sabato 28 dicembre 2019

MAZAL TOV, parte I (L’astrologia nella Torah)


Introduzione



L’astrologia che Pietro Pomponazzi [1] insinua trattarsi forse del gioco di Dio, in passato era al centro di grandi dispute tra gli spiriti eccelsi divisi in fautori e detrattori [2], oggi è relegata al silenzio sprezzante della dottrina ed è diffusa dai rotocalchi nella sua veste fideistica, a beneficio di superstiziosi ed increduli. In questi giorni, tuttavia, che un nuovo anno si profila all’orizzonte, l’astrologia torna come ogni volta e per breve tempo a celebrare i suoi fasti e tutti si interrogano sul proprio futuro chiedendo lumi ai sacerdoti mediatici che dagli schermi televisivi irrompono nelle case.

La rimozione che la cultura occidentale fa dell’astrologia si spiega innanzi tutto  con il mancato fondamento epistemologico delle sue leggi e dei suoi risultati. C’è inoltre chi la considera niente altro che un pericoloso residuo del paganesimo antico e chi vede nella fatalità dei suoi assiomi la privazione della libertà umana e la negazione dell’onnipotenza divina. Anche se, persino la Bibbia distingue tra idolatria astrologica e astrologia che manifesta, sotto forma di segni, l’onnipotenza divina. Quanto alla fatalità, si tratta di una concezione legata allo stoicismo [3], mentre durante il Rinascimento si viene sempre più affermando l’idea che «gli astri inclinano ma non necessitano» e addirittura che «l’uomo saggio domina le stelle». Si è infine tentato di fare dell’astrologia una scienza sperimentale [4], neotolemaica e/o neostoica, col risultato spesso di perdere, dell’antica arte dei Caldei, la dimensione intuitiva e di rinunciare ad una ricerca molto più complessa che, per esempio, combina il destino individuale con quello dei membri di una stessa famiglia [5].

La scienza e le grandi religioni monoteistiche hanno combattuto nell’astrologia la presunta vocazione a farsi credo scientifico e/o religioso, e anche se scienziati e teologi ne hanno subito talora il fascino discreto, la posizione ufficiale delle accademie e delle chiese è stata sempre quella della condanna. Ma, per uno strano paradosso, è potuto accadere che la più antica delle religioni monoteistiche finisse addirittura per essere influenzata dall’astrologia, né la cosa appare tanto sorprendente: in Genesi [11,28] è scritto che la terra nativa di Abramo era situata nella regione di Ur dei Caldei,  e «l’astrologia era grande nel suo cuore» commenta il rabbino Salomon Thein [6].

La Torah

Nel Pentateuco [7] il riferimento più importante è in quei noti versetti del Genesi (15:5-6) in cui il Signore rassicura Abramo che negli astri aveva visto la mancanza di discendenza:

Lo fece uscire all’aperto e gli disse: ‘Osserva il cielo e conta le stelle, se puoi contarle. E soggiunse: così numerosa sarà la tua discendenza’. Egli ebbe fiducia nel Signore che gliela ascrisse a merito

Nel successivo versetto si consuma il definitivo distacco dall’astrologia: “… Io sono il Signore, io ti ho fatto uscire da Ur, città dei Caldei, per darti questa terra” (15:7). La terra promessa è la terra di Israele dove le leggi dell’astrologia sono superate dalla Legge del Signore. Distacco, dunque, superamento ma non rifiuto dell’astrologia e, anzi, da questo momento si aprirà una polemica in seno all’ebraismo: solo Israele si sottrae all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel), non altrettanto possono tutte le altre nazioni. Pure, in questa separatezza dichiarata del ‘popolo eletto’, che tanti argomenti di comodo ha fornito all’antisemitismo, si può cogliere una legge universale. Non si tratta di credere o non credere nell’astrologia, argomento in sé futile e privo di interesse, ma di riconoscere che al di sopra dei pianeti, degli astri e delle sfere rotanti nel cosmo, c’è un principio ‘sottile’ che governa l’universo, e che a chiunque è dato di uscire da Ur dei Caldei… a patto naturalmente che vi sia entrato una volta e abbia scrutato profondamente nei cieli. La Pompeo Faracovi assimila questa concezione all’esortazione contenuta negli Oracoli Caldaici di ‘non aumentare il destino’ (non creare altro karma direbbe il senso comune) e anzi di oltrepassare la natura che del destino è l’interprete fatale. [8] Più ancora l’avvicina alle concezioni gnostiche ed ermetiche per le quali le ferree leggi degli astri governano i corpi ma non lo spirito. Scrive:

«La fatalità incombe sul mondo materiale, ma il popolo di Dio ne è immune; nella prospettiva del singolo, ciò significa che la pratica esemplare dei comandamenti (mitzvoth) ha l’effetto di una forma di emancipazione dal destino, parallela, dunque, all’illuminazione degli gnostici e alle mistiche esperienze rigeneratrici degli ermetici» [9]

Affermazione, questa, sicuramente non proponibile per lo gnosticismo che tanto rigidamente distingue tra spirito e materia e che può proporsi con molte perplessità anche nei confronti dell’ermetismo. Esseri a più piani, per i seguaci di Ermete, sul piano fisico gli uomini dipendono interamente dalle leggi planetarie e se non si esercita la libertà dei ‘piani superiori’, si resta invischiati nella fatalità del ‘piano astrale’.

Zosimo di Panopoli [10], l’inventore dell’alchimia greca, interpretando la lezione di Ermete Trismegisto, si pone il problema se l’opera di trasformazione dell’uomo non cominci proprio con la trasformazione del proprio destino. Occorre cioè oltrepassare l'Eimarméne, la fatalità cosmica che governa la materia. Solo coloro che approfondiscono la conoscenza di sé, si liberano dalle catene della necessità astrologica e, al tempo stesso, ridestano la scintilla divina che è in loro. Tutti coloro - osserva ancora Zosimo, nel Commentario alla lettera Omega [11] che subordinano l’inizio dell’Opera alla buona disposizione degli astri, individuando il kairos o momento opportuno, consacrano le proprie energie all’Eimarméne che governa il mondo corporeo, cioè proprio a quel mondo che dovrebbero trasformare per scoprire l’oro della condizione originaria. Costoro sono uomini senza intelletto, solo pupazzi nel corteo della Fatalità. Dal canto suo, l’uomo pneumatico o spirituale lascia che la Natura agisca secondo Necessità preoccupato solo della propria e dell’altrui trasformazione, né ritiene che conoscendo le cose spirituali (asomata) possa facilmente governare quelle materiali (somata) perché, al contrario, più egli si avvicina alla realtà noetica e all’Uno, più diventa incapace di intrattenersi con il mondo in cui regna l’Eimarméne e l’avvicendamento degli opposti. Ciò che l’uomo pneumatico scopre in questa ricerca è bensì l’uomo originario, l’Adam-Theuth della tradizione ebraico-egizia.

Come si vede, molti punti di contatto ma anche molte differenze: nell’ermetismo permane una sorta di dualismo anche se l’iniziato (l’uomo pneumatico) non se ne cura, nell’ebraismo, al contrario, lo spirito che fa uscire Abramo, l’eletto, da Ur dei Caldei è lo stesso spirito che muta le leggi della natura.

Concetti analoghi a quelli già espressi in Genesi 15:5-7, sono contenuti in un altro brano della Torah. Questa volta però in modo molto più esplicito e che non lascia adito a dubbi:

«Guardatevi parimente, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle, tutte le schiere celesti, di non traviarvi prostrandovi loro e servendoli, poiché il Signore tuo Dio li ha assegnati a tutti gli altri popoli che abitano sotto tutti i cieli; mentre il Signore prese voi e vi fece uscire dal crogiuolo del ferro, dall’Egitto perché foste per Lui un popolo Suo possesso speciale come siete oggi» [12].

E’ dunque ribadito il principio di Ein mazal le Israel e ‘l’uscita dall’Egitto’ prende qui il posto dell’uscita da Ur dei Caldei, nel senso cioè di un invito ad abbandonare comportamenti e leggi che regolano il destino di tutti le altre nazioni e di cui l’astrologia è certamente il simbolo più importante. Quel che mi preme sottolineare, tuttavia, è che neanche qui è negata la verità dell’astrologia, tant’è che tutti i popoli della terra ne sono sottoposti. Tutti, tranne il ‘popolo eletto’. Ma anche ora l’apparente separatezza addita la strada dell’universale: l’ebreo si affranca solo in quanto è parte di un popolo che esce da Ur dei Caldei e dall’Egitto, in quanto cioè si fa iniziato in un popolo di iniziati. Ciò non significa che il viaggio simbolico da Ur o dall’Egitto verso la terra promessa  non sia consentito anche ad ogni essere umano. Infine, la condanna dell’astrologia formulata nel passo biblico è in realtà la condanna dell’idolatria.
Altri passi della Torah non modificano i concetti già esposti e soprattutto non si riferiscono propriamente all’astrologia: in Levitico 19:26 si esprime la condanna di maghi e indovini e in Deuteronomio 18:10-11 è scritto: «10 Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco, né chi pratichi la divinazione, né indovino, né chi interpreta presagi, né chi pratica la magia,11 né chi usa incantesimi, né un medium che consulta spiriti, né uno stregone, né chi evoca i morti […]».
 sergio magaldi
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[1] Pietro Pomponazzi (1462-1525) medico e filosofo nato a Mantova. Pubblicò nel 1516 il Tractatus de immortalitate animae, nel quale, sulla scia di Aristotele e di Alessandro di Afrodisia, negava l’immortalità dell’anima. Pur condannando la magia superstiziosa, difese l’astrologia naturale sino al punto di sostenere, nel De fato, libero arbitrio, praedestinatione et providentia Dei, le tesi dello stoicismo circa l’ineluttabilità del fato, governato dalle stelle.

[2] Cfr.,. Ornella Pompeo Faracovi, Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura dell’Occidente, Marsilio, Milano, 1996, in particolare le note bibliografiche contenute in fondo al volume, pp.281-288. Di notevole interesse: E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Laterza, Bari, 1976

[3] Scuola filosofica di età ellenistica fondata intorno al 300 a. C. da Zenone di Cizio presso un portico (stoà in greco). Per gli stoici, una ragione divina governa il cosmo secondo un ordine necessario e perfetto.

[4] In questo senso il tentativo operato dal medico tedesco H.Freiherr Von Klockler e dai ricercatori della rivista Sterne und Mensch, fondata a Lipsia nel 1925.

[5] Cfr. L.Greene, Astrologia e Destino, trad.it., Armenia, Milano, 1995, cap.4, pp.98-132.

[6] cit. in J. Halbronn, Le mond juif et l’astrologie, Arché, Milano, 1985, p.20. Circa l’influenza dell’astrologia sull’ebraismo ibid. pp. 8-25

[7] La Torah scritta si compone dei libri del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). Inizia con la lettera Bet di Bereshit e termina con la lettera Lamed di Israel con cui si chiude il Deuteronomio. Insieme, le due lettere formano la parola Lev b l cuore, a indicare che la vera conoscenza della Torah è una conoscenza del cuore e non dell’intelletto, il che, naturalmente, non significa che la Torah non debba essere studiata, come invece raccomanda espressamente la tradizione ebraico-cabbalistica. Lev b l cuore ha valore numerico 32 come i trentadue sentieri dell’Albero della vita.

[8] Cfr.O. Pompeo Faracovi, cit., p. 96

[9] ibid., p. 97

[10] Zosimo nativo di Panopoli, città della Tebaide egizia dell’alto corso del Nilo, visse tra il III e il IV secolo d. C. . Padre dell’alchimia greca, fu definito dall’alchimista Olimpiodoro ‘la corona dei filosofi, lingua feconda come l’Oceano, il nuovo interprete delle cose divine…’ (cfr. Zosimo di Panopoli, visioni e risvegli, testi a cura di A. Tonelli, Coliseum editore, Milano, 1988, Introd., p.2 ). L’intento alchemico di Zosimo, presente in tutte le opere, è ben visibile nel trattato sull’acqua divina. Egli scrive (CAAG III 143,20 – 144,7): ‘E’ questo il mistero divino e supremo, l’oggetto delle ricerche. Questo è il Tutto. Da esso viene il Tutto e per mezzo di esso il Tutto è. Due nature, una sola essenza: l’una trascina l’altra, e l’una domina l’altra. Questa è l’acqua d’argento, la maschio-femmina che sempre fugge, attratta verso ciò che è proprio. E’ l’acqua divina che tutti hanno ignorato. Non è facile contemplare la sua natura. Non è metallo, né acqua che sempre scorre, né è un oggetto corporeo: non può essere dominata. E’ il tutto in tutte le cose. Ha vita e spirito ed è distruggitrice. Chi intende queste parole, possiede l’oro’

[11] La lettera Omega è l’ultima lettera dell’alfabeto greco e in quanto tale rappresenta il termine estremo di espressione della materia. E’ il Saturno-piombo dell’opera alchemica, non troppo dissimile da ciò che nell’alfabeto ebraico rappresenta la lettera Taw


[12] Deuteronomio, 4:19-20

sabato 21 dicembre 2019

La Regione Sconosciuta: l’albero della vita e la tunica di pelle





“La veste di pelle” – che un’aggadah definiva liscia e aderente come un’unghia – con cui Dio aveva ricoperto il primo uomo e la prima donna per punirli della trasgressione, non differiva molto dal concetto che ne aveva dato Florence, alludendo ad esseri umani zavorrati di carne! Glielo dissi e le raccontai di essermi occupato della “veste di pelle” dei noti versetti del Genesi, durante una lectio magistralis tenuta diverso tempo prima, parlando dell’albero della vita e dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Allora, avevo cercato di dimostrare che gli alberi sembrano due, ma che in realtà c’è soltanto un albero! Avevo citato Genesi III, 21-24, a proposito del mito cosmogonico più famoso dell’Occidente:

 "Il Signore fece ad Adamo e ad Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse: 'Ecco Adamo è diventato come uno di noi (angeli), conoscitore del bene e del male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell'albero della vita, per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo cacciò via dal Gan Eden perché coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato Adamo, collocò a oriente del Gan Eden Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la via che portava all'albero della vita, ". 

Questi versetti – era stato il mio commento –  starebbero proprio a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di due distinti alberi. È vero invece che dell'albero della conoscenza,  nella Scrittura, d’ora in avanti non si parla più. Perché Dio se ne disinteressa? Perché l'uomo è ormai carne, e dunque è già nel regno della conoscenza del bene e del male? Certo, ma più semplicemente perché un albero della conoscenza distinto dall'albero della vita non c'è mai stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per saggiarlo, per metterlo alla prova, ma nel momento in cui l'uomo ha peccato di ubris, ha voluto rendersi come Dio, anche l'illusione è scomparsa. Sin dal primo momento non c'è stato che un solo albero, come ha ben visto Tiziano nella sua tela ad olio dove l'albero, il cui frutto Eva riceve in dono dal serpente, costituisce l'asse centrale che divide la composizione, creando l'effetto che ciò che è UNO venga visto come DUE.

Il Sepher Bahir – avevo precisato – ci illumina sull’intera questione. Ci sono 32 sentieri da percorrere per giungere in cima all'albero della vita, l'albero che con i suoi rami è una metafora del corpo umano.
Che è accaduto nel momento in cui l’essere umano, preso da impazienza e dal desiderio di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento  è entrato nel tempo, nella condizione umana attuale, tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi, al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I, 29-30). Ora  è carne che cerca carne e non potrà più godere di immortalità.

C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è sempre dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada fiammeggiante per poter entrare lungo i sentieri e compiere l'ascesa lungo l’albero. A questo punto, egli deve iniziarsi, percorrere cioè il cammino all'inverso per risalire sino alla condizione originaria, compiere il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito è scritto in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".

 [Dal romanzo La Regione Sconosciuta – il sequel de L’Amore Consapevole – pp. 74-75]

s.m.

mercoledì 18 dicembre 2019

L'Amore consapevole e La Lettera sulla santità





 Nel romanzo L’Amore Consapevole, un ricco collezionista muore in tarda età, lasciando alla casa editrice da lui fondata un reperto, rivelatosi autentico, che risale a circa duemila anni prima. Il reperto appare agli studiosi come la fonte di scritti posteriori della tradizione ebraica, che riguardano la presenza di Dio nel mondo [Shekinah] e la concezione dell’amore tra l’uomo e la donna:

[...] Stolto è l’uomo che non vede la Shekinah quando si unisce alla sua donna! Anche se il seme gli genera figli, la sua goccia sarà stata sparsa per niente, egli sarà più lontano dal regno dei cieli  e noi con lui! [Lettera sulla Santità, cap.II]. Ma per colui che la guarda in viso [la Shekinah], e per noi tutti, sarà come se Terra e Cielo si unissero e l’uomo e la donna saranno santi perché il Padre è Santo [Levitico, 20,26; Lettera sulla Santità, cap.I ].
 Prima ancora che si avveri la profezia di Daniele, avvicinatevi dunque alla vostra donna, sobri e ricordando che il giusto mangia a sazietà ma che il ventre dei malvagi è avido [Proverbi,13,25; Lettera sulla Santità, cap. III – IV.]. Rivolgetele sempre parole gentili e piene di passione perché in lei si accenda il desiderio, sorridete ma non siate volgari e nel congiungervi a lei rispettate la sua volontà e non usatele violenza [Lettera sulla Santità, cap. VI.]. Fate in modo che l’intenzione d’amore sia la stessa tra lei e voi e datevi pena del suo piacere prima che del vostro [Lettera sulla Santità, cap.V-VI. ]. Ricordate tutti, fratelli e sorelle e quanti siete invitati alle nozze, che la congiunzione carnale tra l’uomo e la donna, quando avviene con desiderio, amore e passione, è il segreto e la conoscenza per la costruzione del mondo e vi avvicina all’Eterno, che Egli sia benedetto, nell’opera della creazione [Lettera sulla Santità,cap.II e ss.], e benedetta sia la Torah che l’Eterno ci ha dato per governare il mondo [...]

[Da L’Amore Consapevole pp.32-33]

s.m.

domenica 8 dicembre 2019

UNA JUVE SBAGLIATA




 Crolla la Juve di Sarri sotto i fari dello stadio olimpico di Roma. Una Lazio arrembante, forte anche di decisioni arbitrali perlomeno discutibili, prima rimonta lo svantaggio poi segna tre goal e sbaglia un rigore. La sconfitta dei bianconeri era nell’aria, dopo le striminzite e talora fortunose vittorie dell’ultimo momento anche con squadre modeste che l’hanno tenuta a lungo sulla vetta della classifica del campionato. L’ultimo avvertimento è stato il pareggio casalingo con il Sassuolo della settimana scorsa.

 

La verità è che la Juventus non è così forte come si vuole far credere e la “famosa” ricchezza della rosa è un’altra favola. Sbagliati completamente gli ultimi due mercati. Quello dell’anno passato, quando arriva Ronaldo al suono di trombe e centinaia di milioni, ma viene cacciato Higuain che con l’asso portoghese avrebbe ricomposto il tandem vincente del Real Madrid. Quello di quest’anno, che ha visto il ritorno di Higuain – peraltro osteggiato sino all’ultimo, con l’umiliazione del giocatore, privato del numero 9 sulla maglia – ma anche la messa in vendita praticamente di gran parte dei suoi campioni, fortunatamente respinta dagli interessanti e dal mercato stesso. Se ne vanno però Spinazzola, un’alternativa ad Alex Sandro, Cancelo è scambiato con il modesto Danilo, Moise Kean, più che una giovane promessa, è venduto all’Everton senza neppure la clausola della ricompra, Mario Mandžukić è inspiegabilmente accantonato. Per contro ci si bea dei “grandi” centrocampisti, presi a parametro zero ma che non giocano o sono una delusione. E Sarri ci mette del suo: indebolisce la tradizionale organizzazione della difesa juventina nonostante l’arrivo di Matthijs de Ligt – il giovane centrale difensivo della nazionale olandese che con L’Aiax fu determinante nell’uscita della Juve dalla Champions dello scorso anno – e che se anche può giustamente appellarsi all’infortunio che tiene fuori Chiellini, si ostina a far giocare terzino Cuadrado. Il quale se la cava abbastanza bene (com’è possibile che rimanga, come è accaduto ieri notte, ultimo uomo del contropiede avversario?), ma è costretto ad un lavoro massacrante che gli fa perdere di lucidità e toglie alla squadra la possibilità che questo straordinario e sottovalutato esterno alto, nel contrattacco e nei cross sia determinante, come per il passato, per le punte juventine (il Callejón del Napoli di Sarri).

 

Sarri non ha modificato in meglio il gioco della Juve, brutta ma vincente con Allegri, ha però il merito di aver spostato in avanti di una decina di metri il baricentro della squadra e di aver riportato in attacco e rivalutato Dybala, costretto da Allegri per anni a fare il centrocampista, ma i difensori continuano con i troppi passaggi orizzontali, gli attaccanti segnano poco e tirano ancor meno nella porta avversaria, Ronaldo non è già più quello dello scorso anno, Douglas Costa è un fantasma bellissimo e, ciliegina sulla torta, Sarri ha creato Bernardeschi – sempre fischiato a Torino – trequartista del nulla. Probabilmente quest’anno la Juve non vincerà né scudetto né Champions e forse neppure altro, speriamo almeno che i mesi che restano sino al termine della stagione calcistica servano a Sarri per rivedere alcune idee e ai dirigenti per non sbagliare ancora il mercato. Amen

 

sergio magaldi