martedì 31 luglio 2012

LA MORTE E' UNA DONNA CHE NON RISPONDE ALLE LETTERE... nel romanzo di Saramago, pubblicato da Feltrinelli nell'Universale Economica (2012)

José Saramago, Le intermittenze della morte, Universale Economica Feltrinelli, 2012, pp.218









  Ancora il paradosso la fa da protagonista nel romanzo Le intermittenze della morte del Premio Nobel per la letteratura, José Saramago.

  In Cecità, il grande scrittore portoghese immagina che all’improvviso tutti gli abitanti, tranne uno, di un non meglio identificato Paese, perdano la vista.

  In L’uomo duplicato, Saramago descrive le possibili conseguenze della duplicazione degli individui.

  In Saggio sulla lucidità, la domanda è: “Cosa accadrebbe in uno Stato democratico se la gente non andasse più a votare o votasse scheda bianca?” [Post in questo blog del 3 Maggio 2012].

  In Tutti i nomi, il tema è l’impermanenza e l’ingiusta distinzione tra vivi e morti nell’archivio della Conservatoria Generale dell’Anagrafe: indipendentemente dal loro esserci o esserci stati, in qualsiasi tempo e luogo, vivi e morti costituiscono il tutt’uno dell’umanità [Post in questo blog del 20 Luglio 2012].

  In Le intermittenze della morte, il paradosso è rappresentato dalle conseguenze che derivano, in un ipotetico Paese di dieci milioni di abitanti, dalla cessazione dell’impermanenza  fisica: la morte ha deciso infatti, per motivi che saranno chiariti in seguito, di sospendere i propri “servizi”. Il popolo è in festa e sui balconi delle case vengono affisse le bandiere nazionali in segno di giubilo. Non altrettanto liete sono le autorità civili e religiose, a giudicare dalla telefonata che intercorre tra il primo ministro e un eminente cardinale:

 “Buonasera, signor primo ministro, Buonasera, eminenza, Le telefono per dirle che mi sento profondamente scioccato, Anch’io eminenza, la situazione è molto grave, la più grave di quante il paese ha dovuto vivere fino a oggi, Non si tratta di questo, Di che si tratta allora, eminenza, È deplorevole sotto tutti gli aspetti che, nel redigere la dichiarazione che ho appena ascoltato, lei, signor primo ministro, non si sia ricordato di quello che costituisce il fondamento, la trave maestra, la pietra angolare, la chiave di volta della nostra santa religione, Eminenza, mi perdoni, temo di non comprendere dove vuole arrivare, Senza morte, mi ascolti bene, signor primo ministro, senza morte non c’è resurrezione, e senza resurrezione non c’è chiesa” [p.20]

  Quali le prospettive per il Paese? Si lamentano le imprese degli affari funerari, le agenzie di pompe funebri, gli ospedali dove continuano ad entrare gli infermi senza che ne escano i morti, le case di riposo per la terza e quarta età, per il venir meno della “sicurezza derivante dalla continua e inarrestabile rotazione di vite e morti”, le compagnie di assicurazioni: chi vuole più stipulare una polizza sulla vita, dal momento che non si muore più? Per non parlare dello Stato che, nel breve tempo, non sarà più in condizione di far fronte al pagamento delle pensioni né alle crescenti spese sanitarie, giacché la sospensione della morte non significa che gli infermi guariscano. Inoltre, l’aumentato numero di malati terminali, ridotti ormai in condizione di decrepitezza, pone il problema della continua assistenza pubblica e privata.

  Le famiglie, che avevano salutato con entusiasmo l’avvento della nuova era, esente da morte, sono ora costrette a riflettere su un problema dal duplice aspetto: come assistere i propri infermi, vecchi decrepiti e/o malati terminali, e come porre fine alle loro, talora indicibili sofferenze, soprattutto quando sono essi stessi a chiedere di voler morire. E la soluzione, tra tentennamenti e rimorsi, viene subito individuata: altrove la morte continua a fare il proprio lavoro, basterà trasportare i moribondi, nottetempo e clandestinamente, fuori dei confini nazionali, la falce li colpirà all’istante e in quei luoghi avranno sepoltura.

 Sorgono nuovi problemi: l’idea del “trasporto” si propaga velocemente tra le famiglie, il governo è costretto a nominare sorveglianti ai confini del territorio nazionale, per impedire ufficialmente i viaggi per andare a morire, anche se in cuor suo vede nell’iniziativa un rimedio contro i propri mali. La “soluzione” diffusasi spontaneamente tra le famiglie, diventa un affare per le organizzazioni mafiose che ora monopolizzano il lucroso traffico. I sorveglianti vengono spesso malmenati e lo Stato sarà costretto a patteggiare: continuerà a mandare i sorveglianti, ma questi chiuderanno un occhio e talora tutti e due, ma a questo punto si scatenerà l’opposizione politica contro il governo.

  Dopo poco più di sette mesi di irreperibilità, la morte torna a farsi viva con una lettera inviata al direttore generale della televisione nazionale, perché egli ne dia notizia in prima serata al pubblico dei telespettatori, subito dopo un comunicato del governo:

 “Nel preciso istante in cui l’annunciatore finì di leggere il comunicato del governo, la telecamera numero due inquadrò il direttore generale. Si notava che era nervoso, che aveva un groppo in gola. Tossicchiò per schiarirsi la voce e cominciò a leggere,signor direttore generale della televisione nazionale,stimato signore,per gli effetti che gli interessati riterranno convenienti sono qui per informare che a partire dalla mezzanotte di oggi si tornerà a morire come succedeva,senza proteste notorie,sin dal principio dei tempi e fino al giorno trentuno dicembre dello scorso anno, devo spiegare che l’intenzione che mi ha portato a interrompere la mia attività, a smettere di ammazzare, a rinfoderare l’emblematica falce che fantasiosi pittori e incisori d’altri tempi mi hanno messo in mano, è stata di offrire a quegli esseri umani che tanto mi detestano una piccola dimostrazione di cosa sarebbe per loro vivere sempre, cioè eternamente […] dunque rassegnatevi e morite senza discutere perché non vi servirebbe a niente,tuttavia, c’è un punto su cui mi sento in obbligo di riconoscere il mio errore,il quale punto ha a che vedere con l’ingiusto e crudele procedimento che stavo seguendo, vale a dire togliere la vita alle persone a tradimento, senza preavviso, senza un allerta […],insomma, d’ora in poi tutti quanti saranno avvertiti e avranno la scadenza di una settimana per mettere in ordine quanto ancora gli resta di vita, fare testamento e dire addio alla famiglia, chiedendo perdono per il male fatto o facendo la pace con il cugino con cui avevano rotto i rapporti da vent’anni[…]” [pp.105-106]

  Il comunicato della morte, ancorché inusitato, lascia tutti sgomenti. Non soltanto coloro che continuavano a gioire per la sua assenza e il suo silenzio, ma tutti gli altri, per il problema di dover fronteggiare “ben più di un’ecatombe” nel giro di tre ore, quando i moribondi, a decine e decine di migliaia, moriranno tutti nello stesso istante. Più grave ancora, la nuova consapevolezza circa le lettere viola che d’ora in avanti la morte farà recapitare a coloro cui resta solo una settimana di vita.

  Facile immaginare in quale stato sarebbe precipitato l’uomo che, godendo di buona salute, si fosse visto recapitare una di queste lettere viola:
 

 “Caro signore, sono spiacente di comunicarle che la sua vita terminerà alla scadenza improrogabile di una settimana, faccia del suo meglio per godersi il tempo che le resta, la sua attenta servitrice, morte.”[p.131] 

  Cosa avrebbe potuto fare quest’uomo? Piangere con i familiari per il tempo che gli resta o trastullarsi per sette giorni in bagordi? O magari scrivere alla morte chiedendo spiegazioni, 

“sapendo comunque che non riceverà risposta, perché la morte non risponde mai […]”[p.132].

  Il Servizio ufficiale di identificazione del Paese viene messo in allarme: un famoso specialista nella ricostruzione di volti sulla base dei teschi e delle tante raffigurazioni antiche della morte, giunge alla conclusione che la morte è una donna. Alle stesse conclusioni era già pervenuto il grafologo, studiando il comunicato che la morte aveva inviato al direttore generale della televisione nazionale.

  La scoperta avrà delle conseguenze, quando la morte si vedrà recapitare indietro la lettera viola inviata ad un musicista, la cui essenza o il cui ritratto, se lo si fosse potuto rappresentare in musica, sarebbe stato il breve studio di Chopin, Opera 25, numero 9 in sol bemolle maggiore. E qui inizia la parte più bella e intrigante di questo, per certi versi didascalico, e avvincente romanzo di Saramago.


 
  Andrei Gavrilov suona Chopin, Studio Opera 25,  
  n.9 in Sol bemolle maggiore



  Può l’amore vincere il fato e la morte? La domanda che ponevo nel post di Mercoledì 25 Luglio u.s. [Puo l’amore modificare i piani del destino?], a proposito di un film, si ripresenta qui nell’implicita e sagace conoscenza che José Saramago ha del mito, della musica [si pensi soltanto ad Orfeo ed Euridice] e della psicanalisi. Per Freud, amore e morte, le pulsioni fondamentali dell’essere umano, pur presentandosi nella forma dell’antagonismo e della contrapposizione, sono sempre e in qualche modo connesse tra loro. Thanatos, morte, è contenuta in Eros, amore, per quel tanto o poco che serve ad inibire gli istinti, come sostiene Herbert Marcuse in Eros e Civiltà, ed Eros è anche una faccia di Thanatos, come ribadisce  James Hillman in Il mito dell’analisi, perché solo l’amore è in grado di guidare l’anima nel regno della psiche, al di sotto e al di là della semplice vita, nei territori impervi delle ombre, il solo universo dove il “per sempre” e l’eterno sono di casa.
























sergio magaldi

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