mercoledì 31 gennaio 2018

NOTE SULLA QABBALAH: parte VI, qabbalah e gnosticismo




SEGUE DA:


NOTE SULLA QABBALAH: parte I, la teurgia  (clicca sul titolo per leggere)



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QABBALAH E GNOSTICISMO

 I concetti sin qui esaminati del Sepher Bahir mi inducono a riprendere il tema ricorrente dei rapporti tra Qabbalah e Gnosticismo, cui si accennava sopra. In passato, si era soliti ricercare le radici dello gnosticismo nella mitologia iranica: Zarathushtra o Zoroastro profeta leggendario vissuto forse tra il 1000 e il 600 av. Cristo e iniziato di Ahura Mazda, dio del bene e della luce cui si contrappone Arimane, dio del male e delle tenebre. Il libro sacro del Mazdeismo è l’Avesta, composto di Inni in cui si parla soprattutto di sacrifici, di rituali, del destino dell’anima e della vita del profeta. Simbolo rituale per eccellenza del Mazdeismo è il fuoco (custodito in edifici quadrati e visibile all’esterno) e i sacrifici ne sono il più importante corollario. In epoca più tarda s’inserisce nel Mazdeismo la figura del dio vedico Mitra, in funzione di divinità maschile, solare e guerriera. Alcuni studiosi sono convinti che il Mazdeismo, lungi dall’essere un dualismo, come per lo più si ritiene, sia in realtà un monismo puro: che cosa possono – si dice – le forze oscure del male di fronte alla Luce e al Bene? Le potenze del male devono accontentarsi d’ingannare gli uomini e di tentarli, ma è sufficiente osservare i precetti della Legge e gli esorcismi (Avesta) per allontanarli e compiere la ‘buona scelta’ secondo la volontà di Ahura Mazda che concede la salvezza ai giusti e lungo tormento ai malvagi (Zarathushtra). Se il rapporto tra lo gnosticismo e la mitologia iranica è vero da un punto di vista generale (considerando, però, che la lotta tra Luce e Tenebre si è radicalizzata rispetto al Mazdeismo), dopo il ritrovamento e la pubblicazione di molti testi gnostici, tra il 1947 e il 1955, si può osservare che elementi tratti dalle antiche credenze mesopotamiche e dall’Antico Testamento siano più diretti e abbondanti di quelli che sembrano confluiti dall’Iran preislamico. Prima di tutto le molte esegesi del mito sumerico di una divinità salvatrice e portatrice di ‘acque superiori’ nel mondo umano dominato dalle ‘acque inferiori’. Gli gnostici, inoltre, avrebbero conosciuto l’Antico Testamento non solo nella forma dei libri della Legge e dei profeti canonici, ma anche nella veste degli apocrifi e dei loro commentari. Questo bagaglio biblico poté essere sfruttato da alcune sette giudaiche che sarebbero, appunto, alle origini dello gnosticismo. Una conferma in tal senso viene sia dalle dottrine dei Minim [citati anche in Zohar], eretici ebrei la cui interpretazione della Legge fu animata da radicale dualismo ma che, a modo loro, si collegavano alla gnosi ebraica della Merkavà. La fonte ebraica delle sette gnostiche è ugualmente attestata dalla comunità religiosa dei mandei (mandayé=gnostici) ancora presente lungo le rive dell’Eufrate e del Tigri e che utilizza come lingua religiosa l’aramaico orientale. La concezione mandea è dualistica: mondo della Luce e mondo delle Tenebre si contrappongono come nemici da sempre. Talora, però, si parla di uno spirito decaduto dalla luce e che sarebbe all’origine delle tenebre. Il demiurgo forma l’universo da una condensazione di acqua tenebrosa. Il punto culminante della formazione del mondo consiste nell’attività di Adam Qadmon, il cui corpo appartiene al demiurgo, ma il cui spirito viene dal mondo della luce. Mani (Babilonia 216 - 277? ) si propone come l’ultimo di una serie di messaggeri celesti (dopo Adamo, Zoroastro, Buddha e Gesù), tutti inviati dalla Luce suprema. Esistono tre fasi del Tempo: una prima fase che inizia con la  separazione originaria di Luce-Tenebre, Bene-Male, Spirito-Materia, una seconda fase in cui tutto si trova mescolato insieme e che corrisponde all’epoca attuale e infine una terza fase in cui saranno ripristinate le divisioni primordiali senza possibilità di nuove mescolanze. Tuttavia, il momento che sembra caratterizzare il sorgere dello Gnosticismo è quello in cui alcuni esegeti biblici delle sette ebraiche sopra citate pensarono di stabilire una distinzione tra il Dio supremo e il demiurgo di questo mondo. Si citò a sostegno il cosiddetto doppio preambolo del Genesi (I,1-II,3 e II, 4 e sgg.), nonché la distinzione tra Elohim e il Tetragramma.

 Alla concezione gnostica sugli Elohim, si richiamano tutti coloro che in forza del nome plurale non lo fanno corrispondere al Dio unico. Per quanto si possa osservare che nella lingua ebraica non esiste il plurale maiestatico e forse neppure quello cosiddetto di astrazione, resta il fatto che diversi nomi ebraici che terminano in  im [plurale maschile], in oth [plurale femminile] o in ayim [duale] reggono tuttavia verbi, aggettivi e pronomi al singolare, come per esempio Ba'alim, proprietario. D’altra parte, non sembra neppure convincente la tesi che in Elohim si manifesterebbe insieme l’esistenza umana e divina, il creatore e la creatura; non solo perché la prima volta che Elohim viene nominato, gli esseri umani ancora non esistono – tant’è che dopo la creazione dell’uomo ad Elohim si aggiunge anche il nome del Tetragramma – quanto e soprattutto perché l’assunto implica una concezione antropomorfica della divinità, tutta intrisa di modernità, e che di certo non appartiene ai primi cabbalisti storici, propensi piuttosto a sottolineare l’estrema distanza tra Dio e l’uomo. C’è poi chi utilizzando Elohim al plurale – come si diceva sopra – si collega alla visione gnostica e vi aggiunge di suo. Tra costoro, la voce più nota in Italia è quella di Mauro Biglino che ha collaborato come esperto di ebraico biblico al progetto editoriale delle Edizioni San Paolo, con la traduzione di 17 libri del testo masoretico della Bibbia, sino a quando è stato sollevato dall’incarico per evidenti ragioni di incompatibilità. Biglino, nei suoi libri e nelle sue molte interviste, sostiene di lasciar parlare l’Antico Testamento per quello che è, attenendosi alla vera traduzione del testo e senza modificarlo per secondi fini di natura teologica. In tale ottica, egli propone questa versione dei primi versetti di Genesi: “In principio [il gruppo degli] Elohim modificò [formò] un luogo dove c’erano delle acque e della terra [con una diga e una bonifica]. La terra era deserto e desolazione […]”. Secondo il fantasioso Biglino, la Bibbia non parla di Dio e non è un libro sacro, è bensì la cronologia di eventi reali accaduti tra la Mesopotamia e la Cananea dopo che gli Elohim, colonizzatori venuti dallo spazio e dotati di poteri straordinari, presero possesso del pianeta terra. Elyòn, il capo riconosciuto degli Elohim, definì i confini delle nazioni e le divise tra i suoi. A Yahweh che era tra i più giovani e  tra i meno importanti degli Elohim, Elyòn assegnò il potere su un popolo che vagava disperatamente nel deserto. A suffragio della sua tesi, Biglino cita numerosi passi biblici che sarebbe troppo lungo e persino fuorviante riportare in questo contesto. Per concludere, dirò soltanto che, secondo Biglino, l’anello mancante della catena del darwinismo è rappresentato dall’esperimento di ingegneria genetica degli Elohim che mescolarono il proprio DNA con quello degli ominidi o scimmie antropomorfe dando vita agli uomini. Questo – a suo giudizio – significa il noto versetto del Genesi[1:26]: “Elohim disse poi: ‘Facciamo un uomo a nostra immagine e somiglianza’ […]”. Tzelem, secondo Biglino, non vuol dire immagine ma “un quid di materiale che contiene l’immagine” e che viene estratto [dalla radice verbale tzalàm che significa tagliare via, estrarre”]; in altre parole ciò che oggi chiamiamo DNA. Per pura curiosità, si osservi che Tzelem [90+30+40 = 160] s l x  ha diverse ghematrie, tra cui: Etz, albero; Qesef, argento; Nafal, cadere, Qain, Caino, Qilel, maledire. L’esperimento degli Elohim riuscì solo parzialmente. Chiusi nel Gan Eden [che Biglino dice di tradurre alla lettera in “luogo recintato e protetto”] questi primi prototipi umani di entrambi i sessi [gli adamiti], che avevano bisogno di essere ulteriormente perfezionati, dovettero in qualche modo sfuggire al controllo degli Elohim e cominciarono a popolare la terra; da allora gli Elohim rafforzarono la guardia dell’accesso al Gan Eden [luogo di esperimenti di ingegneria genetica] nel timore che gli adamiti s’impadronissero dei loro segreti. In questa prospettiva, gli Elohim, opportunamente celati, potrebbero ancora essere tra di noi.

 La condanna della creazione materiale comporterà da parte delle sette gnostiche la maledizione del dio dell’Antico Testamento e del suo profeta Mosè. Dal Giordano, da Antiochia, dall’Asia Minore queste sette raggiunsero Alessandria. Ai tempi di Traiano (53-117 d.C.) si conosce già una setta operante formata da Samaritani e da  Elkesaiti, in quelli di Adriano (76-138 d.C.), gli gnostici Basilide, Carpocrate e Valentino insegnano in Alessandria. Successivamente l’egizio Valentino diffonderà a Roma una gnosi impregnata di cristianesimo. Altri gnostici importanti furono Teodoto, del quale Clemente Alessandrino ci ha conservato numerose citazioni, e Marco il mago che praticò la teurgia a Roma e nella valle del Rodano. Molto più tardi Plotino (205-270 d.C.), riprendendo il concetto del Demiurgo buono, contenuto nel Timeo di Platone (427-347 a.C), polemizza contro gli gnostici, scrivendo la  nona sezione della II Enneade che ha per titolo: Contro coloro che sostengono che il Demiurgo di questo mondo è cattivo e che il Cosmo è cattivo.

  L’atteggiamento che accomuna le varie sette gnostiche è l’interrogativo circa il significato della presenza umana in questo mondo infimo. Alcuni frammenti di testi gnostici, come il LXXVIII degli Estratti di Teodoto e il XV capitolo degli Atti di Tommaso pongono la domanda in modo esplicito: “Di dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” La Gnosi si propone di dare una risposta a questi interrogativi, ma la conoscenza perfetta è riservata agli eletti e agli iniziati. La risposta è affidata al mito: il mondo materiale è il prodotto di una rottura avvenuta all’interno del mondo superiore, quando una componente degli Eoni (universi completi e temporali emanati in armoniche coppie o sizigie dal Plèroma o Totalità o Pienezza) pretende di generare da sola: è questo il caso di Sophia-Saggezza-Conoscenza (testi di riferimento: Pistis Sophia e Libro segreto di Giovanni) che per vanità decide di operare da sola imitando il Pleroma. Ne nasce una potenza deforme dal viso di leone e dal corpo di serpente. Per la vergogna Sophia la nasconde al Pleroma mediante un velo (cielo stellato). Ialdabaoth, questo il nome della creatura leonina e serpentiforme, pur conservando una scintilla divina trasmessagli dalla madre Sophia, è separato dal mondo della Luce, dal Pleroma. Egli ha, come unico dominio, le acque dell’abisso tenebroso che trasforma in materia. Come il dio del Genesi, con il quale viene identificato, egli fluttua al di sopra di questo abisso e genera due serie di dodici potenze o Arconti (gli Elohim) e cioè: i 12 segni zodiacali, i 7 pianeti e i 5 sovrani degli elementi (Acqua-Aria-Fuoco-Terra-Vento). Al servizio di questi Arconti si forma una gerarchia di Arcangeli e di Angeli: in tutto 365 membri. La conoscenza del nome segreto di queste potenze rendeva possibile compiere opere di magia. A questo punto Ialdabaoth, ormai soddisfatto, grida: ‘Io sono un dio geloso e non esiste altro dio fuori di me (Isaia XLV, 7). Di qui prende corpo l’interpretazione della doppia creazione, presente - a giudizio degli gnostici - in Genesi: l’una secondo  il cap.I, 26 (‘Facciamo l’uomo a immagine nostra…’), l’altra secondo Genesi II,7 (‘Il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra…’). All’Adamo Qadmom, all’Adamo primordiale è qui contrapposto l’Adamo-golem fabbricato dagli Elohim che resta a terra privo di vita, sinché il Pleroma, per recuperare quella parte del Tutto che gli è sfuggita per la vanità di Sophia, riesce con l’inganno a convincere Ialdabaoth a insufflare il proprio spirito nella bocca di Adamo. Così la scintilla di luce si allontana da lui per rifugiarsi nell’uomo. Per punirlo e trattenerlo, gli Elohim escogitano allora per l’uomo una doppia prigione: la veste o prigione di carne e il cosiddetto Gan Eden. Gli Elohim, tuttavia, non possono impedire al Pleroma di nascondere nei frutti di due alberi la gnosi e l’immortalità e di inviare, sottoforma di serpente, un Salvatore (per questa ragione Mashiach Messia j y c m  ha valore numerico:8+10+300+40=358, come Nachash Serpente  c j n  (300+8+50= 358) perché convinca l’uomo a cibarsi del frutto dell’Albero della conoscenza. La successiva cacciata dal Paradiso, in un cosmo ancora più in basso, è frutto della punizione degli Elohim e del loro timore che l’uomo, dopo la conoscenza, ottenga anche l’immortalità. Il rovesciamento del mito di Adamo ed Eva porta come conseguenza la volontà di contraddire la Legge biblica perché opera di un creatore perverso e, al contrario, di esaltare il serpente (setta gnostica degli Ofiti). La caratteristica degli gnostici fu di proliferare in tanti gruppuscoli e di privilegiare determinati ambiti esoterici. I testi delle rivelazioni gnostiche e i loro rituali si presentavano come segreti: il divieto di rivelarli ai profani si accompagnava, alla fine di alcuni manoscritti, con anatemi che si ritenevano terribili per chiunque eventualmente intendesse divulgarli. Tra i segreti più velati, la celebrazione di ‘strane eucarestie’ che si diffusero anche a Roma per l’azione dello gnostico e teurgo Marco il mago e dei suoi discepoli. L’escatologia gnostica, pur con varie accentuazioni, prevede la possibilità di recuperare le particelle di luce precipitate nel cosmo, perché il Pleroma o Totalità o Pienezza della Luce ha immesso nell’umanità prigioniera la ‘goccia’ luminosa e la gnosi. Si tratta perciò di destare gli eletti, ricordando ad essi la loro radice celeste e rivelando loro i segreti. A tale scopo sono preposti dei salvatori, dei profeti, degli spiriti eccezionali, tutti inviati dall’alto e capaci di accrescere la conoscenza, spargendo in basso le acque superiori delle sorgenti celesti.

[S E G U E]


Sergio Magaldi

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