lunedì 4 ottobre 2010

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI, film di Saverio Costanzo, Settembre 2010







 Era abbastanza difficile, per chiunque avesse tentato, portare sullo schermo il romanzo di Paolo Giordano. Ho messo già in evidenza, nel recensire a suo tempo il romanzo, come l’autore nel narrare la storia di Alice e Mattia si sia guardato bene dall’indulgere in interrogativi metafisici e/o esistenziali, preferendo il linguaggio dei fatti, sostenuto dalla psicologia e soprattutto dalla matematica, di cui non a caso egli è un giovane cultore. Il lettore, insomma, per cogliere lo spirito del romanzo e l’anima di Alice e Mattia, deve innanzi tutto apprendere a guardare dentro di sé. Operazione peraltro possibile in virtù del linguaggio semplice e tuttavia pregno di significati, utilizzato dall’autore. Ciò che ha certamente contribuito al successo del romanzo. Le complicazioni sorgono quando si pretenda di tradurre tutto ciò nel linguaggio del cinema.

 Saverio Costanzo ha voluto cimentarsi nell’ingrato compito, probabilmente attratto da una storia che possiede il fascino e l’eleganza di una verità matematica, ma che, dietro i numeri, vela di continuo l’anima dei protagonisti. Il regista ha fatto del suo meglio, dando tuttavia l’impressione di aver bisogno di appoggiarsi a vari generi sin dalle prime scene: thriller, horror, dramma borghese etc… come si è segnalato da più parti, mentre qui si trattava piuttosto d’inventarlo il genere. Mutata anche la struttura lineare della narrazione. Nel romanzo c’è un antefatto, come nel prologo di una tragedia greca, cui segue una moderna parodo che introduce la vicenda dei protagonisti e dove il coro è sostituito dai testimoni dell’infelice storia d’amore di Alice e Mattia, due giovani che si sentono attratti l’uno dall’altro senza tuttavia riuscire mai ad incontrarsi, proprio come numeri primi gemelli, separati anche se da un numero solo. Scrivevo in proposito nel recensire il romanzo:

 “Alice e Mattia segnati da un destino che li accomuna, li avvicina e li tiene distanti, sono in realtà come i numeri primi, numeri naturali cioè maggiori di uno, divisibili solamente per 1 e per se stessi e, per giunta sono numeri primi gemelli, cioè numeri primi separati da un unico numero [per esempio: 3 e 5, 11 e 13, 17 e 19, 41 e 43 etc…], vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero.”

 Nel film di Costanzo, la struttura algebrica [dall’arabo al-găbr = algebra che significa “unione”, “connessione”] del romanzo si decompone e si frantuma in un “andirivieni” esasperato che esalta tecniche abusate e pericolose come il flashback e il flashforward, con il risultato di rompere l’armonia della narrazione per un clima ossessivo che non appartiene al romanzo di Paolo Giordano. Tutto questo pur volendo restare fedele il più possibile alla vicenda. Così l’angoscia di Mattia bambino ha bisogno per essere filmata di accompagnarsi al grottesco [il clown interpretato da Filippo Timi] e al simbolismo persino ormai desueto del genere horror, come la pioggia torrenziale, il tunnel etc…

 Si ha come l’impressione che il regista, nell’impossibilità di cogliere lo spirito del romanzo con una lente tutta sua, in cui creatività e fantasia avrebbero potuto e dovuto manifestarsi, abbia preferito, come per l’esame finale di un corso di cinematografia, presentare un saggio delle proprie capacità di trasportare una storia dalla pagina allo schermo, ricorrendo al linguaggio e alle tecniche apprese durante gli studi. Un “compito” riuscito ma un’occasione mancata, anche perché qualcosa, nel senso di cui sopra, l’ha pur fatta intravedere. Lo scacco della famiglia borghese, per esempio, e l’impossibilità di un autentico rapporto genitori-figli. Con quegli adulti, maschi vagamente ammiccanti, dalla voce sgradevole e petulante ripresi nell’ombra e mai per intero, come avviene nella prima parte del film, o quelle donne che si sentono vittime del destino e mai della propria cecità [come la madre di Mattia, interpretata da una quasi irriconoscibile se pur brava Isabella Rossellini] o perennemente insoddisfatte per una malattia dell’anima prima che della carne [la madre di Alice, silenziosa e persa nei propri pensieri, incurante della figlia e con la sigaretta sempre tra le labbra]. Non aver tentato questa stessa strada per altre situazioni, ha finito con l’appiattire il film in una routine che fa rimpiangere il romanzo e che dopo poco più di un’ora riesce anche ad annoiare gli spettatori, nonostante la buona interpretazione di Luca Marinelli nel ruolo di Mattia e l’eccezionale presenza di Alba Rohrwacher nel ruolo di Alice. Perché anche di questo va dato atto al regista: aver saputo scegliere gli attori con oculatezza e intuizione.

 Nel finale, tuttavia, il film si rianima offrendo la possibilità di una soluzione diversa e forse gradita al pubblico, rispetto a quella del romanzo che sancisce l’impossibilità dei numeri primi gemelli d’incontrarsi davvero a meno che… Alla fine della recensione del libro di Paolo Giordano osservavo:

 “Sarei curioso di sapere se, nello scrivere questo suo primo, ottimo romanzo, Paolo Giordano sia stato sfiorato dalla tentazione di fare di Alice e Mattia il 2 e il 3, cioè i soli numeri primi gemelli che si toccano davvero!”

 Così, Costanzo lascia aperta questa possibilità nell’ultima scena del film ed era forse, questa, l’unica soluzione da offrire al pubblico dopo averlo condizionato tanto a lungo in un clima di crescente ossessione che – come dicevo – non appartiene al romanzo per il semplice motivo che il disegno dell’autore è quello di dimostrare, nel linguaggio semplificato, razionale e per nulla ossessivo della matematica, una verità ineluttabile o quasi.

Sergio Magaldi

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