mercoledì 27 dicembre 2017

NOTE SULLA QABBALAH: parte II, antecedenti storici dello Zohar





 SEGUE DA “NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia [clicca sul titolo per leggere]

 

 ANTECEDENTI STORICI DELLO ZOHAR


 Se Isacco il Cieco (1160-1235) fu il primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche, l’antesignano fu comunque suo padre Abraham ben David (1125-1198) di Posquières (Narbonne), autore di scritti in polemica con Maimonide, di commenti sul Talmud e che fondò un’accademia talmudica, dove ben presto si praticò la kavvanah (concentrazione), lo studio della Torah e la lettura del  Sepher Yetzirah e del Sepher Bahir. Di qui si formarono diversi circoli di asceti o perushìm. Il più noto fu, in un primo tempo, il gruppo di Jacob Hanazyr dedito in particolare alla meditazione sulle sephiroth, concetto centrale del Sepher Yetzirah o Libro della Formazione. Di questo libro, essenziale per le successive speculazioni dei cabbalisti, si era già occupato Yehudah ben Semu’el ha-Lewi (1086-1141), medico, poeta, teologo e filosofo castigliano. Nella Parte Quarta del suo Il re dei Khazari, scritto in arabo, poi tradotto in ebraico, Yehudah si sofferma prima sui nomi di Dio, per poi dedicare diverse pagine al Sepher Yetzirah:“[…] composto – egli scrive – da nostro padre Abramo, libro molto profondo che richiede lunghe spiegazioni; esso insegna la deità e l’unità per mezzo di cose che sono varie e molteplici da una parte, però d’altre sono unite e concordanti; e la loro concordia deriva da quell’Uno che le ha ordinate; esse sono: Sephar, Sippur e Sepher [misura, parola e scrittura]”.[1] Di un certo interesse quanto Yehudah scrive sui nomi di Dio, in particolare sulla distinzione tra Elohim e il Tetragramma, di cui tornerò a parlare più avanti:

“Elohim è un epiteto o attributo che significa dominatore di qualcosa, o giudice; qualche volta si intende in senso assoluto, quando vuol dire il Sovrano che domina tutto il mondo; altre volte [è usato] in particolare, quando denota alcune potestà o virtù celesti, o qualcuna delle nature, o qualche giudice umano e questo nome ha forma plurale, perché si usava fra le nazioni che facevano immagini, e credevano che in ciascuna di esse, risiedessero alcune virtù delle sfere celesti, e cose simili a queste; e consideravano ognuna di esse come dio, e tutte in generale chiamavano dèi, e giuravano per essi, come se questi [dèi] dominassero su di loro; ed erano molti […] Quegli era il Creatore del mondo, e lo designò per mezzo di parole e di attributi, e Lo chiamò YHWH”.[2]   

 I perushìm provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi. Huqe ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri (devozione al maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito tra i discepoli, ecc…). Ashèr ben Davìd, nipote di Isacco, fu l’anello di collegamento tra i cabbalisti di Provenza e il centro cabbalistico di Girona, in Catalogna, il più rinomato tra il 1210 e il 1260 per gli studi di Qabbalah.

 Isacco detto il Chassid (il pietoso), il Cieco (possedeva un ‘eccesso’ di luce), il Parush o il Sagghì-nahòr (ricco di luce), l’Avì ha-qabbalah (l’eminente nella Qabbalah) fu per unanime riconoscimento autorità indiscussa in ambito cabbalistico per diverso tempo e con lui si venne affermando l’idea di considerare la Qabbalah come la dottrina esoterica degli ebrei. La lettera di Isacco ai rabbini di Girona[3]attesta del carattere esoterico della scuole da lui ispirate, ma anche della riservatezza che il grande Chassìd voleva mantenere sulle speculazioni cabbalistiche e che invece, per responsabilità dei suoi scolari [tra questi, probabilmente Ezrà e Azrièl di Girona], a suo giudizio, erano finite per essere profanate nelle strade e nei mercati:

 «Ero stato preso da una grande inquietudine, allorché avevo visto sapienti, gente colta e chassidìm abbando­narsi a lunghi discorsi e trattare presuntuosamente, ne loro libri e nelle loro lettere, grandi e sublimi argomenti [di Kabbalà]. Ora, ciò che è scritto, non lo si può conservare nell'armadio; spesso, queste cose si perdono, o i loro possessori muoiono, e questi scritti pervengono in mani di stolti o di beffeggiatori, e il nome del Cielo è cosi profanato. Ed è appunto ciò che è capitato a loro. Quando ero ancora con loro, durante un periodo della mia vita, li avevo spesso messi in guardia contro questa tendenza, ma dopo che da essi mi sono separato sono divenuti causa di sventura. E ad un'altra cosa [cioè di non dire o scrivere niente su argomenti di Kabbalà a cui, per ciò che mi riguarda, sono stato abituato, poiché Ì miei padri erano, certamente, i più nobili del paese e maestri della Torà in pubblico, ma non usciva mai una parola dalla loro bocca, e si comportavano con essi [i non iniziati], come con gente non versata nella saggezza, e ciò l'ho visto presso di loro e ne ho tratto profitto. Inoltre [a parte le lettere citate prima di Nachmanide] ho pure sentito dire dalle regioni che voi abitate e da gente di Burgos che si diffondono apertamente a proposito di queste cose, per i mercati e per le strade, in discorsi confusi e sventati, e dalle loro parole chiaramente risulta che il loro cuore s’è allontanato dall’Altissimo [min ha-’elyonà] e che essi commettono devastazioni nei frutteti [È l’espressione – annota lo Scholem – usata dopo Isacco da tutti i kabbalisti per gli errori relativi tra le sefiròth e Dio; (…) cfr. Chaghigà, 14b], mentre le cose sono unite come la fiamma è legata al carbone, poiché il Signore è unico e non ha, al suo fianco, un secondo, e che cosa conti tu davanti all’Uno [Tutti questi modi parlare – annota ancora lo Scholem – sono attinti dal cap.I del Sèpher Yetzirah] “davanti all’Uno”, è il grande nome che è unito a tutte le dieci [sefiròth].»[4]

 Isacco anticipò il tema della trasmigrazione delle anime, che sarà ripreso più tardi dai cabbalisti di Safed, limitandolo a tre ritorni, come è scritto in Giobbe 33:29 ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo: ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’ (È  ciò che i cabbalisti chiamano Ghilghul  l w g l g = 72 come i nomi di Dio e come la sephirah Chesed). Egli si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, delle Sephiroth dell’Albero della vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di Deveqùth (communio), della catena degli esseri, di simpatia universale, dei cicli cosmici (shemittoth) del Sepher Temunà (con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e del tema della luce e delle tenebre contenuto nel Sepher Iyyùn (luce e le tenebre scaturiscono dall’Oscurità primordiale) che ebbe particolare risonanza in tutto l’ambiente cabbalistico. Si occupò anche del  problema del male, da lui collegato alla frattura del Nome, che ritorna incompleto dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto, così com’era prima della creazione dell’uomo [una delle sue prime speculazioni riguarda il nome divino: “Il giorno in cui (YHWH) Elohim fece il cielo e la terra (Genesi 2:4), il nome non era intero, sinché l’uomo non fu creato a immagine di Dio e il Sigillo non fu completo.”]. Il riferimento è in  Esodo,17:7 Vedremo se il Signore è con noi o no’. Dopo l’uscita dall’Egitto venne Amalek, capo degli Amaleciti, beduini del sud di Canaan: ‘la mano di Amalek si levò sopra il trono di Y(a)h’ e Isacco descrive la lotta di Mosè contro l’Arcangelo di Amalek: ‘Mosè dovette ricorrere all’elevazione delle mani per lottare contro l’Arcangelo e respingere le sue mani dalla sephirah Ghevourah’. Aron e Chur sostengono le mani di Mosè e Israele può vincere, ma il male si è generato. Il Nome non potrà più essere pronunciato e le inevitabili conseguenze saranno la distruzione del Tempio, l’esilio e il ritrarsi delle sephiroth superiori in ‘Alto’. ll Nome ormai impronunciabile troverà posto nel cuore dei cabbalisti.

  Nel collegare la ‘parola perduta’ del vero Nome di Dio alla rottura dell’equilibrio delle sephiroth dell’Albero della vita, piuttosto che al peccato di Adamo, nel divieto di indagare su Ein Soph, Deus absconditus o Infinito, la qabbalah storica di Isacco il cieco denota una sostanziale laicità. Del resto Isacco il Chassìd soleva affermare che la ‘diversità ebraica’ consisteva nella pratica di una filosofia esoterica basata sullo studio e sulla conoscenza piuttosto che su una religione unicamente ispirata dalla fede e dal sentimento. Isacco scrisse il Perush Sepher Yetzirah un commento in sei capitoli del Sepher Yetzirah o Libro della Formazione, circa 70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e qualcuno gli attribuì anche il Sepher Bahir. Sotto la spinta di Isacco, nel 1230 sorge a Girona la Chaburah qedoshah o Associazione Sacra, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.


IL SEPHER YETZIRAH

 Nel suo stile stringato ed essenziale, il Sepher Yetzirah[5] costituisce per così dire il “nucleo metafisico” della Qabbalah. Il Sepher Yetzirah si ispira al Ma'aseh Bereshith della tra­dizione talmudica, essendo innanzi tutto un approfondimento del I° Capi­tolo del Genesi. Non c'è testo della complessa letteratura cabbalistica, dal  Sepher Bahir al Sepher ha-Zohar  che non ne abbia ripreso i concetti sotto forma di commentari o di opere più originali. Ciò ha comportato spesso uno stravolgimen­to di senso, con interpolazioni dottrinarie suggerite dalle condi­zioni storiche e ambientali, senza riuscire, tuttavia, ad intacca­re quello che appare come il nucleo essenziale della Qabbalah. Guardando a questo nucleo e ai suoi svol­gimenti più maturi contenuti nello Zohar, ci si accorge dell'infon­datezza della tesi condivisa da autorevoli studiosi contemporanei quali, per esempio, Gershom Scholem e Isaia Tishby. La tesi è quella di una sostanziale ispirazione della Qabbalah ora al pen­siero mitopoietico degli gnostici ora al neoplatonismo, con conseguente allontanamento dalla più autentica tradizione ebraica, fondata sulla Torah e sul Talmud. Esaminerò  ora il Sepher Yezirah o 'Libro della formazione' in alcune sue parti, senza tuttavia ten­tarne una trattazione più ampia, come sarebbe necessario, di quella che ci si propone in tale contesto.

  “L’indicibile”, colui del quale non è dato pronunciare il no­me, neppure nella forma del Tetragramma, ha formato tutto con il numero, con la lettera e con la parola. Egli ha innanzi tutto posto le condizioni del molteplice che si fonda sui primi dieci numeri. Sephiroth  o numeri “beli-mah”, cioé senza ulteriori determinazioni, per produrre il molteplice e l'uno viene dall'altro ma è in sé autosufficiente. Il dieci è l'ultima delle condizioni possibili del molteplice. In realtà, tali condizioni sono già esaurite con il numero nove,  il dieci altro non essendo che la riproposizione dell'unità colta non più come unità di misura  - fonte di ogni possibile numero -  bensì come la forma estrema in cui è dato cogliere il molteplice. Non a caso, nel dieci, all'uno si affianca lo zero, cioè il termine delle possibili radici della molteplicità. D’altra  par­te, dopo il dieci noi possiamo seguitare a contare all’infinito, perché infinito è il molteplice, anche se le forme della manife­stazione sono finite: i numeri che servono per contare all'in­finito sono solo i primi dieci e nel numero dieci, insieme alla ri­proposizione dell'unità, appare lo zero come nullificazione contin­gente dei fenomeni. Lo zero-nulla, dunque, non e il presupposto dell’esserci dell'Es­sere, perché, al contrario, è a partire dall'Essere che il nulla può manifestarsi, almeno a quanto è dato saperne.

 Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico  Safor che significa contare e che delle sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ primordiali o, riservandogli la terminologia di cui si serve Kant per descrivere spazio e tempo, ‘forme pure a priori’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether, 6 Tiphereth, 9 Yesod, 10 Malchuth. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah , 4 ‘Hesed, 7 Netzach. Alla colonna di sinistra: 3 Binah5 Gheburah, 8 Hod.

 I trentadue prodigiosi sentieri di sapienza con cui all’inizio del Sèpher Yetzirah è detto che Dio formò il mondo e che convergono verso la sephirah centrale dell’Albero sephitotico sono quelli formati dalle dieci sephiroth e dalle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico: 1°Kether-Corona, 2°Hockmah-Sapienza o Origine dell’esistenza, 3°Binah-Intelligenza o Ritorno, 4°Hesed-Grazia o Misericordia, 5°Ghebourah-Giudizio o Rigore, 6°Thiphereth-Armonia o Bellezza o Equilibrio, 7°Netzach-Eternità o Vittoria, 8°Hod-Splendore, Maestà o Potenza, 9°Yesod-Fondamento o Alleanza, 10°Malkouth-Regno, Terra o Pelle; ai quali si aggiungono gli altri sentieri secondo le attribuzioni, che talora differiscono tra i vari studiosi, delle 22 lettere: 11° Kether-Hockmah, 12° Kether-Binah, 13° Kether-Thiphereth, 14° Hockmah-Binah, 15° Hockmah-Thiphereth, 16° Hockmah-Hesed, 17° Binah-Thiphereth, 18° Binah-Ghebourah, 19° Ghebourah-Hesed, 20° Hesed-Thiphereth, 21° Hesed-Netzach,22° Ghebourah-Thiphereth, 23° Ghebourah-Hod, 24° Thiphereth-Netzach, 25° Thiphereth-Yesod, 26° Thiphereth-Hod, 27° Netzach-Hod, 28° Netzach-Yesod, 29° Netzach-Malkuth, 30° Hod-Yesod, 31° Hod-Malkuth, 32° Yesod-Malkuth.

[S E G U E]

Sergio Magaldi




[1] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p.223
[2] Ibid., pp. 191 e 193.
[3] Girona è la denominazione corretta, in catalano, di questa città della Catalogna. È  Gerona e si pronuncia “Gherona” in castigliano che è la lingua ufficiale della Spagna.
[4] Brano della lettera che Isacco il Cieco invia alla comunità di Girona attorno al 1235, cioè poco prima di morire, tratto da  Gershom Scholem, Le Origini della Kabbalah, trad., dall’edizione francese, di Augusto Segre, EDB, Bologna, 1990, pp.488-489.
[5] Attribuito miticamente al patriarca Abramo, la sua data di composizione, secondo gli studiosi, oscilla tra il II e il VI secolo d.C., e qualcuno si spinge addirittura sino al VII e VIII secolo.  

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