venerdì 25 novembre 2011

ANONYMUS film di ROLAND EMMERICH, 2011











ANONYMUS film di Roland Emmerich, Gran Bretagna- Germania, 2011, 130 minuti









 
Juliet: Wilt thou be gone? it is not yet near day:
It was the nightingale, and not the lark,
That pierced the fearful hollow of thine ear;
Nightly she sings on yon pomegranate-tree:
Believe me, love, it was the nightingale.

Romeo: It was the lark, the herald of the morn,
No nightingale: look, love, what envious streaks
Do lace the severing clouds in yonder east:

Night'scandles are burnt out, and jocund day
Stands tiptoe on the misty mountain tops.
I must be gone and live, or stay and die.
* * *
Giulietta: Già te ne vuoi andare? Il giorno è lontano:
Era dell’usignolo e non dell’allodola,
Il canto risuonato al tuo trepido orecchio;
Canta tutte le notti sopra quell’albero di melograno:
Credimi, amore, era l’usignolo.

Romeo: Era l’allodola, messaggero del mattino,
non l’usignolo: guarda, amore, come invidiose strisce di luce
cingono le nubi che si vanno disperdendo laggiù ad oriente;
I lumi della notte si sono spenti poco a poco, e il dì giocondo
S’affaccia in punta di piedi sulle cime nebbiose dei monti.
Devo andare e vivere, o restare e morire.

Giulietta e Romeo, Atto III - Scena V

 L’autore di questo celebre e altissimo dialogo d’amore come pure del famoso monologo di Amleto, nonché di 37 Opere teatrali [oltre a 154 sonetti] altrettanto note e rappresentate da secoli su tutti i palcoscenici del pianeta non si chiamava Shakespeare [1564-1616]. È la tesi che il regista Roland Emmerich, “maestro” del genere “catastrofico”[Indipendence Day, The Day After Tomorrow ecc.] affronta in Anonymus, riprendendo la “Teoria di Oxford”, sorta attorno al 1920, secondo la quale dietro Shakespeare si sarebbe nascosto in realtà Edward de Vere, 17° conte di Oxford [ nel film interpretato sapientemente da Rhys Ifans], colto nobiluomo della corte della regina Elisabetta [una sempre brava Vanessa Redgrave] e suo probabile amante. La tesi sarà ripresa nel 1937 anche da Freud, che se ne dirà convinto, parlando di Amleto e del complesso edipico[ In proposito, si veda on line la Breve Antologia Dei Testi di S.FREUD SULL’AMLETO DI W. SHAKESPEARE – A cura di Alessandro Alemanni].

 Per la verità, il conte di Oxford non è il solo “indiziato” ad essere il “vero Shakespeare”. Nella storia della critica questo ruolo è stato di volta in volta assegnato al filosofo Francesco Bacone [1561-1626], al grande drammaturgo Christopher Marlowe, che non sarebbe morto nel 1593 ma molto più tardi, essendo sparito di scena per svolgere attività di spionaggio in favore della corona. Tesi alquanto bizzarra e poco credibile. Per continuare con William Stanley e soprattutto con Mary Sidney, sorella di Philip Sidney [l’amico carissimo di Giordano Bruno], scrittrice e poetessa inglese nonché dama di compagnia della regina Elisabetta. E si potrebbe continuare con le “attribuzioni”, se non fosse che la critica più recente sembra orientata nel tornare a considerare Shakespeare come il vero autore delle opere di… Shakespeare. Da che derivarono tante perplessità della critica?

 John Shakespeare, padre di William, era un conciatore di pelli e un guantaio e sebbene raggiungesse il titolo di balivo [sindaco] di Stratford-upon-Avon e per un certo tempo godesse di una discreta condizione economica, non fu in grado di assicurare al figlio che una modesta istruzione nella King’s New School. Dopo nozze “riparatrici” con la contadina Anne Hathaway e il fallimento economico di suo padre, William andò a cercar fortuna a Londra e lavorò come attore in varie compagnie teatrali tra cui quella di Ben Jonson [1572-1637], noto drammaturgo e poeta, figura di primo piano nel teatro elisabettiano.

 Sulla vita di Shakespeare non si possiedono notizie dettagliate, ma ciò che fece riflettere fu la considerazione che, a scrivere 37 opere teatrali di quello spessore, non poteva che essere stato un uomo colto e non un attore girovago di modesta cultura e mezzi ancor più modesti. Come avrebbe reperito altrimenti le tante fonti rintracciabili nella sua opera? E come sarebbe stato in grado di padroneggiarle per scrivere commedie e tragedie di così grande valore? Oltre alle fonti inglesi come Chaucer, Robert Greene, Philip Sidney ecc., si nota la preponderanza dei classici, in specie Plauto, Plutarco e Seneca, e soprattutto degli italiani: Boccaccio, Ariosto, Torquato Tasso, Matteo Bandello, Baldassarre Castiglione Giambattista Giraldi e tanti altri ancora. A tali considerazioni si può opporre come la scuola frequentata dal giovane Shakespeare prevedesse lo studio del latino e dei classici con orari di impegno che andavano dalle 6 della mattina alle 11 e dalle 13 alle 18. E in una mente geniale questo potrebbe anche essere stato sufficiente. Senza contare che alcuni aspetti della sua vita troverebbero spazio nella trasfigurazione scenica: la morte di Ofelia in Amleto somiglia alla morte della giovinetta Katherine Hamlett, annegata accidentalmente nel fiume Avon, e di cui William quindicenne fu addolorato spettatore. E ancora il nome di Hamnet [equivalente di Amleto], dato da Shakespeare al figlio morto prematuramente. E si potrebbe continuare con “prove” a carico e discarico circa l’attribuzione dei suoi scritti. Non è questa la mia intenzione, anche perché per secoli la critica s’è cimentata in proposito, pervenendo a risultati soltanto plausibili.

 Certo, il conte di Oxford, uomo coltissimo ed amante del teatro, appartenente ad una famiglia puritana e d’antica nobiltà, genero di William Cecil, grande consigliere di Elisabetta, che si nasconde prima dietro Ben Jonson [Sebastian Armesto], poi dietro William Shakespeare [Rafe Spall], per veder rappresentate le proprie opere che altrimenti non gli sarebbe possibile, vuoi per il proprio rango, vuoi per la critica sferzante della società di cui fa parte, è tesi affascinante ed è per questo che Roland Emmerich ha deciso di portarla sullo schermo. Romanzata, di sicuro, questa storia, tant’è che Shakespeare viene presentato come un indegno ricattatore, per giunta semi-analfabeta. Ma lo scopo è raggiunto con il fine evidente di partecipare al grosso pubblico un’emozione inquietante insieme ad una tesi abbastanza plausibile.

 Resta ancora da osservare che Edward de Vere muore nel 1604 mentre Shakespeare smette di scrivere nel 1613, tre anni prima della morte, e che negli anni 1604-1613 porta a compimento circa 12 opere, tra cui Otello, Re Lear, Macbeth, La Tempesta ed Enrico VIII. Lasciti del conte di Oxford? È possibile anche se non del tutto convincente.

 Qualcuno ha parlato di “film ingessato”, pesante e con poco ritmo. Non sono di questa idea. I centotrenta minuti in cui si dipana la narrazione scorrono velocemente e più che di una vera e propria ingessatura parlerei al massimo di una sottile imbastitura. La sceneggiatura di John Orloff è pregevole, l’ambientazione e la fotografia all’altezza di altri film del genere, la musica piacevole soprattutto nel finale. Certo, mancano la “leggerezza” e l’amore [qui solo torbide e accennate passioni] che erano stati il pregio di un film come Shakespeare in love, ma nel complesso il lavoro del regista tedesco, merita di essere visto da un pubblico non superficiale.

sergio magaldi