lunedì 22 gennaio 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte V, l'Uno e l'unificato





Song of Songs no 5   EGON TSCHIRCH 1923

 SEGUE DA:


NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia  (clicca sul titolo per leggere)


 IL CANTICO DEI CANTICI

Al di là delle molteplici chiavi interpretative del Cantico[1], se utilizziamo il Pardès [formato dalle iniziali di Peshat-Remmèz-Derash e Sod], otteniamo quattro possibili mo­dalità di lettura di questo testo, con riferimento alla Qabbalah e all'albero sephirotico: Peshat, o interpretazione letterale, per una rappresentazione dell'unione dell'uomo e della donna, del re e della re­gina (Tiphereth - Malchuth) mediante i tabernacoli, cioè mediante gli organi sessuali (Yesod); Remmèz, o interpretazione alle­gorica, per simboleggiare l'unione completa di Tiphereth e di Malchuth attraverso tutte le membra, cioè per mezzo delle cinque sephiroth del piano inferiore; Derash, o interpretazione anagogica, a significare un’ascesa, mediante l'unificazione delle sephiroth del piano inferiore con Binah e Hochmah, sino alla conoscenza superiore di Daat [la sephirah non sephirah nascosta sull’Albero tra Tipheret e Kether]; Sod, o interpretazione segreta, per elevarsi nella direzione di Ein Soph tramite la triade superiore Binah-Hochmah-Kether. Sod e 'segreto indicibile' proprio perché attiene ai rapporti di Binah e di Hochmah con la Corona (Kether), con quell'uno che si ritrae in Ein Soph e si rivela in Hochmah, cioè nella diade come principio. Si legge, in un altro passo dello Zohar, a proposito dell'unione tra l'uomo e la donna:

“Qui la donna si unisce al suo sposo. E quando si siano stretti l'un l'altro in un abbraccio, allora bi­sogna che le loro membra siano aderenti e i loro tabernacoli con­giunti, come se fossero uno, e che la loro comunione si diffonda in ogni parte di loro secondo il desiderio del cuore, per poter­si elevare nella direzione di 'Ein-Soph', affinchè tutto si uni­sca laggiù per fare di quelli dell'alto e di quelli del basso un desiderio solo”.[2]

 Cosa s’intende con “essere come uno” e con l’elevarsi nella direzione di Ein Soph? Essere come uno non significa divenire uno, bensì cogliersi nella diade originaria o principio. Elevar­si nella direzione di Ein Soph non significa partecipazio­ne mistica della medesimezza con l'uno, bensì intenzione verso quella “trascendenza indicibile, pensabile solo come negazione del principio e della fine, allorché si realizzi l'uno nella sola forma possibile, quella dellunificato. Si spiega, così, perché nel Sanhedrin talmudico è scritto che “colui che legge un versetto del Cantico dei Cantici e lo con­sidera come un canto erotico, attira la sciagura sul mondo”[3]. Altrettanto errato è fare dell'unione dell'uomo e della donna una sorta di ierogamia finalizzata alla dis­soluzione della diade nell'androgino originario, archetipo an­tropomorfico dell'Uno-Dio. La sacralità dell'unione tra l'uomo e la donna è altrove, è nella riproposizione senza limiti del principio e della fine. Del principio che è due (il 'Bereshith Bara Elohìm Eth' del Genesi ) e della fine che, ogni volta, torna ad essere principio. Altrimenti detto, quando l'uomo e la donna si uniscono il principio e la fine sono sempre altrove, non lì dove ci aspetteremmo di trovarli, sono Ein Soph. La trascen­denza è sempre al di là, come ‘indicibile lontananza’ si offre alla ‘Qavvanah’ (intenzione) e alla ‘Devequth (comunione) attra­verso l'unificazione delle sephiroth. Scrive in proposito lo Scholem:

Devequth non è dunque ‘unio’, ma ‘communio’. Nel senso che il temine ha nel vocabolario dei kabbalisti, esso richiede sempre, malgrado il suo carattere d'intimità, un elemento di distanza..... La "Kavvanà" è lo strumento di questo processo. Isacco e i suoi allievi non parlano di un'estasi, di un atto unico che fa uscire da se stessi, nel quale si annulla la coscienza umana. La ‘Devequth’ non con­siste nel penetrare impetuosamente in Dio e nell' assorbirsi in lui; è uno stato costante, che s'alimenta con la medita­zione e che per mezzo suo si rinnova.”[4].

IL SEPHER BAHIR

 Tra i testi che circolarono maggiormente nelle scuole dei cabbalisti storici, ci fu il Sepher Bahir (Libro Fulgido) erroneamente attribuito, come già si è detto, a Isacco il Cieco. In realtà l’opera apparve in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente dalla Germania o direttamente dall’Oriente. Le sue fonti principali  si ritrovano, oltre che  nel Sepher Yetzirah, tra le opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo [5], nel misticismo della Merkavà  e in particolare nel Razà Rabbà o Il Grande Mistero, libro andato perduto, ma ripetutamente citato, soprattutto da autori caraiti. Pare fosse stato composto tra il Quinto e l’Ottavo secolo, dunque in una fase successiva a quella dei testi più importanti della Merkavà. Il contenuto magico e angelologico di questo libro è attestato da tutti e sarebbe parte di quella gnosi ebraica che - a giudizio dello Scholem - deriverebbe dall’antico Gnosticismo. Si vedrà poi, analizzando il Sepher Bahir, come il giudizio dello Scholem possa essere rovesciato e portare alla conclusione, sostenuta da più di uno studioso, di una derivazione dello Gnosticismo addirittura dalla tradizione ebraica o piuttosto dalle ‘sette ebree’ (Esseni, Samaritani, Elkesaiti ecc…) che si distaccarono dall’ebraismo con violente polemiche.

 Esaminero ora alcuni punti del Sepher Bahir, ricorrendo per la citazione di passi significativi alla traduzione di Giulio Busi (Sefer ha-Bahir, in Mistica Ebraica, Einaudi, Torino, 1995, pp.151-212). In parentesi tonda sono riportati in neretto i numeri dei paragrafi del testo dai quali è attinta la citazione. I passi sono nell’ordine quelli che riguardano: Luce-Tenebra, Tohu-Bohu, Bene-Male, Acqua-Fuoco, Albero-Giardino e sono tutti determinanti per la comprensione di ulteriori speculazioni cabbalistiche, quali soprattutto quelle contenute in Zohar.


Luce: Gli uomini non sopportano la vista della luce troppo fulgida (bahir), il buio è per te come la luce (1).Solo della luce c’è sostanza, non così della tenebra che, pure, è creata da Dio (13). La luce precedette il mondo (16).Nessuna creatura può guardare la prima luce (147). Qual è il nascondiglio della potenza di Dio? E’ la luce che ha celato e nascosto e che tiene in serbo per i giusti del ‘olam ha-ba o mondo a venire, quella che rimane è per coloro che confidano in Dio, osservano la Torah, compiono i suoi precetti, santificano il suo Nome e ne proclamano l’unità in segreto e in pubblico (148).La Torah è una luce (149).Fu così creata una grande luce, che nessuna creatura avrebbe potuto sopportare. Il Santo, sia Egli benedetto,vide che nessuno poteva tollerarla: ne prese allora la settima parte, e la sostituì, per essi all’intero. Il resto lo ripose per i giusti a venire (160). E’ scritto: E Dio disse: Sia la luce, e la luce fu. In verità, questo ci insegna che la luce era assai grande, né alcuna creatura poteva fissarla (190)

I concetti contenuti nei paragrafi sopra citati richiamano una continuità sia con il Sepher Yetzirah che con il Sepher Zohar. In particolare, per il paragrafo (1) si veda il Sepher Yetzirah 1,7 dove si parla delle fiamme che divampano alimentate dal carbone ardente. In riferimento ai paragrafi (1) e (13) si veda Zohar, II, 30 b: 

 “Elohim separò la luce dalle tenebre… Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione”. L’idea di una ‘doppia’ oscurità è inoltre contenuta in Zohar allorché si intende distinguere tra la tenebra separata da Elohim e l’Oscurità o Luce troppo oscura per essere vista: “Questa luce scaturì dal cuore dell’Oscurità (…) dalla luce nascosta prese forma una segreta via d’accesso grazie all’oscurità del mondo di quaggiù e la luce poté manifestarsi.” Poco più avanti, Rabbi Yossi chiarisce che l’oscurità che consente alla luce di manifestarsi nelle cose del mondo non ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria: “Rabbi Yossi lo spiega così: (non si tratta dell’oscurità originaria) perché se tu affermi che è di questa Oscurità chiusa che sono state scoperte le profondità, sappi che tutte le supreme corone sono lì ancora nascoste e che per questo sono dette ‘profondità’.”

Tohu-Bohu (Caos e informità): La terra era caos e informità. Significa che era già caos. Era Tohu e tornò ad essere Bohu (2). I concetti di materia e forma si collegano a quelli di luce e tenebra. La riconoscibilità del bene attraverso il male, come la luce attraverso la tenebra. La terra era caos perché prodotta dalla condensazione della luce originaria  che si era ridotta per poter essere vista, nella parte mancante della luce originaria subentra la tenebra, la luce condensata o materia caotica. Dio ha fatto una cosa contrapposta all’altra (Eccl.7.14) Creò l’informità (bohu) e la collocò nella pace. Creò il caos (tohu) e lo collocò nel male, creò l’informità e la collocò nella pace, nel bene (11). Da dove si deduce che il caos è nel male? Dal versetto: Colui che opera il bene e crea il male-(Is.45.7). La forma o informità viene dunque creata per limitare o circoscrivere il male. E’ la luce rimasta dopo la riduzione della luce originaria e che serve a rimettere ordine nel caos (Ordo ab Chao) della materia (12). E’ il tohu dal quale proviene il male che stupisce gli uomini (135). ‘…Compi il tuo lavoro nella tua dimora…In tal modo, non potranno vederti né nuocerti, giacché essi… si tengono lontani da ogni condotta buona e scelgono il cattivo comportamento. Quando vedono che un uomo s’avvia lungo una strada onesta, e la percorre, lo prendono in odio. Che cos’è? È Satana. Questo ci insegna che il Santo, sia Egli benedetto, ha un attributo il cui nome è male (162). E tohu significa male che frastorna il mondo affinché pecchi. Ogni cattiva inclinazione dell’uomo proviene di là… Perché l’istinto del cuore umano è inclinato al male fin dalla sua adolescenza (Gen.8.21) e il compito dell’uomo è nel vincere le cattive inclinazioni, nel mettere ordine nel caos dei desideri, nel dare forma alla sua vita nella materia (167).

Male-Bene. Appare qui evidente il collegamento di questa coppia con la precedente:
 […] Che significa il versetto: E avvenne che, quando Mosè teneva la sua mano alzata, Israele era più forte, ma quando egli faceva riposare la sua mano, Amalec era più forte (Es.17.11)? Ci insegna che il mondo esiste grazie all’elevazione delle mani. Per quella forza che è stata data a Giacobbe nostro padre, il cui nome è Israele. Ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe furono date forze, una a ciascuno di essi, in base all’attributo secondo il quale ognuno regolava la propria condotta. Abramo era caritatevole verso il mondo… (135). [6] Quando Mosè chiese di conoscere il Nome glorioso e terribile, sia benedetto… domandò perché a un giusto tocchi in sorte il bene e a un altro il male, e parimenti, a un malvagio tocchi in sorte il bene e a un altro il male. Ma non gli fu dato di saperlo (194). Perché a un giusto tocca in sorte il bene e a un altro il male? Giacché quel giusto, a cui tocca il male, era stato in precedenza un malvagio, e ora incorre nella punizione. E’ possibile che lo si punisca per quanto compiuto durante la giovinezza?… Gli rispose: Non parlo di questa vita, ma di quanto è già accaduto nel passato… A che cosa si può paragonare? A un uomo che piantò una vigna nel proprio giardino, con la speranza di produrre buona uva, ma non ne ottenne che di scadente. Quando vide che non aveva avuto successo, la piantò, la recintò, la rafforzò, ripulì i grappoli buoni dai cattivi, e poi la ripiantò una seconda volta, ma vide che non era riuscito; la piantò ancora e la recintò, dopo averla ripulita; ancora non riuscì: sradicò e piantò nuovamente. Per quante volte? Per mille generazioni(195). Se non vi fossero le vostre colpe non vi sarebbe differenza tra voi e lui... L'uomo avrebbe un’anima superiore se non fosse per le colpe. L’hai fatto poco meno di un Dio (Sal.8.6) Cosa significa poco meno? Che egli ha colpe, ma il Santo, sia Egli benedetto, non ne ha, che Egli sia benedetto e benedetto il suo Nome in eterno. Egli non ha colpe e tuttavia la cattiva inclinazione proviene da lui! (196)

Sergio Magaldi

[ S E G U E ]



[1] Per l'interpretazione di senso alchemico dello Shirah-Shirin, oltre alla vasta letteratura sull'argomento, cfr., soprattutto: Cantico dei Cantici, I-5, I-6, II-4, II-7, II-I2, III-1, III-6, IV-16, V-9, V-14, VI-7, VIII-4, VIII-8. Per l'interpretazione cabbalistica occorre riferirsi all'intero corpo della letteratura zoharica. Per una prima introduzione, cfr. Zohar, ed.cit.,vol.I,t.II,p.I28, note 456-7; p.I7I,n.22; p.I72, nn.29-30; p.246,n.40;  p.274,n.204; p.328,n.257;p. 394,n. 876; p.395,nn.877 e 880; p.396,n.895; p.429,nn.98-9; p.49I,n.35
[2] Zohar, II-216 a-b
[3] Cfr., Rabbi Issa’char Baer, Commentaire sur le Cantique des Cantiques, 1979, p.10
[4] Cr.G.Scholem,Le Origini della Kabbah, cit.,p.374
[5] Sul Chassidismo tedesco nel Medioevo cfr. G.Scholem, Le Grandi Correnti della Mistica Ebraica, il melangolo, Genova, 1990, pp. 95-126.
[6] L’episodio biblico di Amalec, che secondo l’interpretazione di Isacco il Cieco - come si è visto sopra - determina la frattura del Nome di Dio, sembra corrispondere qui alla frattura della Luce originaria da cui derivano le tenebre, il caos e il male. Il collegamento tra Nome-Luce-Tenebre-Forma-Materia-Bene-Male s’intuisce anche dal prg. 196 (in parte citato di seguito) del Sepher Bahir

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