ad essere adottata nelle nostre democrazie
occidentali, più rispettose delle forme che della sostanza della democrazia.
Chi ricorda più “il contratto sociale”? Chi lo spirito liberale che è alla base
della rinuncia alla sovranità individuale? L’unica risposta possibile di fronte
ad una forma così vasta di dissenso, sarebbe quella che il potere si facesse da
parte per riscrivere da capo le regole del patto tra i cittadini.
sergio
magaldi
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(.....),(.....),... "non potrà governare e che perciò non sarà chiamata a rendere conto di quanto promesso: l’unico obiettivo reale è quello di non perdere o di “perdere discretamente” Sergio Magaldi, Presidente della Commissione per la Costituzione, CHI e QUANDO HA MAI "RESO CONTO DI QUANTO PROMESSO"? E' l'art. 67 della Carta che lo permette.
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