giovedì 1 marzo 2018

LA SCELTA ELETTORALE DEL 4 MARZO







 In prossimità delle elezioni politiche del 4 marzo, mi viene in mente una volta di più il Saggio Sulla Lucidità [Universale Economica Feltrinelli  Milano, 2011, pp.302] del premio Nobel per la letteratura, José Saramago. Lì, un paese democratico immaginario che in realtà nasconde una vocazione autoritaria e un comune denominatore tra i partiti: i cittadini sono considerati tali solo nel giorno delle elezioni, per il resto del tempo sono sudditi. Qui, un paese altrettanto democratico, almeno nelle apparenze, dove tutto si decide altrove e dove la classe politica non fa neppure il tentativo di proporre una legge elettorale decente, ma ne assume una d’accatto, un ibrido indecente, dal momento che il fine della tornata elettorale non è quello di governare il Paese, ma quello di dividersi posti di potere e lucrose prebende.

 Con questa legge, infatti, ogni fazione è ben consapevole di non poter vincere, per questo fa promesse strabilianti agli elettori, tanto sa che da sola non potrà governare e che perciò non sarà chiamata a rendere conto di quanto promesso: l’unico obiettivo reale è quello di non perdere o di “perdere discretamente”: il M5S si accontenta di ottenere una percentuale di voti più alta degli altri come singolo movimento o partito e questo è già un piano ambizioso tenuto conto di come sta governando Roma, il Centrodestra di averne una più alta come coalizione e, al suo interno, la Lega di avere più voti di Forza Italia, ma i leghisti finirebbero per gridare alla vittoria se già gli riuscisse di avvicinarsi alle percentuali del partito di Berlusconi, dal momento che nelle precedenti elezioni il rapporto era stato del 22% [Pdl] contro il 4% [Lega Nord]. Chi rischia di più è come al solito Renzi: il PD non potrà essere né il singolo partito più votato e neanche aspirare a rappresentare – insieme agli altri partitini e movimenti improvvisati – la coalizione più votata, inoltre sa di dover pagare la scissione interna ma, com’è noto, l’ex sindaco fiorentino ama le sfide impossibili, come fu in un altro 4 del mese [Dicembre 2016], quando con una truppa in Parlamento che non arrivava a rappresentare il 22% dei voti espressi [considerando il No al Referendum della frangia del suo partito che poi si sarebbe scissa] lanciò il proprio guanto contro il 78% rappresentato da tutti gli altri partiti, di fronte ad un elettorato che tradizionalmente ha sempre ubbidito a parrocchie e partiti. Una sfida rilanciata anche in questa occasione, nell’approvare una legge elettorale ridicola che, nell’intento di punire i Cinquestelle, castiga prima di tutto il PD e premia il centrodestra di Berlusconi. Quanto ai frazionisti di Liberi e Uguali con una percentuale superiore al 5% sarà trionfo, al 3% sarà comunque vittoria, tanto più che sono stati gli unici, in questa grottesca campagna elettorale, a non aver solleticato la pancia degli italiani con appetitose ricette ma, anzi, ad aver preso di mira il loro portafoglio, con la promessa di ripristinare le tasse sulla casa di abitazione, con una patrimoniale cervellotica in teoria e iniqua in pratica, spiegata da Bersani in TV come meglio non si potrebbe, e con la proposta addirittura di aumentare l’IRPEF, naturalmente, bontà loro, con modalità progressive.

 E continuando le associazioni con il clima elettorale descritto da Saramago: lì una pioggia torrenziale nel giorno del voto che favorisce il disegno di un elettorato finalmente cosciente di dover disertare le urne, qui l’auspicio che la neve che in questi giorni cade copiosa sulla penisola faccia aumentare il numero degli astenuti, accanto a quello delle schede bianche e nulle.

 Certo, non è bello giungere a queste conclusioni, perché la democrazia è un bene prezioso, spesso conquistato col sangue, e il voto resta uno strumento insostituibile di partecipazione alla vita di una comunità. Mai come questa volta però si è caduti così in basso, e quando si conosca in anticipo la sorte che toccherà ai voti deposti nell’urna e si abbia consapevolezza del grande bluff perpetrato ai danni dell’elettorato, il cittadino ha il dovere di riflettere e valutare fino in fondo se non sia giunta l’ora di adottare nuove strategie. Astensione, scheda bianca [la scelta forse meno adatta in simili circostanze, perché altri potrebbero usarla al posto nostro], scheda annullata nella cabina [la scelta più responsabile perché la distingue da quella dell’astensionismo dei pigri e dei qualunquisti], queste sono le reali minacce per l’oligarchia al potere, non certo il voto dato a questo o quel partito, proprio come accade nel libro di Saramago:

 Il segno che qualcosa di grave stia per accadere è già nella pioggia torrenziale che si abbatte sulla capitale all’alba del giorno fissato per le elezioni. I rappresentanti dei tre partiti in lizza, presenti nel seggio elettorale quattordici, si scambiano le proprie opinioni in merito:

Sarebbe stato preferibile rinviare le elezioni” è l’osservazione del rappresentante del p.d.m. [Partito di mezzo o di centro], mentre il rappresentante del p.d.d. [Partito di destra] si limita ad annuire e quello del p.d.s. [Partito di sinistra], se non fosse stato trattenuto dall’improvviso arrivo di un membro del seggio, “c’è da presumere – osserva Saramago – che non avrebbe mancato di esprimersi sulla linea di un chiaro ottimismo storico, con una frase come questa, per esempio, I votanti del mio partito sono persone che non si intimoriscono per così poco, non è gente da restarsene a casa per quattro misere gocce d’acqua che cadono dalle nuvole”.[op. cit. pp.11-12]

 La pioggia passa, gli elettori sia pure in misura ridotta cominciano a recarsi ai seggi ma, al termine dello scrutinio nell’intero paese, il risultato è imbarazzante, con meno del 25% di voti validi così ripartiti: 13% alla destra, 9% al centro, 2,5% alla sinistra. Pochi i voti nulli e le astensioni, tutto il resto, più del 70% al fantomatico partito della scheda bianca.

 La ripetizione della tornata elettorale non ha miglior esito, al contrario: destra 8%, centro 8%, sinistra 1%, zero nulli e astenuti, 83% schede bianche.

Il primo ministro riconobbe che la gravità della situazione era estrema, che la patria era stata vittima di un infame attentato contro i fondamenti basilari della democrazia rappresentativa”[p.39].

  A nulla era valso ricorrere allo stadio d’assedio, con l’esercito ad occupare strade, stazioni e aeroporti per impedire la diffusione del contagio, il diffondersi della propaganda a favore del partito della scheda bianca. Il convincimento del presidente della repubblica, del primo ministro e del governo fu quello di ricorrere ad altri metodi meno appariscenti e più utili. Primo fra tutti, quello di infiltrare agenti dei servizi speciali in seno alle masse e nei gangli più sensibili della società. Inutile sperare, come aveva fatto sino ad allora il ministro della difesa, di convincere “i degenerati, i delinquenti, i sovversivi della scheda bianca a riconoscere i propri errori e implorare la misericordia, al pari della penitenza, di una nuova tornata elettorale alla quale, nel momento designato sarebbero accorsi in massa a purgare i peccati di un delirio che avrebbero giurato di non ripetere mai più”[p.57].

 La questione posta da Saramago, per quanto paradossale possa sembrare, pone inquietanti interrogativi sull’esercizio del potere in una democrazia rappresentativa. Un partito delle schede bianche del 70-80% forse non è ipotizzabile perché, se lo fosse, significherebbe che la maggioranza dei cittadini ha preso coscienza che la democrazia si è trasformata in partitocrazia, il regime democratico in una dittatura oligarchica e tirannica, e tale presa di coscienza sarebbe forse già l’anticamera di un cambiamento. Situazione paradossale quella prospettata da Saramago ma pur sempre possibile. La questione che interessa è però un’altra: in simili circostanze qual è la risposta che uno stato democratico deve dare per evitare che il partito delle schede bianche impedisca il retto funzionamento delle istituzioni democratiche, gettando il paese nell’anarchia e nel caos? La risposta non è certo quella che Saramago, descrive nel libro con ironia e pungente sarcasmo, anche se non è difficile immaginare che in una situazione concreta sarebbe l’unica ad essere adottata nelle nostre democrazie occidentali, più rispettose delle forme che della sostanza della democrazia. Chi ricorda più “il contratto sociale”? Chi lo spirito liberale che è alla base della rinuncia alla sovranità individuale? L’unica risposta possibile di fronte ad una forma così vasta di dissenso, sarebbe quella che il potere si facesse da parte per riscrivere da capo le regole del patto tra i cittadini. 


sergio magaldi


 




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1 commento:

  1. (.....),(.....),... "non potrà governare e che perciò non sarà chiamata a rendere conto di quanto promesso: l’unico obiettivo reale è quello di non perdere o di “perdere discretamente” Sergio Magaldi, Presidente della Commissione per la Costituzione, CHI e QUANDO HA MAI "RESO CONTO DI QUANTO PROMESSO"? E' l'art. 67 della Carta che lo permette.

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