SEGUE DA “NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia” [clicca sul titolo per leggere]
ANTECEDENTI STORICI DELLO ZOHAR
Se Isacco il Cieco (1160-1235) fu il primo
grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in
Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche,
l’antesignano fu comunque suo padre Abraham ben David (1125-1198) di Posquières
(Narbonne), autore di scritti in polemica con Maimonide, di commenti sul Talmud
e che fondò un’accademia talmudica, dove ben presto si praticò la kavvanah (concentrazione), lo studio
della Torah e la lettura del Sepher
Yetzirah e del Sepher Bahir. Di
qui si formarono diversi circoli di asceti o perushìm. Il più noto fu, in un primo tempo, il gruppo di Jacob
Hanazyr dedito in particolare alla meditazione sulle sephiroth, concetto centrale del Sepher Yetzirah o Libro
della Formazione. Di questo libro, essenziale per le successive
speculazioni dei cabbalisti, si era già occupato Yehudah ben Semu’el ha-Lewi
(1086-1141), medico, poeta, teologo e filosofo castigliano. Nella Parte Quarta
del suo Il re dei Khazari, scritto in arabo, poi tradotto in ebraico,
Yehudah si sofferma prima sui nomi di Dio, per poi dedicare diverse pagine al
Sepher Yetzirah:“[…] composto – egli scrive – da nostro padre Abramo, libro molto
profondo che richiede lunghe spiegazioni; esso insegna la deità e l’unità per
mezzo di cose che sono varie e molteplici da una parte, però d’altre sono unite
e concordanti; e la loro concordia deriva da quell’Uno che le ha ordinate; esse
sono: Sephar, Sippur e Sepher [misura, parola e scrittura]”.[1]
Di un certo interesse quanto Yehudah scrive sui nomi di Dio, in particolare
sulla distinzione tra Elohim e il Tetragramma, di cui tornerò a parlare più
avanti:
“Elohim
è un epiteto o attributo che significa dominatore di qualcosa, o giudice;
qualche volta si intende in senso assoluto, quando vuol dire il Sovrano che
domina tutto il mondo; altre volte [è usato] in particolare, quando denota
alcune potestà o virtù celesti, o qualcuna delle nature, o qualche giudice
umano e questo nome ha forma plurale, perché si usava fra le nazioni che facevano
immagini, e credevano che in ciascuna di esse, risiedessero alcune virtù delle
sfere celesti, e cose simili a queste; e consideravano ognuna di esse come dio,
e tutte in generale chiamavano dèi, e giuravano per essi, come se questi [dèi]
dominassero su di loro; ed erano molti […] Quegli era il Creatore del mondo, e
lo designò per mezzo di parole e di attributi, e Lo chiamò YHWH”.[2]
I perushìm provenzali studiavano quasi senza
interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si
reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù
di Levi. Huqe ha-Torah, un documento
provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri (devozione al
maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di
apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il
dibattito tra i discepoli, ecc…). Ashèr ben Davìd, nipote di Isacco, fu
l’anello di collegamento tra i cabbalisti di Provenza e il centro cabbalistico
di Girona, in Catalogna, il più rinomato tra il 1210 e il 1260 per gli studi di
Qabbalah.
Isacco detto il Chassid (il pietoso), il Cieco (possedeva un ‘eccesso’ di luce),
il Parush o il Sagghì-nahòr (ricco di luce), l’Avì ha-qabbalah (l’eminente
nella Qabbalah) fu per unanime riconoscimento autorità indiscussa in ambito
cabbalistico per diverso tempo e con lui si venne affermando l’idea di
considerare la Qabbalah come la dottrina esoterica degli ebrei. La lettera di
Isacco ai rabbini di Girona[3]attesta
del carattere esoterico della scuole da lui ispirate, ma anche della
riservatezza che il grande Chassìd voleva mantenere sulle speculazioni
cabbalistiche e che invece, per responsabilità dei suoi scolari [tra questi,
probabilmente Ezrà e Azrièl di Girona], a suo giudizio, erano finite per essere
profanate nelle strade e nei mercati:
«Ero stato preso da una grande inquietudine,
allorché avevo visto sapienti, gente colta e chassidìm abbandonarsi a
lunghi discorsi e trattare presuntuosamente, ne loro libri e nelle loro
lettere, grandi e sublimi argomenti [di Kabbalà]. Ora, ciò che è scritto, non
lo si può conservare nell'armadio; spesso, queste cose si perdono, o i loro
possessori muoiono, e questi scritti pervengono in mani di stolti o di
beffeggiatori, e il nome del Cielo è cosi profanato. Ed è appunto ciò che è
capitato a loro. Quando ero ancora con loro, durante un periodo della mia vita,
li avevo spesso messi in guardia contro questa tendenza, ma dopo che da essi mi
sono separato sono divenuti causa di sventura. E ad un'altra cosa [cioè di non
dire o scrivere niente su argomenti di Kabbalà a cui, per ciò che mi riguarda,
sono stato abituato, poiché Ì miei padri erano, certamente, i più nobili del
paese e maestri della Torà in pubblico, ma non usciva mai una parola
dalla loro bocca, e si comportavano con essi [i non iniziati], come con gente
non versata nella saggezza, e ciò l'ho visto presso di loro e ne ho tratto
profitto. Inoltre [a parte le lettere citate prima di Nachmanide] ho pure
sentito dire dalle regioni che voi abitate e da gente di Burgos che si
diffondono apertamente a proposito di queste cose, per i mercati e per
le strade, in discorsi confusi e sventati, e dalle loro parole chiaramente
risulta che il loro cuore s’è allontanato dall’Altissimo [min ha-’elyonà]
e che essi commettono devastazioni nei frutteti [È l’espressione – annota lo
Scholem – usata dopo Isacco da tutti i kabbalisti per gli errori relativi tra
le sefiròth e Dio; (…) cfr. Chaghigà, 14b], mentre le cose sono
unite come la fiamma è legata al carbone, poiché il Signore è unico e non ha,
al suo fianco, un secondo, e che cosa conti tu davanti all’Uno [Tutti questi
modi parlare – annota ancora lo Scholem – sono attinti dal cap.I del Sèpher
Yetzirah] “davanti all’Uno”, è il grande nome che è unito a tutte le dieci [sefiròth].»[4]
Isacco
anticipò il tema della trasmigrazione delle anime, che sarà ripreso più tardi
dai cabbalisti di Safed, limitandolo a tre ritorni, come è scritto in Giobbe 33:29 ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo: ricondurre l’anima dalla sua
putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’ (È ciò che i cabbalisti chiamano Ghilghul l w g
l g = 72 come i nomi di Dio e come la
sephirah Chesed). Egli si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere,
delle Sephiroth dell’Albero della
vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di
Deveqùth (communio), della catena
degli esseri, di simpatia universale, dei cicli cosmici (shemittoth) del Sepher Temunà
(con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e del tema della luce e
delle tenebre contenuto nel Sepher Iyyùn (luce e le tenebre scaturiscono
dall’Oscurità primordiale) che ebbe particolare risonanza in tutto l’ambiente
cabbalistico. Si occupò anche del
problema del male, da lui collegato alla frattura del Nome, che ritorna
incompleto dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto, così com’era prima della
creazione dell’uomo [una delle sue prime speculazioni riguarda il nome divino:
“Il giorno in cui (YHWH) Elohim fece il cielo e la terra (Genesi 2:4), il nome non era intero, sinché
l’uomo non fu creato a immagine di Dio e il Sigillo non fu completo.”]. Il
riferimento è in Esodo,17:7 ‘Vedremo se il Signore è con noi o no’.
Dopo l’uscita dall’Egitto venne Amalek, capo degli Amaleciti, beduini del sud
di Canaan: ‘la mano di Amalek si levò
sopra il trono di Y(a)h’ e Isacco descrive la lotta di Mosè contro
l’Arcangelo di Amalek: ‘Mosè dovette
ricorrere all’elevazione delle mani per lottare contro l’Arcangelo e respingere
le sue mani dalla sephirah Ghevourah’. Aron e Chur sostengono le mani di
Mosè e Israele può vincere, ma il male si è generato. Il Nome non potrà più
essere pronunciato e le inevitabili conseguenze saranno la distruzione del
Tempio, l’esilio e il ritrarsi delle sephiroth superiori in ‘Alto’. ll Nome ormai impronunciabile troverà posto nel
cuore dei cabbalisti.
Nel collegare la ‘parola perduta’ del vero Nome di
Dio alla rottura dell’equilibrio delle sephiroth dell’Albero della vita,
piuttosto che al peccato di Adamo, nel divieto di indagare su Ein Soph, Deus
absconditus o Infinito, la qabbalah storica di Isacco il cieco denota una
sostanziale laicità. Del resto Isacco il Chassìd soleva affermare che la ‘diversità
ebraica’ consisteva nella pratica di una filosofia esoterica basata
sullo studio e sulla conoscenza piuttosto che su una religione unicamente
ispirata dalla fede e dal sentimento.
Isacco scrisse il Perush Sepher Yetzirah un commento in sei capitoli del
Sepher Yetzirah o Libro della Formazione, circa 70
frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e
qualcuno gli attribuì anche il Sepher
Bahir. Sotto la spinta di Isacco, nel 1230 sorge a Girona la Chaburah qedoshah o Associazione Sacra,
vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della
Qabbalah in tutto il Mediterraneo.
IL SEPHER YETZIRAH
Nel suo stile stringato ed essenziale, il Sepher
Yetzirah[5]
costituisce per così dire il “nucleo metafisico” della Qabbalah. Il Sepher
Yetzirah si ispira al Ma'aseh Bereshith della tradizione talmudica,
essendo innanzi tutto un approfondimento del I° Capitolo del Genesi.
Non c'è testo della complessa letteratura cabbalistica, dal Sepher
Bahir al Sepher ha-Zohar che
non ne abbia ripreso i concetti sotto forma di commentari o di opere più
originali. Ciò ha comportato spesso uno stravolgimento di senso, con
interpolazioni dottrinarie suggerite dalle condizioni storiche e ambientali,
senza riuscire, tuttavia, ad intaccare quello che appare come il nucleo
essenziale della Qabbalah. Guardando a questo nucleo e ai suoi svolgimenti più
maturi contenuti nello Zohar, ci si accorge dell'infondatezza della tesi
condivisa da autorevoli studiosi contemporanei quali, per esempio, Gershom
Scholem e Isaia Tishby. La tesi è quella di una sostanziale ispirazione della
Qabbalah ora al pensiero mitopoietico degli gnostici ora al neoplatonismo, con
conseguente allontanamento dalla più autentica tradizione ebraica, fondata
sulla Torah e sul Talmud. Esaminerò ora il Sepher
Yezirah o 'Libro della formazione' in alcune sue parti, senza tuttavia tentarne
una trattazione più ampia, come sarebbe necessario, di quella che ci si propone
in tale contesto.
“L’indicibile”,
colui del quale non è dato pronunciare il nome, neppure nella forma del
Tetragramma, ha formato tutto con il numero, con la lettera e con la parola.
Egli ha innanzi tutto posto le condizioni del molteplice che si fonda sui primi
dieci numeri. Sephiroth o numeri
“beli-mah”, cioé senza ulteriori determinazioni, per produrre il molteplice e
l'uno viene dall'altro ma è in sé autosufficiente. Il dieci è l'ultima delle
condizioni possibili del molteplice. In realtà, tali condizioni sono già
esaurite con il numero nove, il dieci altro non essendo che la
riproposizione dell'unità colta non più come unità di misura - fonte di ogni
possibile numero - bensì come la forma estrema in cui è dato cogliere il
molteplice. Non a caso, nel dieci, all'uno si affianca lo zero, cioè il termine
delle possibili radici della molteplicità. D’altra parte, dopo il dieci
noi possiamo seguitare a contare all’infinito, perché infinito è il molteplice,
anche se le forme della manifestazione sono finite: i numeri che servono per
contare all'infinito sono solo i primi dieci e nel numero dieci, insieme alla
riproposizione dell'unità, appare lo zero come nullificazione contingente dei
fenomeni. Lo zero-nulla, dunque, non e il presupposto dell’esserci dell'Essere,
perché, al contrario, è a partire dall'Essere che il nulla può manifestarsi,
almeno a quanto è dato saperne.
Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’,
facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento
tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico Safor che
significa contare e che delle
sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ primordiali
o, riservandogli la terminologia di cui si serve Kant per descrivere spazio e
tempo, ‘forme pure a priori’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri
dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è
attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether, 6 Tiphereth, 9 Yesod, 10 Malchuth. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah , 4 ‘Hesed, 7 Netzach. Alla colonna di sinistra: 3 Binah,
5 Gheburah, 8 Hod.
I trentadue prodigiosi sentieri di sapienza
con cui all’inizio del Sèpher Yetzirah è detto che Dio formò il mondo e
che convergono verso la sephirah centrale dell’Albero sephitotico sono quelli
formati dalle dieci sephiroth e dalle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico:
1°Kether-Corona, 2°Hockmah-Sapienza o Origine dell’esistenza,
3°Binah-Intelligenza o Ritorno, 4°Hesed-Grazia o Misericordia,
5°Ghebourah-Giudizio o Rigore, 6°Thiphereth-Armonia o Bellezza o
Equilibrio, 7°Netzach-Eternità o Vittoria, 8°Hod-Splendore,
Maestà o Potenza, 9°Yesod-Fondamento o Alleanza, 10°Malkouth-Regno,
Terra o Pelle; ai quali si aggiungono gli altri sentieri secondo le
attribuzioni, che talora differiscono tra i vari studiosi, delle 22 lettere:
11° Kether-Hockmah, 12° Kether-Binah, 13° Kether-Thiphereth, 14° Hockmah-Binah,
15° Hockmah-Thiphereth, 16° Hockmah-Hesed, 17° Binah-Thiphereth, 18°
Binah-Ghebourah, 19° Ghebourah-Hesed, 20° Hesed-Thiphereth, 21°
Hesed-Netzach,22° Ghebourah-Thiphereth, 23° Ghebourah-Hod, 24°
Thiphereth-Netzach, 25° Thiphereth-Yesod, 26° Thiphereth-Hod, 27° Netzach-Hod,
28° Netzach-Yesod, 29° Netzach-Malkuth, 30° Hod-Yesod, 31° Hod-Malkuth, 32°
Yesod-Malkuth.
[S E G U E]
Sergio Magaldi
[1] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari,
Universale Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p.223
[2] Ibid., pp. 191 e 193.
[3] Girona è la denominazione corretta, in catalano,
di questa città della Catalogna. È
Gerona e si pronuncia “Gherona” in castigliano che è la lingua ufficiale
della Spagna.
[4] Brano della lettera che Isacco il Cieco invia alla
comunità di Girona attorno al 1235, cioè poco prima di morire, tratto da Gershom Scholem, Le Origini della Kabbalah,
trad., dall’edizione francese, di Augusto Segre, EDB, Bologna, 1990,
pp.488-489.
[5] Attribuito miticamente al patriarca Abramo, la sua
data di composizione, secondo gli studiosi, oscilla tra il II e il VI secolo
d.C., e qualcuno si spinge addirittura sino al VII e VIII secolo.
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