“La veste di pelle” – che un’aggadah definiva liscia e
aderente come un’unghia – con cui Dio aveva ricoperto il primo uomo e la prima
donna per punirli della trasgressione, non differiva molto dal concetto che ne
aveva dato Florence, alludendo ad esseri umani zavorrati di carne! Glielo dissi
e le raccontai di essermi occupato della “veste di pelle” dei noti versetti del
Genesi, durante una lectio magistralis tenuta diverso
tempo prima, parlando dell’albero della vita e dell’albero della conoscenza del
bene e del male.
Allora, avevo cercato di dimostrare che gli alberi sembrano due,
ma che in realtà c’è soltanto un albero! Avevo citato Genesi III, 21-24,
a proposito del mito cosmogonico più famoso dell’Occidente:
"Il
Signore fece ad Adamo e ad Eva una tunica di pelle e li vestì, poi disse:
'Ecco Adamo è diventato come uno di noi (angeli), conoscitore del bene e del
male! Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell'albero della vita,
per mangiare e vivere in eterno'. Quindi Dio lo cacciò via dal Gan Eden perché
coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato Adamo, collocò a oriente
del Gan Eden Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la
via che portava all'albero della vita, ".
Questi
versetti – era stato il mio commento –
starebbero proprio a dimostrare, secondo alcuni, l'esistenza di due
distinti alberi. È vero invece che dell'albero della conoscenza, nella Scrittura, d’ora in avanti non si parla
più. Perché Dio se ne disinteressa? Perché l'uomo è ormai carne, e dunque è già
nel regno della conoscenza del bene e del male? Certo, ma più semplicemente
perché un albero della conoscenza distinto dall'albero della vita non c'è mai
stato. Dio lo ha fatto credere all'uomo per saggiarlo, per metterlo alla prova,
ma nel momento in cui l'uomo ha peccato di ubris, ha voluto
rendersi come Dio, anche l'illusione è scomparsa. Sin dal primo momento non c'è
stato che un solo albero, come ha ben visto Tiziano nella sua tela ad olio dove
l'albero, il cui frutto Eva riceve in dono dal serpente, costituisce l'asse
centrale che divide la composizione, creando l'effetto che ciò che è UNO venga
visto come DUE.
Il Sepher
Bahir – avevo precisato – ci illumina sull’intera questione. Ci sono 32
sentieri da percorrere per giungere in cima all'albero della vita, l'albero che
con i suoi rami è una metafora del corpo umano.
Che è
accaduto nel momento in cui l’essere umano, preso da impazienza e dal desiderio
di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento è entrato nel tempo, nella condizione umana
attuale, tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non
può più cibarsi, al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della
vegetazione (Genesi, I, 29-30). Ora
è carne che cerca carne e non potrà più godere di immortalità.
C'è
ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è sempre dentro di
lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada fiammeggiante
per poter entrare lungo i sentieri e compiere l'ascesa lungo l’albero. A questo
punto, egli deve iniziarsi, percorrere cioè il cammino all'inverso per
risalire sino alla condizione originaria, compiere il Tiqqun, la
restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la
morte fisica. In proposito è scritto in Zohar (I, 130b): "Al
tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà
scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno
dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta
cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo,
poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non
cessa".
s.m.
Nessun commento:
Posta un commento