giovedì 28 luglio 2011

MOSTRA FOTOGRAFICA



MOSTRA FOTOGRAFICA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO IN QUELLO CHE FU IL PRINCIPATO DI DONNA OLIMPIA PAMPHILY.



DAL 23 LUGLIO AL 15 AGOSTO A SAN MARTINO AL CIMINO (VITERBO) PRESSO IL PALAZZO DORIA-PAMPHILY



INGRESSO LIBERO

venerdì 1 luglio 2011

CHE LA LUCE SIA!

Iehì Or …Che la luce sia…




Il primo giorno “Dio disse: ‘Che la luce sia’. E la luce fu.”[1] Il noto versetto del Genesi pone subito una questione di metodo suscettibile di trasformarsi in un problema sia di natura teologica che cosmologica. Non è mia intenzione l’esegesi né la rassegna di tutto ciò (forse troppo) che su questo versetto si è detto e scritto. Mi limiterò ad attirare l’attenzione su qualche interrogativo che discende dal primo dei dieci “Dio disse” del Berescith o Genesi[2]

Un primo interrogativo è se la luce preesista alla creazione. Il Sepher ha Zohar [3] non ha dubbi in proposito, ritenendo la luce già esistente[4] e fonte di un segreto indicato dalla ghematria [5] dei nomi luce e segreto aventi entrambi lo stesso valore numerico [6]. A questo segreto si allude allorché è detto che una fiamma oscura, troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito. Si tratta di Ain-Soph-(A)Or luce infinita che non si lascia vedere. Da questa infinita pagina oscura e velata come notte profonda si leva improvviso un minuscolo punto di luce [7].

Una metafora, accessibile all’ esperienza comune, per descrivere questo ‘fremito’ dell’Infinito è la fiamma che sale da una brace o da una candela che brucia. Nella fiamma che sale si notano due luci, la prima bianca e brillante, l’altra, più in basso, nera e che serve da ‘trono di gloria’ alla luce bianca. Le due luci sono indissolubilmente legate [8]. Il Sepher Yezirah [9], forse il più antico testo ispirato alla Qabbalah, presenta in proposito un’immagine che ebbe molta fortuna nelle speculazioni dei primi cabbalisti ‘storici’. Si tratta delle fiamme che divampano alimentate dal carbone ardente. [10] Tali fiamme sono le luci o sephiroth [11] che si diffondono a partire dal primo punto di luce distintosi nella ‘nerezza’ del carbone. Quel punto è la corona dalla quale ben presto si estendono altre nove luci: “Quando è conformato, Egli produce nove luci, che risplendono fuori da Lui, dalla Sua conformazione. E da Lui stesso queste luci scaturiscono, ed emettono fiamme, e si slanciano fuori e si estendono da ogni lato, come da un’alta lanterna i raggi di luce dardeggiano giù in ogni lato. E quei raggi di luce, che si estendono, quando qualcuno si avvicina per esaminarli, non si trovano, e vi è solo la lanterna. Così è Lui il Santissimo Antico Uno: Egli è quell’altissima Luce nascosta con ogni Nascondiglio, e non è trovato; eccettuati quei raggi (…) Ma Egli è in verità la Luce Superna, che è nascosta e non è conosciuta. E tutte le altre luci sono accese da Lui e da Lui derivano il loro splendore. [12]

C’è un’altra metafora, non accessibile a tutti, e che forse è già più di una metafora: è la visione ad occhi chiusi del mistico che tutta la letteratura sull’argomento descrive come l’apparire, dal fondo buio, di un chiarore improvviso seguito da uno splendore su cui si staglia una forma o si accende l’intero spettro dei colori [13]. Per chi si diletta di ghematrie non sarà inutile osservare come h z j m Machazeh, che in ebraico significa visione, faccia riferimento per il suo valore numerico ad altre significative parole. [14] Del resto, la stessa esperienza quotidiana ci mostra, anche se su piani diversi e, per così dire,‘inferiori’, che ogni nascita avviene nella luce ma prende forma nel buio. Senza neppure voler approfondire il discorso su taluni rituali collettivi in cui “dono” e “appropriazione” della luce ricapitolano simbolicamente il primo istante della creazione. [15]

Quel punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. E’ davvero così? L’invisibile puntino da cui lo yud [16] -la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico- è tracciato è davvero altro? Osserviamo intanto che quel puntino di luce è per noi invisibile [17] proprio come la luce oscura e, dunque, partecipa della stessa natura di questa. Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.” [18] La separazione consentì all’uomo -vista l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della creazione- di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto con le tenebre. Naturalmente questa oscurità non ha nulla a che vedere con l’Oscurità da cui scaturì il primo punto di luce: “Questa luce scaturì dal cuore dell’Oscurità (…) dalla luce nascosta prese forma una segreta via d’accesso grazie all’oscurità del mondo di quaggiù e la luce poté manifestarsi.” [19] Poco dopo, Rabbi Yossi chiarisce che l’oscurità che consente alla luce di manifestarsi nelle cose del mondo non ha nulla a che vedere con l’oscurità originaria: “Rabbi Yossi lo spiega così: (non si tratta dell’oscurità originaria) perché se tu affermi che è di questa Oscurità chiusa che sono state scoperte le profondità, sappi che tutte le supreme corone sono lì ancora nascoste e che per questo sono dette ‘profondità’.” [20] Insomma, parafrasando lo Zohar, si può dire che sulla pagina scura dell’Infinito appare la pagina bianca della Torah, così come su questa pagina bianca appaiono le lettere scure della Torah. [21]

A guardar bene, tuttavia, non c’è né doppia oscurità né doppia luce perché l’oscurità ‘di quaggiù’ è solo apparente e l’oscurità ‘di lassù’ non è altro che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per manifestarsi nel contrasto. Che la separazione della luce dalle tenebre sia soltanto apparente lo Zohar non si stanca di ripeterlo: “Elohim separò la luce dalle tenebre (Genesi 1:4). Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione. Infatti il giorno scaturì dal fianco destro della luce, la notte da quello sinistro. Entrambi nacquero insieme e poi furono separati…” [22] Più avanti la separazione luce-tenebre è assimilata a quella tra maschio e femmina. Ciò non è detto per sminuire la donna come sembrerebbe a prima vista, perché semmai, a pensarci bene, la luce non si manifesta che a partire dal buio e questa pare proprio una verità che, anche se per motivi diversi, vale tanto per ‘lassù’ come per ‘quaggiù’: “ Rabbi Isacco domandò: se così è, perché è detto: ‘Elohim differenzierà la luce dalle tenebre’ (Genesi 1:4) ? Egli ricevette la risposta seguente: la luce fa nascere il giorno, l’oscurità fa nascere la notte. Dopo di che Egli li riunisce insieme ed essi diventano uno, com’ è scritto. ‘Fu sera fu mattina, un (solo) giorno’ (Genesi 1:5), ciò significa che la notte e il giorno sono chiamati ‘uno’. Quanto al versetto citato sopra: ‘Elohim differenzierà la luce dall’oscurità’, questo riguarda il tempo dell’esilio in cui regna la separazione. Rabbi Isacco disse: sino a quel momento il maschio era luce, la femmina oscurità. Dopo di che furono riuniti per essere uno. Essi non furono separati che per distinguerli (…) poiché in effetti non erano che uno, perché non c’è luce che per l’oscurità né c’è oscurità che per la luce. Essendo uno, differiscono nei loro colori ma restano sempre uno, così com’è scritto: ‘Giorno uno’ (Genesi 1:5)” [23]

Occorre tener presente che l’assimilazione della luce infinita con Dio, che sembra emergere da quanto detto sopra, è solo un’approssimazione concettuale e che la possibilità di descrivere sia l’infinita luce che l’infinito è negata risolutamente sia dalle prime scuole storiche della Qabbalah sia dalle speculazioni successive che hanno nello Zohar il loro punto di riferimento. Si consiglia piuttosto di astenersi da simili indagini e addirittura si arriva a dire che sarebbe meglio non essere mai nati piuttosto che rivolgere l’attenzione in questa direzione. Quando, nella scuola di Isacco il cieco, si nomina Ain Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito,[24] mentre nello Zohar non si smette di ripetere che è impossibile afferrare l’essenza del segreto di ogni segreto, del senza principio e senza fine, di quell’infinito di cui si riesce ad immaginare appena, attraverso i sephiroth, una particella di luce piccola come la testa di un ago. In tutta la Qabbalah regna pieno accordo sull’idea che ‘Il Santo nome è ugualmente celato e manifesto’ [25] E’ celato come infinito  e come luce infinita, è celato però anche come finito illimitato, uno, testa, corona o Kether perché è un punto di quella infinita luce che si rivela solo nel diffondersi delle sue nove luci e nel contrasto con l’ombra dei corpi. E se pure Dio fosse identificato con l’infinita luce, bisognerebbe comunque distinguere questa concezione da tutte quelle che identificano Dio con la Luce per contrapporgli, in eterna lotta, il principio o dio delle Tenebre. Simili concezioni dualistiche non hanno cittadinanza né in Genesi, né in Zohar e neanche nella posteriore Qabbalah di Luria.[26] Neppure si dovrebbe parlare di ideali punti di contatto tra Qabbalah e Gnosi, considerando che “La linfa segreta che anima i vari mondi gnostici è una concezione radicalmente dualistica, che oppone il corpo allo spirito, questo mondo di tenebre al mondo della luce…” [27]

E’ interessante osservare come, più o meno nello stesso periodo in cui si diffondono le idee dei cabbalisti di Provenza e di Girona, il filosofo e teologo inglese Roberto Grossatesta presenti una metafisica della luce che, nel solco del platonismo agostiniano, s’inserisce nella prospettiva del più volte citato versetto del Genesi (1:3). Del resto, come ricorda Pietro Rossi, nel presentare le opere di Grossatesta, la speculazione legata alla luce era, nella tradizione occidentale e cristiana “un filone ininterrotto, anche se è nel XII secolo che si ha un impatto decisivo con le opere dello Pseudo Dionigi e di alcuni Padri greci, in particolare Gregorio Nazianzeno e Massimo il Confessore, attraverso i quali i Latini vengono in contatto con la riflessione teologica e mistica greca che si era sviluppata senza soluzioni di continuità dalla tradizione neoplatonica. Prima, erano il pensiero di Agostino e la sua ermeneutica dei testi sacri, in particolare della Genesi, le fonti e la guida per la riflessione dei Latini.” [28] A proposito di Agostino, va ricordata la sua antica adesione al manicheismo quando sulla scia di Mani [29] riteneva Dio una sostanza luminosa e corporea: “Io pensavo, Dio, mio Signore e Verità, –scriverà nelle Confessioni- che Voi foste un corpo brillante e immenso ed io un pezzetto di questo corpo” [30] C’è da chiedersi se Agostino si sia mai liberato di una concezione siffatta semplicemente sostenendo la creazione ex nihilo e affermando che Dio creò senza una preesistente materia, ma semplicemente volendo che tutte le cose fossero. Quel che ora interessa sottolineare è che Grossatesta, in parte riprendendo Agostino, in parte seguendo Aristotele, dica che all’origine dell’universo stiano una materia prima informe e una luce come prima forma corporale e causa della tridimensionalità: “ Ritengo –scrive Grossatesta- che la forma prima corporea, che alcuni chiamano corporeità, sia la luce. La luce infatti per sua natura si propaga in ogni direzione, così che da un punto luminoso si genera istantaneamente una sfera di luce grande senza limiti, a meno che non si frapponga un corpo opaco. La corporeità è ciò che necessariamente è prodotto dall’estendersi della materia secondo le tre dimensioni, sebbene l’una e l’altra, cioè la corporeità e la materia, siano sostanze in se stesse semplici, prive di qualsiasi dimensione. ” [31] La luce è detta corporeità o forma prima dei corpi perché appartiene alla sua natura il diffondersi, il propagarsi in ogni direzione trascinando con sé la materia: “La luce che è la prima forma della materia prima creata, moltiplicandosi da se stessa per ogni dove in un processo senza fine ed estendendosi in ugual misura in ogni direzione, al principio del tempo si diffondeva traendo con sé la materia in una quantità grande quanto la struttura dell’universo.” [32] La costituzione dell’universo in una sfera ha origine, secondo Grossatesta, dall’istantantanea propagazione o moltiplicazione della luce, ma la distribuzione disuguale della materia è causata dalla disgregazione e dall’aggregazione, cioè dalla rarefazione e dalla condensazione. La disgregazione primordiale della luce dà origine alla prima sfera, da questa sfera la luce dà origine ad altre sfere sempre meno rarefatte e meno spirituali sino all’ultima delle nove sfere celesti, cui si aggiungono le quattro del mondo inferiore degli elementi: “In questo modo dunque si sono originate le tredici sfere di questo mondo sensibile, vale a dire le nove sfere celesti inalterabili, nelle quali non c’è aumento, generazione o distruzione, perché sono totalmente compiute, e quattro che al contrario sono alterabili, nelle quali c’è accrescimento, generazione e distruzione, come è naturale per ciò che non è totalmente compiuto. Ed è chiaro anche perché ogni corpo superiore, secondo il lume generato da sé, sia la specie e la perfezione del corpo successivo (…) La terra, poi, in forza della concentrazione in se stessa delle luci superiori, è tutti i corpi superiori; per questo dai poeti è chiamata Pan, cioè tutto…” [33]

Non c’è dubbio che quella di Grossatesta, più che una metafisica, sia una cosmologia fondata sulla luce e sulla ricerca del primo istante della creazione [34] e che ad una prima analisi presenti molti punti in comune con la Qabbalah speculativa, a cominciare dalle tredici sfere che troppo ricordano le tredici conformazioni della barba del Macroprosopo [35] per continuare con le nove sfere celesti, ora presentate come successiva degradazione della luce secondo un’influenza neoplatonica certamente visibile tanto nella Gnosi come nella Qabbalah lurianica, ora considerate come ‘inalterabili’. Per finire alla terra dove si concetrerebbero tutte le luci superiori, esattamente come avviene per Malchuth-Terra posta al fondo dell’Albero sephirotico. Le convergenze sembrano fermarsi qui, considerando che manca nella Qabbalah una metafisica che riconduca tutto, anche il primo istante della creazione, alla solita ‘medievale’ dialettica di materia e forma anche se la forma si identifica con la concretezza della luce che si diffonde. [36]

Le vere differenze, tuttavia, tra le analisi di Grossatesta e quelle della Qabbalah speculativa emergono ove si confrontino entrambe con le ipotesi cosmologiche della scienza e con le verifiche attuali della fisica. In Genesis and the Big Bang del 1990, il fisico e teologo Gerald L.Schroeder ritiene che scienza e Bibbia siano d’accordo su un punto fondamentale e cioè che nulla si possa dire su ‘prima’ del principio. Il concetto è frutto di una tradizionale speculazione cabbalista: la prima lettera del Berescith o ‘Principio’ è una b beth, una lettera aperta solo sul davanti secondo la modalità di scrittura dell’ebraico che va da destra a sinistra: t y c a r b Berescith. Ciò significa che solo gli eventi accaduti dopo il ‘principio’ sono accessibili all’indagine umana, esattamente come avviene per la scienza accettando l’ipotesi del Big Bang,[37] teoria secondo cui l’universo attuale è il risultato di una ‘grande esplosione’ originatasi da un minuscolo punto ad altissima densità privo di tempo e di spazio e in cui la materia era totalmente assorbita in energia: “L’universo prenatale conteneva tutta la materia dell’universo presente, vale a dire circa 100 miliardi di galassie, ciascuna con i suoi 100 miliardi di Soli (…) Tutto quello che possiamo vedere adesso era compresso in un volume molto più piccolo di una capocchia di spillo.” [38] Dopo il Big Bang, l’energia cominciò a condensarsi in particelle che si muovevano a una velocità inferiore a quella della luce, dando vita al fenomeno della prototemporalità, più tardi, consolidandosi l’energia in materia dotata di massa, ebbe inizio il tempo vero e proprio. Ciò spiega perché via via che la forza del campo gravitazionale aumenta, determinando una maggiore densità di materia, il tempo trascorra più lentamente, sin quasi a fermarsi sulla soglia dei buchi neri, dove la densità di materia è al massimo. [39] Il processo, come osserva G.L. Schroeder, può essere visto anche in modo reversibile: “A temperatura e pressione normali, la materia è organizzata in molecole. Con l’aumento della temperatura, la struttura molecolare si distrugge e restano i singoli atomi. Un aumento della pressione distrugge anche la struttura atomica finché restano solo nuclei atomici ed elettroni liberi. Infine, anche i nuclei sono compressi così fortemente l’uno contro l’altro da frantumarsi. Quando la compressione raggiunge temperature che superano l’energia di riposo delle particelle, cioè quando la E supera la corrispondente mc2, [40] le particelle si trasformano liberamente da massa in energia.” [41]

Dal canto suo, Grossatesta postula una materia prima informe su cui agisce la luce come prima forma corporale, il che significa accettare l’esistenza di spazio, tempo e materia prima ancora del ‘principio’. Del resto la scienza contemporanea si è sempre più allontanata dall’ipotesi di un’azione combinata di forza (l’aristotelica forma) e materia per spiegare la realtà, quando addirittura non ha annullato questi concetti nella ricerca di una particella semplice che, naturalmente, non è più l’atomo e che potrebbe ben presto non essere più nemmeno il quark, configurandosi piuttosto come un invisibile e tuttavia esistente minuscolo punto di energia pura. Ciò, da quando Einstein ha mostrato la verità della formula E = mc2 che permette di convertire la massa in energia. [42]

Quel che convince meno delle analisi di G.L. Schroeder è l’idea, desunta da Maimonide, [43] che la creazione dei cieli e della terra dal nulla sia alla base della Bibbia.[44] La confutazione, che Maimonide fa della tesi aristotelica dell’esistenza ab aeterno del mondo, non conduce necessariamente ad abbracciare l’idea di una creazione dal nulla perché rimarrebbe comunque irrisolto il problema del rapporto di Dio col nulla. La Qabbalah dello Zohar adombra già qualcosa di diverso e più tardi Ytzchaq Luria sviluppando un’idea talmudica formula la dottrina dello Tzimtzùm [45] secondo la quale l’esistenza dell’universo è possibile per un processo di contrazione di Dio che ‘si ritira’ lasciando libero un punto: “Quando si pensa –commenta Tikkunè Zohar, XIX.- che il Santo, benedetto Egli sia, è infinito e che riempie tutto, si capisce che l’idea di creazione sarebbe stata impossibile senza lo Tzimtzùm (…) Il Santo (…) ha dunque contratto la santa luce che costituisce la sua essenza.” [46] Il ‘ritiro’ di Dio che lascia scoperto un punto concorda abbastanza con l’idea zoharica di una luce infinita troppo oscura per essere vista finché non si sveli in un punto di luce bianca. Anche qui si tratta, naturalmente, di un’approssimazione concettuale, in grado, tuttavia, sia di risolvere il falso dilemma di una esistenza del mondo ab aeterno o della sua creazione ex nihilo, sia di evitare ipotesi sul ‘prima del principio’ e sulla natura di Dio che non sia la totalità stessa, tenuto conto che l’essenza di luce in cui Dio certamente consiste è solo la totalità presupposta dal primo dei dieci ‘Dio disse’ del Genesi. Dio non volle semplicemente che le cose fossero- come sostengono Agostino e Maimonide- Egli, per così dire, ‘si ritira’ da un punto e lascia risplendere la luce perché l’uomo realizzi il ‘suo’ progetto di mondo. C’è una ghematria dello Tzimtzum piuttosto illuminante: è la parola ebraica Matzpun con lo stesso valore numerico (266) e che in ebraico significa coscienza. E’ con il ‘ritiro’ di Dio che l’uomo prende coscienza di sé rispetto al tutto.







[1] Cfr. Genesi 1:3


[2] ‘Dio disse’ è citato nove volte nel 1°Capitolo del Genesi e precisamente ai versetti: 3-6-9-11-14-20-24-26-29. Compare una sola volta nel versetto 18 del 2°Capitolo. Qui, tuttavia, il nome di Dio non è più soltanto Elohim, perché è preceduto dal Tetragramma o nome di quattro lettere: yud-he-waw-he. La questione riguardante il nome o i nomi di Dio è assai complessa. In particolare perché solo la decima volta che appare ‘Dio disse’, il nome Elohim è preceduto dal Tetragramma? Una possibile risposta è data dall’osservazione che nelle precedenti nove volte Dio crea singoli aspetti della realtà, mentre la decima volta, dopo il cielo e la terra, Egli crea anche l’uomo e la donna a propria immagine e somiglianza. Si veda sulla questione: Yehudah ha-Lewi (medico e teologo castigliano vissuto tra il 1086 e il 1141) in Il re dei Khazari, trad.it.di E.Piattelli. Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pp.193-197 e 214-217. Sull’importanza della creazione dell’uomo in funzione della completezza del nome di Dio, Isacco il Cieco, maestro della prime scuole storiche di Qabbalah ebraica sorte in Provenza e in Catalogna attorno al 1200, soleva dire che nel giorno in cui Dio creò il cielo e la terra il nome non era completo perché l’uomo non era stato ancora creato e il sigillo non era stato ancora posto. Cfr. C.Mopsik, Les Grands Textes de la Cabale, Verdier, 1993, p.74. Mi sembra significativo osservare –in prospettiva di quanto dirò più avanti- che Isacco è detto ‘il cieco’ perché in possesso di un eccesso di luce, cfr. Azriel de Girona, Quatro Textos Cabalisticos, introd.trad. y notas por M.Eisenfeld, Riopedras Ed., Barcellona, 1994, introd. p.26.


[3] Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura della Qabbalah e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e il recente G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le grandi correnti della mistica ebraica di G.G. Scholem nella traduzione italiana pubblicata nel 1965 per le edizioni ‘Il Saggiatore’ Mondadori. Una nuova edizione del libro è apparsa nel 1990 per la casa editrice‘il melangolo’ di Genova.


[4] Cfr. Le Zohar, trad. francese di C. Mopsik, tomo I, Verdier, 1981, Berescith I, 16 b, p. 99 e Berescith III, 46 a, p.241.


[5] S’intende con ghematria il valore numerico dato dai cabbalisti a una singola parola o a un’intera preposizione in forza del corrispondende valore numerico di ogni lettera dell’alfabeto ebraico. ‘I ‘segreti’ numerologici –scrive G.G. Scholem, La Cabala, cit., p. 40- sodot, avevano due scopi. In primo luogo, assicuravano che i nomi venissero scritti esattamente come i compositori di ghematriot li ricevevano dalle fonti orali e scritte (…) In secondo luogo con questo mezzo era possibile assegnare significati mistici e ‘intenzioni’ (kavvanot) a questi nomi, che servivano d’incentivo a una meditazione più profonda…’


[6] z r Raz segreto ha lo stesso valore numerico (207) di r w a Or luce. Infatti Raz è formata delle lettere resch (200) e zain (7), mentre Or dalle lettere alef (1), waw (6) e resch (200). Circa il valore numerico delle lettere ebraiche, tra i tanti testi in circolazione, si consiglia: P.A. Carrozzini S.I., Grammatica della lingua ebraica, Marietti, 1988.


[7] Cfr. Le Zohar, cit.,Berescith I, 16 b, pp. 99-100.


[8] Ibid., Berescith III, 50 b-51 a, pp. 263-264.


[9] Sul Sepher Yezirah o Libro della creazione, la cui data di composizione secondo gli studiosi oscilla tra il II e il VI secolo d.C., cfr. G.G. Scholem, Le Origini della Kabbalà, Bologna, 1990, pp.32-44 e, dello stesso autore, La Cabala, cit., pp. 14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.


[10] Cfr. Sepher Yezirah, I, 7.


[11] Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico r p s Safor che significa contare e che dei sephiroth fa dunque dei numeri. Numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. I sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, i sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah o luce o forma del molteplice è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether-corona, 6 Tephereth-bellezza e armonia, 9 Yesod-fondamento o generazione, 10 Malchuth-regno o terra. Alla colonna di destra: 2 Hochmah-sapienza, 4 Hesed-grazia 7 Netzach-vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah-intelligenza, 5Gheburah-rigore o severità, 8 Hod-splendore.


[12] Cfr. Ha Idra Zuta Qadisha (La Minore Santa Assemblea) in Zohar, cap.I, 43,44,45,46, cap.II, 76,77, trad.it. in Magia della Cabala, Ediz.Mediterranee, Roma, vol. I, pp. 246-247, 249.


[13] L’esperienza mistica della visione dei colori è compresa –a parere di Abulafia (1240-1291), forse il maggiore tra i mistici ebrei- tra quelle della Qabbalah, sebbene ‘di tipo inferiore’. Cfr. M.Idel, L’esperienza mistica in Abraham Abulafia, trad.it., Jaca Book, Milano, 1992, p. 61. Di rilevante interesse su Abulafia anche il IV capitolo del citato Le grandi correnti della mistica ebraica.


[14] Il valore numerico di Machazeh visione è 60, con lo stesso valore: Kli recipiente (uno dei 72 nomi di Dio), Ganaz nascondere, Hineh ecco! Halakhah regola di vita, Gaon sapiente. In Abulafia è anche frequente la ghematria ha Machazeh (65) la visione con Adonai (65), terzo tra i nomi di Dio, dopo il Tetragramma ed Elohim.


[15] Così, è per l’iniziato della massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che gli sarà concessa dalla loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che ‘brilla’ di una luce troppo oscura per essere vista…


[16] ‘Così, l’Infinito penetra la sua stessa aria e scopre un punto, lo yud’.Cfr. Le Zohar, cit. 16 b, p.100.


[17] ‘La luce che il Signore –benedetto il Suo Nome- aveva creato (…) fu subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata per i giusti (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del ‘mondo a venire’) rimarrà nascosta, custodita in segreto.’ Cfr. Le Zohar, cit., Berescith II, 31 b-32 a, p.179.


[18] cfr. Genesi 1:4


[19] Cfr. Le Zohar, cit., 32 a, p.179.


[20] Ibid., p.180.


[21] Cfr. Tikkunè Ha-Zohar, 23a.


[22] Cfr. Le Zohar, cit.,Berescith II, 30 b, t.I, p.175.


[23] Ibid., 32a, pp.180-181.


[24] Cfr.G.G.Scholem, Le origini della Kabbalà, cit., p.330. Sulle prime scuole di Qabbalah, su Isacco il cieco e i suoi allievi, oltre al già citato testo del Mopsik, ibid.., pp. 247-588.


[25] Cfr. Ha Idra Zuta Qadisha, cit., cap.IV, 130, p.254.


[26] Su Ytzchàq Luria e la sua scuola si veda il cap.VII del citato Le grandi correnti della mistica ebraica.


[27] Cfr. G.Filoramo, L’attesa della fine.Storia della gnosi, B.U. Laterza, Bari, 1993, p.22.


[28] Cfr.R.Grossatesta, Metafisica della luce, Rusconi, Milano, 1993, introd., p.8.


[29] Mani, principe persiano vissuto tra il 216 e il 277 d.C., riteneva la realtà il prodotto della lotta incessante della Luce contro le Tenebre. Alla provvisoria vittoria delle Tenebre, avrebbe presto seguito la definitiva vittoria della Luce.


[30] Cfr. Agostino, Confessioni, IV, 16, 31.


[31] Cfr. R.Grossatesta, De luce seu de inchoatione formarum, cit, p.113.


[32] Ibid.,p.114.


[33] Ibid., pp.119-120.


[34] Ibid., p.109.


[35] Cfr. La Minore Santa Assemblea, cit., 69, p.249.


[36] Circa l’originalità ‘tutta ebraica’ della Qabbalah non dovrebbero più esserci dubbi anche se un grande studioso come G.G.Scholem ha cercato di dimostrare i molti contatti, almeno ideali e teorici, tra Qabbalah e Gnosi (cfr. opere citate) e C.Mopsik (cfr. op. cit.) si limita a riproporre la questione auspicando una ulteriore approfondita indagine. Associandomi nell’auspicio con uno studioso così serio come il Mopsik, mi limito ad osservare che forse si dovrebbe mutare di prospettiva. Se si continua a guardare alla Qabbalah come a un sistema filosofico non c’è dubbio che punti di contatto con altri sistemi possano essere trovati soprattutto in relazione al tempo e/o alle affinità storiche, geografiche, culturali o magari ideali. Il fatto è che la Qabbalah sembra proprio irriducibile a lasciarsi trasformare in sistema consistendo più che altro nella tradizione orale, nel commento del testo biblico, nella profonda conoscenza dell’alfabeto cosiddetto sacro in funzione delle ghematrie e delle permutazioni delle lettere e per l’apprendimento di particolari tecniche di meditazione.


[37] Cfr.Gerald L.Schroeder, Genesi e Big Bang, trad.it.,Milano, 1996, p.78. Circa il ‘Big Bang’ come teoria più probabile sull'origine dell'universo: ibid., pp. 93-106.


[38] Cfr. L. Lederman – D. Teresi, La particella di Dio, trad. it., Mondadori, Milano, 1996, p.417


[39] Cfr. J.T.Fraser, Time, the familiar stranger, trad.it., Feltrinelli, 1991, pp.237 e ss.


[40] La nota formula di Einstein dice che l’energia (E) è uguale alla massa (m) moltiplicata per la velocità della luce (c) al quadrato. L’energia si misura in chilojoule (KJ), la massa in chilogrammi (Kg) e la velocità della luce in metri al secondo (m/s).


[41] Cfr. G.L. Schroeder, op. cit., p. 90.


[42] Cfr.L. Lederman – D.Teresi, op. cit., Leon Lederman, premio Nobel per la Fisica nel 1988, nel libro, dopo uno stimolante immaginario dialogo con Democrito, sviluppa un’analisi che lo porta sulle tracce della ‘particella di Dio’ vero e proprio primo ‘mattone’ per la costruzione dell’universo.


[43] Mosè Maimonide, medico, filosofo e teologo cordovese vissuto tra il 1135 e il 1204, interpretò la legge ebraica e si occupò dei fondamentali concetti biblici sulla scia dell’aristotelismo imperante, pur non condividendo l’idea aristotelica dell’esistenza ab aeterno del mondo. La citazione di Schroeder a sostegno della ‘creazione dal nulla’ si trova in M. Maimonide, La Guida dei Perplessi, II parte, cap.13.


[44] Cfr. G.L. Schroeder, op. cit., pp.83-84.


[45] Cfr. G.G.Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., pp. 270 e ss.


[46] Scrive in proposito G.G. Scholem, ibid. p.271: ‘Originariamente Luria parte da un pensiero assolutamente razionalistico, ed anzi, se si vuole, abbastanza naturalistico. Come può esistere un mondo, quando l’essere di Dio è dappertutto? Come può esistere in questo luogo concreto qualcosa di diverso da Dio, dal momento che Dio è ‘tutto in tutto’? Come può Dio creare dal nulla, se non può esservi un nulla, dato che il suo Essere penetra ogni cosa?’ 


sergio magaldi

IL "CANTICO DEI CANTICI" TRA ALCHIMIA E QABBALAH







Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici è stato oggetto, nel tempo, di diverse chiavi di lettura tra cui, in particolare, quella alchemica e quella kabbalistica[1].Per la prima, sarebbero facilmente individuabili nel Cantico le varie fasi dell'opera alchemica, per la seconda si tratterebbe di un'unione amorosa e cerimoniale in parte riconducibile al maithuna tantrico[2], senza tuttavia utilizzare di questo né le particolari tecniche, né l' arresto seminale.




L'interpretazione di senso alchemico ha suscitato sempre molto fascino e non c'è quasi testo di alchimia che non la richiami. Tra i più recenti, citerò Alchimia Pratica di Pancaldi. L'autore sottolinea come tutto il Cantico, a cominciare dal versetto I-5: "Sono nera, ma formosa", possa essere letto in chiave alchemica. "Per l' amante dell'arte -egli osserva[3]- l'apparire della nerezza è buon segno, è il segno che la putrefazione avviene, ed il fuoco, nei suoi regimi, rende manifesta la nuova forma." Per continuare poi con i versetti V-10 e V-11: "Il mio diletto è bianco e rosso, e si distingue tra mille. Il suo capo è oro puro, i suoi riccioli sono grappoli di palme, neri come il corvo...". "Chi conosce le immagini alchemiche dei filosofi -osserva ancora il Pancaldi[4]- sa subito di cosa si tratta in questi versetti, e chi parla."




Per un'interpretazione ben più antica e riferita alle diverse fasi della 'Grande Opera', si può ricordare il Commentario sul Cantico dei Cantici di Rabbi Issa'char Baer. Anche se il Rabbi presenta un commento nel secondo senso del 'Pardès' ,cioè il 'Remmez' allegorico[5], il traduttore, nel dedicare il libro al maestro e amico Gérard Encausse, altrimenti noto come Papus, non può fare a meno, nell' introduzione, di tracciare le linee di una interpretazione di senso alchemico del Cantico, a cominciare dal solito versetto I-5:"Sono nera ma bella...", individuandovi il soggetto e la materia dell' arte. Per continuare poi con i seguenti versetti: I-6: il 'lilium artis', II-4: la preparazione e la purificazione, II-7 e IV-6: il fuoco, III-1: la putrefazione, III-6: la sublimazione e la distillazione, da V-9 a V-14: la coagulazione e il cambiamento di colore, II-12 e VIII-4: la fissazione, VI-7: la moltiplicazione, VIII-8: l' aumento e la proiezione[6].




Non c’è dubbio che se ci incamminiamo su questa strada, se cioè procediamo in una lettura analitica e talora frammentaria del Cantico, ricercando ogni volta i simboli che abbiamo in mente, noi troveremo convincente la lettura in chiave alchemica dello Shir ha-shirim, ma ciò può valere anche per altre opere, per esempio per Meshalim o Proverbi della sapienza di Salomone. Se, però, esaminiamo il Cantico nel suo insieme, noi vi troviamo qualcosa di diverso. Due giovani in carne e ossa sono i protagonisti, la poesia che si manifesta dal parlare l’uno dell’altro, dallo stare l’uno con l’altro è ben reale, il loro amore suggellato da grande spiritualità è tuttavia anche fisico e, come lirica d’amore, il Cantico non teme il confronto con i più grandi versi della poesia classica e profana. D’altra parte, se di operazione alchemica si tratta, si tratta di un’operazione a due vasi, ma un’operazione a due vasi è veramente un’operazione alchemica?[7]




Le operazioni a due vasi possono essere di tre tipi. Un primo tipo si caratterizza nell'usare l'amore per 'lavare col fuoco', come si suole dire. Tecnicamente l'operazione è semplice: in un ambiente saturo di profumi, gli amanti si siedono, immobili, l'uno di fronte all'altra con l'unico compito di amarsi e di desiderarsi, soprattutto spiritualmente[8].E' appena superfluo sottolineare che tale operazione presenta almeno due rischi: il primo è che il fuoco utilizzato per 'lavare l'acqua' sia tanto forte da impedire l'amalgamazione del mercurio oppure che sia troppo debole per essere un vero e proprio lavaggio col fuoco. Un altro rischio è la sublimazione del desiderio e la sua trasformazione in un atteggiamento di devozione mistica.




Un secondo tipo di operazione a due vasi è un autentico atto di magia sessuale, con doppia uccisione dello zolfo e del mercurio[9].




Il terzo tipo di operazione a due vasi è un atto di magia cerimoniale dove il congiungimento degli amanti si trasforma in un rituale vero e proprio. Nella magia sessuale la donna è mero oggetto e quanto meno è riservata la sua condotta e spento il suo intelletto, tanto più l'operazione è in grado di riuscire: tra tutte, le predilette sono le fanciulle di bassa casta e le cortigiane[10]. Nella magia cerimoniale, al contrario, la donna deve essere giovane, bella e saggia: si tratta cioè di trasformare, utilizzando tecniche respiratorie e astrali, un mero atto biologico in un rituale e di fare della coppia umana, una coppia divina[11].




Tra le scuole orientali, oltre al tantrismo, anche il taoismo ricorre ad operazioni alchemiche a due vasi. L'uso di pratiche di magia sessuale o cerimoniale, tuttavia, appare nel taoismo finalizzato alla realizzazione dell'albedo (l'opera al bianco della tradizione occidentale), per conseguire la longevità e la salute del corpo. La Sezione Ventottesima dell'antico Libro delle prescrizioni mediche offre tutta una serie di ricette per curare le diverse malattie e non si stanca mai di sottolineare l'importanza del mercurio nella risoluzione delle principali affezioni corporee, ivi compreso l'invecchiamento. La cosa più sorprendente, alla luce del tradizionale maschilismo che sempre descrive le operazioni a due vasi, è poi contenuta nella parte della Sezione denominata Segreti dell'alcova di Giada, in cui il maestro Chung insegna alle donne come appropriarsi dello yang: "Lo yin nutrito dallo yang non c'è malanno che non allontani, non c'è viso a cui non dia colore, non c'è pelle che non renda vellutata, e non c'è vecchiaia a cui non rechi il dono immenso della giovinezza"[12]. Nel libro, le tecniche del congiungimento sono descritte con pignoleria, anche se sono tutte da ricondurre ad analogie cosmiche e alla corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo. L'uomo e la donna si uniscono secondo il ritmo del Cielo che ruota verso sinistra e della Terra che ruota verso destra. Come nella Tavola Smeraldina di Ermete Trismegisto ciò che è in alto è come ciò che è in basso e come nell'arte regia si tratta di fare della terra, il cielo e del cielo, la terra preziosa.




Appare dunque evidente come le pratiche orientali di magia sessuale e di magia cerimoniale, sin qui esaminate, facciano tutte riferimento all'alchimia. Tantrismo e Hatha-Yoga ad un'alchimia indiana preesistente all'alchimia diffusasi con la penetrazione islamica dell'India[13]. Il taoismo cinese ad un'alchimia i cui testi risalgono almeno al IV secolo av.C.[14]. In particolare, l'alchimia indiana è attestata da antichi testi sanscriti e si viene sviluppando come Rasayana, che, letteralmente, significa 'la via del succo(rasa) o del mercurio'. Quanto alle differenti specie di Yoga tantrico, la loro somiglianza con l'alchimia è ancora più netta. In effetti, sia il seguace dello Hatha-Yoga che quello del Tantra mirano a tramutare il proprio corpo in un corpo incorruttibile che chiamano 'corpo divino', 'corpo della gnosi', 'corpo perfetto' o, in altri contesti, 'corpo del libero nella vita'. Dal canto suo, l'alchimista persegue la trasmutazione del corpo e sogna di conservare indefinitamente la giovinezza, la forza e l'agilità. Inoltre, sia nel Trantra-Yoga che nell'alchimia il processo di trasmutazione del corpo comporta un'esperienza di morte e di risurrezione iniziatica. C'è infine da osservare che lo Yoga tantrico, proprio come il taoismo e l'ermetismo, si basa sulle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo: Kundalini Shakti è l'unica energia che si trova nel corpo umano come nell'universo, anche se nel macrocosmo prende il nome di Mahakundali. Il Vishvasara Tantra ripete con altre parole, ma con lo stesso significato, l'assunto ermetico della Tavola di Smeraldo: "Ciò che è qui è ovunque, ciò che non è qui non è in nessun luogo". Kundali è il serpente arrotolato che si manifesta tanto nei mondi quanto alla base della spina dorsale dell'uomo. Kundalini è il potere del serpente che 'si srotola', la sua energia si realizza in spiralità creative di mondi o 'uova di Brahma', rotanti nelle loro orbite circolari. Kundalini è energia cosmica che può ridestarsi anche nell'uomo e la sua struttura, all'interno dell'organismo umano, ricorda quella del caduceo di Mercurio. Senza il risveglio di questo fuoco interno nulla è possibile, ma, proprio come avviene in alchimia, non basta ridestare il 'fuoco del serpente' per operare la trasmutazione. Perché questa sia possibile, infatti, occorre che il serpente risvegliato e il fuoco ridestato sappiano provvedere alla giusta cottura del mercurio[15]. Quanto all'alchimia cinese, il suo rapporto con il taoismo è evidente dal momento che tale filosofia di vita 'risale sino alle confraternite di fabbri, che detengono la più prestigiosa tra le arti magiche e il segreto delle potenze prime'[16]. Si viene così sviluppando un'alchimia taoista che, mediante fabbri, confraternite, maestri e 'segreti del mestiere' trasmette il sapere alchemico: compito degli iniziati è 'sacrificare al forno' per ottenere la 'polvere del cinabro', l'equivalente cinese della 'polvere di proiezione' che, come nell'alchimia occidentale, può essere mutata in oro finissimo. Quest'oro farà dell'uomo comune l'Uomo Reale e dell'antica arte della metallurgia l'Arte Regia[17].




Ciò che accomuna le diverse alchimie della purificazione dei metalli, sia nell'area orientale che medio-orientale, è l'assimilazione della luce e del seme. Tale assimilazione è presente in molti miti indiani, cinesi, tibetani e iraniani. Tra i più diffusi è un mito tibetano delle origini: al principio gli uomini irradiavano direttamente la luce e Sole e Luna non esistevano. Quando negli uomini si destò l'istinto sessuale, in loro si spense la luce e i due luminari apparvero in cielo[18].




Da ciò che si è detto, è evidente come le operazioni a due vasi siano vere e proprie operazioni alchemiche. Non sembra dunque potersi rivelare grande differenza tra un'interpretazione di senso alchemico del Cantico e una interpretazione che, sia pure dichiaratamente kabbalistica, si prospetti come un'operazione a due vasi assimilabile al maithuna tantrico. D' altro canto, ove lo si devitalizzi dei suoi principi di senso, che tecnicamente sono la respirazione e l'arresto seminale e teoricamente è l'unità dello spirito, il maithuna cessa di essere un'operazione alchemica a due vasi per divenire niente altro che un'unione erotica o tutt'al più un atto di magia sessuale. In questa stessa prospettiva, il Cantico, il libro più santo dell' intera Torah, altro non sarebbe che una sorta di ierogamia finalizzata alla dissoluzione della diade uomo-donna nell'androgine originario, archetipo antropomorfico dell'Uno-Dio. Vero è che nella visione della Kabbalah, 'l'unione mistica', facendo discendere la Shekhina sugli sposi, si pone al servizio della procreazione[19]. Si spiega così anche la funzione del flusso seminale che, in luogo di essere arrestato, viene sparso abbondantemente, come nei rirtuali ierogamici dei primitivi, quale elemento propiziatorio di collegamento e di fecondazione tra Cielo e Terra, tra 'alto' e 'basso'.




Per quanto 'tranquillizzante' possa apparire questa chiave di lettura del Cantico, non sembra credibile sostenerla ad una più attenta osservazione, non tanto e non solo per l'arcaicità e la semplicità dei simboli che ogni ierogamia è costretta a riproporre, quanto perché l'idea della 'dissoluzione della diade' che la sorregge è puramente illusoria, almeno in un'ottica che si ispiri alla Kabbalah, dovendosi ricordare come lo Zohar[20] parli sempre di 'Deveqùth' cioè di 'comunione', 'unificazione', mai di 'dissoluzione' e di Uno. La stessa 'Ma'aseh Bereschith[21]che consente di raggiungere l'unificazione mediante l'unione dell'uomo e della donna, mantiene sempre l'Uno come trascendenza e come indicibile lontananza. Proprio su ciò si basa la differenza tra Kabbalah ebraica e i 'sistemi' sin qui ricordati. L'ermetismo alchemico, le varie filosofie dell'induismo e del buddismo, lo Yoga tantrico, il taoismo e ogni visione ierogamica dell'universo, pur nella diversità delle condizioni storiche da cui provengono, sono tutte concezioni dell'immanenza, dove ogni idea di rettificazione o di reintegrazione tende alla riscoperta del proprio originario e al desiderio dell'uomo di farsi Yogi, Dio, Uno, Spirito. Nella visione della Kabbalah, al contrario, sempre sussiste quella 'indicibile lontananza' che blocca sul nascere ogni aspirazione prometeica dell'uomo a farsi Dio o ad annullarsi in Lui. D'altra parte, nell'iniziazione kabbalistica, mutano anche il ruolo dell'uomo e della donna. In una lettura di senso alchemico la donna è 'l'elemento fluidificante', 'l'acqua corrosiva e terribile'. Prostituta o dea, la sua demonizzazione come la sua divinizzazione non hanno altro scopo che il tirocinio ascetico del neofita. In ogni altro caso la donna è, per così dire, vampirizzata a fini magici o terapeutici oppure è terra irrorata.




C'è nel Cantico, pur nella diversità, una sostanziale parità e dignità degli amanti: "Io ho desiderato d'essere all'ombra tua e mi vi sono posta a sedere"(I-3). E' questo il versetto citato da Giordano Bruno nel De umbris idearum a proposito dell'ombra e della luce. La donna è la polarità lunare, la luce riflessa, l'ombra della luce, necessaria quanto la luce stessa per la reintegrazione. Ciò che tuttavia potrà essere reintegrato non è l'Uno in quanto tale, ma l'Uno come 'unificato'. Si legge in Zohar: "Qui la donna si unisce al suo sposo. Quando si siano stretti l'un l'altro in un abbraccio, allora bisogna che le loro membra siano aderenti e i loro tabernacoli congiunti, come se fossero Uno e che la loro comunione si diffonda in ogni parte di loro secondo il desiderio del cuore, per potersi elevare nella direzione di Ain Soph[22], affinché tutto si unisca laggiù per fare di quelli dell'alto e di quelli del basso un desiderio solo"[23]. E' opportuno osservare che qui 'alto' e 'basso' non assumono lo stesso significato che hanno nella massima ermetica della Tavola di Smeraldo. Qui si vuol dire che quando Tiphereth[24]-lo sposo e Malchuth-la sposa si uniscono, si uniscono lassù anche Chochmah-il padre e Binah-la madre, tutti accomunati nel medesimo desiderio verso Kether. Resta del tutto fuori portata Ain-Soph, mentre la stessa aspirazione di raggiungere Kether, più che una possibilità effettiva, manifesta la volontà simbolica dell'unificazione. La differenza non è poca e spiega quel riferimento alla ‘indicibile lontananza’ che è caratteristica dell’iniziazione kabbalistica.




Conviene a questo punto tentare un’introduzione di senso kabbalistico alla lettura del Cantico:




"I tuoi amori sono migliori del vino"(I-2): una sposa invoca lo sposo il cui amore è giudicato essere migliore del vino. Il vino, nel linguaggio della Kabbalah, è il diffondersi della sephira Binah sino a Malchuth, passando attraverso Gheburah: la sephira Binah insieme a Chochmah e a Kether costituisce la triade suprema, questo amore migliore del vino è dunque una effusione che fluendo innanzi tutto da Kether giunge a Tiphereth lo sposo perché egli ne faccia dono a Malchuth la sposa. Tiphereth è nell'Albero della vita l'aspetto mascolino della divinità e porta il nome di sposo, di sole e di cielo. La sua immagine umana è quella di un re. Tiphereth è sephira centrale, pietra angolare e di equilibrio di tutto l'Albero, la sua funzione è quella del collegamento tra 'Alto' e 'Basso', tra 'polo nord' e 'polo sud' della psiche (la sephira nascosta Daath e Yesod), tra opposti (Chochmah e Binah, Hesed e Gheburah) e, infine, tra simili (Hesed e Hod, Gheburah e Netzach). Gli influssi che da ogni sephira fluiscono in Tiphereth, si riversano in Malchuth per mezzo di Yesod.




Malchuth è l'aspetto femminile della divinità, è la sposa che si congiunge allo sposo attraverso Yesod. Nell' universo è la Luna, nella parte alta dove si unisce a Yesod e, nella sua parte inferiore, è la terra, il regno, il campo, la vigna.




Yesod o fondamento è il membro maschile del corpo sephirotico e raccoglie, appoggiandosi a Tiphereth, gli influssi che provengono da tutti gli altri sephiroth per introdurli in Malchuth. Ha l'aspetto di un uomo nudo, forte e bello. Per la parte superiore, dove si unisce a Tiphereth, è il firmamento del cielo, per la parte inferiore, dove si unisce a Malchuth, è la Luna[25].Così, la Luna, in Malchuth, rappresenta l'aspetto femminile della divinità, mentre in Yesod diventa il membro maschile del corpo sephirotico: ciò si spiega non solo per la doppia polarità di Yesod, maschile in collegamento con Tiphereth, femminile in collegamento con Malchuth, ma soprattutto in riferimento ai noti versetti del Genesi dove è detto che Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza e subito dopo che lo creò maschio e femmina (I-27). Senza contare, poi, l'antico costume dei popoli nomadi di adorare la Luna come divinità maschile[26].




Continuando nella lettura del Cantico si giunge ai versetti I-5 e I-6: "Sono bruna ma bella..." e "Non fateci caso se sono un pò mora: è il Sole che mi ha abbronzata...", versetti citati assai spesso a sostegno dell' interpretazione di senso alchemico. In realtà, dal punto di vista della Kabbalah, i due versetti insieme anche al già richiamato versetto II-3: "All'ombra di lui che desideravo mi sono seduta..." rappresentano la luna che si veste d'ombra, che si nasconde. E' questo il momento del novilunio, quando scompare la luce e con lei si ritirano Grazia e Clemenza divine (la sephira Hesed) per lasciare il posto al Rigore (la sephira Gheburah). Il momentaneo ritrarsi della luce divina è il segno che l'uomo è lasciato a se stesso e in balìa dei propri peccati: "La luna s'è nascosta, ciò significa che domina il serpente malvagio che può nuocere al mondo, ma quando si desta la Clemenza, la luna riappare liberandosi della sua veste d'ombra"[27].




Quanto al versetto I-6 (...il Sole mi ha abbronzata), può anche intendersi tanto Malchuth come terra dove nella densità si oscura la luce del Sole, che Malchuth come luna le cui fasi oscure, così come la luce, dipendono dal Sole. cfr. Le Zohar, a cura di C. Mopsik, vol. I-t. II, Verdier, Paris 1984, pp. 128, 171-2, 246, 274, 328, 394-6, 429, 491 note comprese.




"I figli di mia madre..." dello stesso versetto I-6 sono le sephiroth del piano inferiore, tutte nate da Binah che è anche madre di Malchuth. E ancora il : "Guardare la vigna..." sembra un compito di Malchuth-Luna nei confronti di Malchuth-Terra. Il versetto I-8: "A una cavalla dei cocchi di Faraone io ti paragono..." sembra alludere alla raffigurazione mitica della Luna piena[28]. Il versetto I-11: "Noi ti faremo dei fregi d'oro con cubetti d'argento..." è un altro riferimento alla bellezza lunare della fanciulla[29]. Nel versetto I-15: "Gli occhi tuoi sono di colomba..." è contenuto un ulteriore riferimento alla Luna. La Dione greca e la Diana dei Latini sono altrettanti nomi della Luna o dea della colomba. L' identificazione di luna e colomba è in realtà molto più antica e si deve far risalire al mito pelasgico e cananeo della creazione[30]. In tale mito, la luna ha una doppia funzione: è matrice cosmica che emerge dal Caos ed è al tempo stesso il luminare che oggi conosciamo. Come matrice cosmica il suo nome era presso i Sumeri Iahu o 'divina colomba'. Uscita dal Caos, la dea è fecondata dal vento del nord o Borea, poi identificato, nei miti ebraico-egizi e nel mito orfico con il serpente Ofione. Volando sul mare, la dea prese la forma di una colomba e depose l'Uovo Universale, ordinando poi ad Ofione di arrotolarsi sette volte intorno all'uovo: questo infine si schiuse e ne uscirono i sette pianeti.




Nel secondo capitolo c'è un duplice riferimento al melo, come albero (II-3) e come pomo (II-5). Il melo è pianta di Tiphereth, lo sposo solare e l'intera immagine evocata richiama il Giardino delle Esperidi della tradizione occidentale e l'undicesima fatica di Ercole, l'iniziato solare. Particolarmente importante, in chiave sephirotica, è poi il versetto II-6. Dice la sposa: "La sua sinistra è sotto il mio capo, la sua destra sta per abbracciarmi...". Qui il riferimento è in Zohar: la sinistra di Tiphereth è Gheburah, la sua destra è Hesed, quando Tiphereth e Malchuth si uniscono è la Grazia (Hesed che è a destra dell' Albero della vita) a sostenere Malchuth, mentre il Rigore (Gheburah o Din che è a sinistra) si ritrae[31].




I versetti che seguono, da II-7 a II-17 manifestano ancora il rapporto tra i due luminari: Sole-Tiphereth e Luna-Malchuth: ora è il Sole che non vuole che la Luna si svegli, ora è la Luna che vede il Sole "saltellare tra i monti", venir giù, cioè dalle alture dove dimora Kether e ancora: è la Luna che vede il Sole "far capolino dalla finestra, spiare tra le grate", poi è il Sole che la insegue tra le fessure delle rocce[32]. Infine è la Luna che invoca lo sposo prima che giunga la notte: "Prima che muoia il giorno e si allunghino le ombre, ritorna" (II-17)




Nel successivo capitolo del Cantico, la fanciulla va in cerca del suo amante: è notte profonda e durante la notte Tiphereth e Malchut non sono più insieme. "Le guardie di ronda" del versetto III-3 sono forse i sette palazzi[33]. che circondano Malchuth; il ritrovamento e l'abbraccio degli amanti avviene infine nel momento aurorale (III-4), allorché nuovamente Malchuth introduce lo sposo nella casa della madre Binah [34].




Il versetto III-6: "Chi è costei che sale dal deserto, simile a colonne di fumo, profumata di mirra e d'incenso..." è in chiara simbologia con la simbologia lunare dei profumi e con l'olocausto dei noviluni. Infine, gli ultimi tre versetti del capitolo si ricollegano tutti all' Albero della vita: il legno con cui è fatto il baldacchino del re viene dal Libano, cioè da Kether. Salomone, il re, cioè Tiphereth, è seduto nel centro dell'Albero: le colonne d'argento di cui parla il Cantico sono i sephiroth alla sua destra, la spalliera d'oro è la colonna centrale che risale a Kether, il sedile di porpora è Yesod[35]. Nel IV capitolo, lo sposo esalta la bellezza della sposa sino al momento dell'unione. Tutta la simbologia femminile e lunare è qui riproposta persino nel particolare del melograno, simbolo a un tempo di Yesod e di Malchuth, della luna e della terra, della morte e della risurrezione.




Su questa scia si potrebbe continuare a lungo se questo fosse un vero e proprio studio sul Cantico dei Cantici, ma l'intento è piuttosto quello di mostrare la fondatezza di un interpretazione del Cantico dal punto di vista della Kabbalah, tenendo altresì conto che un'interpretazione alchemica male si concilia con la tradizione religiosa degli Ebrei e che proprio nell'ultimo capitolo del Cantico traspare il nome stesso del Tetragramma[36].E' vero, d'altra parte, che nel quinto versetto del penultimo capitolo: "Il tuo capo è come il Carmelo e le chiome del tuo capo sono come la porpora del re legata nei canali" le due interpretazioni, almeno nel commento dello Zohar, si conciliano e che, se collochiamo tutti i 'sistemi' iniziatici sin qui ricordati sull' Albero della vita, ci accorgiamo che conducono tutti a Tiphereth, cioè alla realizzazione della Grande Opera. In ciascuno, tuttavia appare diverso il cammino per raggiungere la sephira centrale dell' Albero. Se ascendiamo infatti per i due sentieri[37] centrali: il trentaduesimo o sentiero di Saturno, che unisce Yesod a Malchuth, e il venticinquesimo che va da Yesod a Tiphereth, noi operiamo secondo i principi dell'alchimia ermetica. Se utilizziamo per l'ascesa le varie tecniche di magia sessuale o di magia cerimoniale, dobbiamo procedere 'a serpentina', sino a raggiungere Tiphereth dal lato sinistro dell'Albero. Passiamo in tal caso per i sentieri ventinovesimo, ventisettesimo e ventiseiesimo a meno che, all'ultimo momento non prendiamo la scorciatoia offerta dal ventiquattresimo sentiero che da Netzach sale direttamente a Tiphereth. E' questa però una strada assai difficile o addirittura impraticabile perchè il ventinovesimo sentiero ci appesantisce e ci riempie di scorie.




Per tentare di raggiungere Tiphereth dal lato sinistro dell'Albero ci sono altre due strade: quella che passa per i sentieri trentunesimo e ventiseiesimo e quella che passa per i sentieri trentaduesimo, trentesimo e ventiseiesimo. Anche se il secondo è un sentiero più bilanciato dell'altro, sono entrambi sentieri della mano sinistra e della magia.




Per salire a Tiphereth, a questo punto, non resta che una strada: quella che passa per i sentieri trentaduesimo, ventottesimo e ventiquattresimo. Per la verità, un'autentica ascesa a Tiphereth, come si è visto dalla lettura del Cantico, presuppone l'unificazione di tutte le sephiroth. In altri termini, per ascendere lungo l'Albero occorre non solo saper salire a Tiphereth, ma una volta qui dobbiamo ricevere l'illuminazione che ci consenta di seguitare a viaggiare per tutti i sentieri che corrono tra la terza e la decima sephira. Solo allora saremo stabilmente in Tiphereth e avremo infine realizzato l'Opera.




Non è tuttavia indifferente il modo di salire per la prima volta a Tiphereth. In definitiva, non ci sono che tre sentieri che conducono alla sephira centrale: il venticinquesimo, proprio dell' alchimia, il ventiseiesimo, comune alle varie forme di magia rossa e nera e, infine, il ventiquattresimo attraverso il quale può tentare di salire l'iniziato della Kabbalah il quale abbia compreso il significato di santità che la tradizione religiosa degli Ebrei riconosce al Cantico dei Cantici.






















[1]Sulle principali interpretazioni del Cantico, cfr. G.Dreifuss, Maschio e femmina li creò - l'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, Giuntina, Firenze 1996, pp.81-111.








[2]Sul significato del maithuna nel tantrismo cfr. M.Eliade, Tecniche dello Yoga, Boringhieri, Torino 1984, pp. 191 e ss.








[3]A.Pancaldi, Alchimia pratica, Roma 1983, p.67.








[4]Ibidem








[5]Gli Ebrei distinguevano nei libri sacri quattro sensi distinti. Il primo era il Pashut o senso letterale, il secondo il Remmez o senso allegorico, il terzo il Derash o senso simbolico, infine il quarto era il Sod con cui esprimevano il senso segreto. Le quattro consonanti iniziali costituiscono per Notariqon una nuova parola: PRDS, divenuta poi con l' introduzione delle vocali, Pardès e tradotta generalmente con Paradiso.








[6]RABBI ISSA'CHAR BAER, Commentaire sur le Cantique des Cantiques, Archè, Milano 1979, riprod. ediz. Paris 1897, trad. dall' ebraico di March Have, pp.20-21.








[7]‘Non c’è che una sola cosa, un solo vaso, un solo lavoro’ ricorda nei Principi per l’opera Karl von Eckhartshausen (cfr. Alchimia Pratica, cit.,p.175 )








[8]In proposito, conviene ascoltare Abraxa (Introduzione alla Magia, Gruppo di Ur, Roma 1971, vol. I, pp. 243 e ss.): 'Il fuoco dell'Eros, abitualmente polarizzato verso il basso, ossia verso il sesso e la natura animale, va isolato nel corpo fluidifico ed alimentato tanto da produrvi lo stato di esaltazione necessario affinché si costituisca quel mercurio androgine e igneo.......L'ora più propizia è verso l'alba. Sedetevi l'uno di fronte all'altra, immobili, tu faccia ad Oriente.......amarsi, desiderarsi, così senza movimento, senza contatto, in modo continuo, aspirandosi reciprocamente e 'vampiristicamente', in una esaltazione che va avanti senza tema di possibili zone di vertigine. Avvertirai un senso di amalgamazione effettiva, un sentire l'altra in tutto il corpo, non per contatto, ma in un amplesso sottile che la sente in ogni punto e se ne compenetra come un'ebbrezza che si impossessa del sangue del tuo sangue. Ciò ti porta, al limite, alla soglia di uno stato di estasi, che è quel punto di equilibrio magico in cui il fluido ignificato e supersaturo può essere fulmineamente attratto e proiettato nell'idea.'








[9]Nel IV Libro del Pentateuco è condannata ogni magia sessuale come atto di iniziazione diabolica. La purificazione avviene solo con l'uccisione reale degli amanti. Si legge in Numeri, XXV, vv.3-8: "Israele si congiunse al Bà'al Pe'or e l'ira del Signore si accese contro Israele. Il Signore disse a Mosè: "Prendi tutti i capi del popolo e ordina che vengano impiccati davanti al Signore, di fronte al sole, affinché l'ira accesa del Signore retroceda da Israele". Mosè disse ai giudici di Israele: "Uccida ognuno i suoi uomini che hanno seguito il Bà'al Pe'or". Ed ecco che viene uno dei figli di Israele e presenta ai suoi fratelli una Midianita, agli occhi di Mosè e agli occhi di tutta l'assemblea dei figli d'Israele, i quali piangevano all'ingresso del padiglione della testimonianza. Lo vide Pinechas, figlio di El'azar, figlio del sacerdote Aron, si alzò di mezzo all'assemblea, e prese in mano una lancia; entrò dietro l'uomo di Israele nella tenda e trafisse tutt'e due, l'uomo di Israele e la donna sul giaciglio di lei, e s'arrestò la mortalità dai figli di Israele."(Assemblea dei Rabbini d'Italia, Pentateuco e Haftaroth, IV Ediz., con trad. it. e note, Roma 5749-1989, pp. 266-7)








[10]In un testo di autore tantrico si esalta la dombi o lavandaia: "O dombi! Tu hai tutto insozzato!...Certi ti chiamano laida. Ma i saggi ti stringono al loro petto. O dombi! Non c'è chi sia più dissoluto di te."(cfr. N.Shahidullah, Les Chants mystiques de Kanha, Paris 1928, p.120)








[11]"L'amante -scrive De laVallée-Poussin in Buddismo, studi e materiali, Bruxelles 1898, p.135- sintetizza tutta la natura femminile, essa è la madre, la sorella, la sposa, la figlia...". Sull'intera questione vale la pena di ascoltare M.Eliade (Tecniche dello Yoga, cit. pp.191 e ss.): "Il maithuna transustanzializza gli attori, li trasforma in dei, meglio ancora li porta a coincidere con le modalità ultime dell'essere.......Il rituale abolisce non soltanto lo spazio profano(.......) ma, come tutti i riti veri, abolisce altresì il tempo profano, il tempo che scorre. Ed il maithuna si realizza nel tempo mitico, 'ab initio', cioè nell'istante trans-temporale in cui ebbe luogo la creazione. Tutti i rituali proiettano coloro che li praticano in quello 'istante' aurorale, perché un rituale è, in ogni caso, la ripetizione di un gesto divino, astorico, realizzato in 'illo tempore', coincidente cioè col gesto archetipale, con la creazione.......Il rituale del maithuna appare il coronamento di un lungo e difficile tirocinio ascetico. Il neofita deve padroneggiare a perfezione i suoi sensi, e per riuscirvi deve accostarsi un pò alla volta alla 'donna devota'(nayika), e mediante una drammaturgia iconografica interiorizzata, deve trasformarla in dea. Onde raggiungere lo scopo, egli deve, per i primi quattro mesi, servirla come un domestico, deve dormire nella camera di lei e poi ai suoi piedi. Per altri quattro mesi, sempre continuando a servirla, dormirà nel letto di lei, dal lato sinistro. Per altri quattro mesi ancora dormirà dal lato destro, dopo di che dormiranno avvinti, ecc... Tutti questi preliminari mirano a 'rendere autonoma' la voluttà....... e a dominare i sensi...".








[12]A.Ishihara-H.S.Levy, Ventottesima Sezione del Libro delle prescrizioni mediche, in Il Tao del Sesso, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971, p.35. Yang e Yin rappresentano rispettivamente, nella tradizione orientale, l'energia maschile attiva e solare e l'energia femminile ricettiva e lunare.








[13]M.Eliade, op.cit., pp.183 e ss.








[14]M.Eliade, Arti del metallo e alchimia, Boringhieri, Torino 1987, pp.97 e ss.








[15]Su Kundalini e sullo Yoga tantrico cfr. A.Avalon,Il potere del serpente, Ed. Mediterranee, Roma 1987, rist.








[16]M.Granet, Danses et Légendes de la Chine ancienne, Paris 1928, p.611








[17]Sull'alchimia cinese cfr. M. Eliade, Arti del metallo e alchimia, Boringhieri, Torino 1987, cap.11, pp.97-112.








[18]Cfr. M.Eliade, Mefistotele e l'androgine, Roma 1989, rist. cap.I : 'Esperienze della luce mistica', pp.15-70. Un famoso passo della Igueret ha qodesh (Lettera sulla santità) di autore anonimo rivela la stessa concezione nella tradizione religiosa e filosofica (Kabbalah) degli Ebrei: "...quando lo sposo si accoppia con la sposa e il suo pensiero si unisce con le entità superiori, è attirata in giù la luce dell'alto e questa luce si colloca sulla goccia e dirige la propria attenzione su di lei e a lei pensa.......e questa stessa goccia è legata in modo permanente alla luce risplendente..."








[19]Scrive in proposito Moshe Idel (Cabala ed erotismo, Mimesis, Milano 1993,. pp.22-23): “Lo sposo deve elevare il proprio pensiero sino alla sua fonte, al fine di compiere una unio mystica, che sarà seguita dalla discesa di forze spirituali dall'alto sul semen virile; qui, ascencio mentis, unio mystica e reversio sono delle tappe che precedono la concezione ideale.




Vale la pena di paragonare questa concezione mistica dell'atto sessuale con il punto di vista tantrico. In entrambi i casi, l'atto sessuale dev'essere effettuato con molta attenzione; un certo stato di coscienza mistica viene colpito durante l'atto corporeo. Tuttavia, l'utilizzo di pratiche sessuali per vivere delle esperienze sessuali è evidentemente differente. L'unione mistica del pensiero con la propria fonte è nella cabala, strumentale in rapporto allo scopo principale:il concepimento; la conoscenza spirituale è solo una fase preparatoria nel processo della procreazione che dev'essere compiuto con la cooperazione della Shekhina. Nel sistema tantrico, lo stato di coscienza mistica, la bodhicitta, è un fine in sé, al punto che lo stato di perfezione è ottenuto tramite l'arresto del flusso del semen virile. Al contrario, l'atto sessuale è considerato dai cabalisti come un atto che dona la vita. Presso i maestri del Tantra, l'eiaculazione è vista come una "morte". Mentre i cabalisti pongono l'unione mistica al servizio della procreazione, il Tantra pone la relazione sessuale infeconda al servizio della coscienza mistica.”








[20]Il Sepher ha Zohar o Libro dello Splendore è opera centrale della letteratura kabbalistica. Si compone di 24 Sezioni oltre ad alcune altre, note ai soli kabbalisti. In realtà non si tratta di un libro ma di un vero e proprio corpo completo di letteratura unito sotto un unico titolo. Sugli argomenti, la data di composizione, l'autore cfr. G.G.Scholem, La Cabala, Ed.Mediterranee, Roma 1989, rist., pp.215-244.








[21]Opera della Creazione. Trattasi della cosmologia mistica dell'epoca della creazione il cui insegnamento era riservato solo a pochi eletti.








[22]Nella visione della Kabbalah Ain-Soph indica l'impossibilità di cogliere l'origine e il fine ed ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere dappertutto e tutto risolvere in se stesso. L'Ain ebraico, composto dalle lettere Alef-Yod-Nun non è privativo di qualità ma di luogo, in nessun caso, dunque, Ain Soph-Infinito può essere confuso con l'Apeìron di Anassimandro. Il Sepher ha Zohar così parla di Ain Soph: "Ain-Soph, Infinito: in lui non c'è alcuna apertura, ogni interrogativo è vano, come ogni idea per le possibilità del pensiero"(Zohar, I-21a). Più avanti (Zohar, II-239a) Ain-Soph è così definito:"Chiusura inaccessibile e sconosciuta (...) resiste ad ogni possibile conoscenza e non se ne può fare né una fine né un principio".








[23]Zohar, II-216 a-b. La traduzione del passo, come quella dei passi riportati nella nota precedente, è mia.








[24]Tiphereth è sephira centrale dell' Albero della vita: un diagramma costruito su tre colonne e sul quale si collocano dieci sephiroth, in nessun caso da intendersi come 'emanazioni' dell'Uno, bensì come 'forme' o possibilità della manifestazione. Corrispondono, da sphr-contare, ai primi dieci numeri da cui tutti gli altri sono formati (Cfr. in proposito il Sepher Yetzirah, il più antico tra i testi della letteratura kabbalistica. Ottima la versione italiana a cura di Gadiel Toaff: Il libro della Creazione, Carucci, Roma 1988). Circa i sephiroth e la loro collocazione sull'Albero: alla colonna centrale appartengono: 1 Kether-Corona, 6 Tiphereth-Armonia, 9 Yesod-Fondamento, 10 Malchuth-Regno. Alla colonna di destra: 2 Chochmah-Saggezza, 4 Hesed-Grazia, 7 Netzach-Vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah-Intelligenza, 5 Gheburah-Rigore, 8 Hod-Splendore.








[25]Sul significato del vino e di Binah, sull'identificazione di Tiphereth con il cielo e col sole, di Malchuth come luna e come terra, di Yesod come firmamento e come luna cfr. Le Zohar, a cura di C. Mopsik, vol. I-t. II, Verdier, Paris 1984, pp. 128, 171-2, 246, 274, 328, 394-6, 429, 491 note comprese.








[26]La luna assume diversi aspetti nella mitologia di tutti i popoli: è Selene nello splendore del plenilunio, è Atena o Minerva come rischiaratrice e guida della notte, è Artemide o Diana nel suo crescere o calare, è Leto o Latona nel novilunio, è Lilith o Ecate nel suo aspetto notturno e nascosto. Lilith era l'antica dea sumera della morte e la tradizione biblica la identifica con la prima moglie di Adamo, poi trasformata in strega notturna e prostituta del demonio. Lilith è anche la Luna nera degli astrologi. La Kabbalah la pone in analogia con Saturno come apportatrice di malinconia e di 'umor nero' e come creatura lussuriosa e diabolica. La luna è ancora Shin, il dio maschile della tradizione assiro-babilonese. E' maschio perché assume il ruolo di grande fecondatore della terra.








[27]Le Zohar, ed.cit. vol.I-t.II, p.128. La traduzione è mia.








[28]Selene o luna piena è spesso rappresentata come una bella donna a cavallo. Così ce la mostra Fidia alla base del suo Zeus di Olimpia, tale si trovava sull'altare di Pergamo e in molte pitture vascolari. Selene, in veste di fanciulla nel pieno fulgore della sua bellezza, appare su un carro tirato da cavalli sopra il frontone orientale del Partenone mentre al lato opposto è posta l'effigie di Elios-Sole. I cavalli, come i giovenchi e gli altri animali forniti di zoccoli, erano sacri alla Luna perché lasciavano sul terreno un'impronta a forma di primo quarto.








[29]Il versetto richiama un celebre frammento di Saffo, la grande poetessa del VI Secolo av.C. :"Gli astri d'intorno alla leggiadra luna / nascondono l'immagine lucente, / quando al suo colmo più risplende, bianca / sopra la terra"(trad. di S.Quasimodo). L'immagine della luna che brilla in cielo "inter minores ignes" è anche ripresa dal poeta latino Orazio (Carm. I, 12, 48).








[30]R. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1983, pp.21-22.








[31]Le Zohar, ed.cit. p.401, 163 b.








[32]In questo versetto (II-14): "O colomba mia che stai nelle fessure delle rocce..." c'è un richiamo alla luna che si nasconde: Lete o Latona che significano 'la nascosta'. Noto è il mito greco: fecondata da Zeus e inseguita, per vendetta di Era dal serpente Pitone, Latona vaga per il mondo, sempre nascondendosi, finché trova riparo a Delo dove partorisce la dea Artemide e, tra un ulivo e una palma di datteri, dopo nove giorni di travaglio, anche il dio Apollo. In Egitto e in Palestina, Latona era onorata come Lat, dea della fertilità, dell'ulivo e della palma da datteri. Nei versetti VII-7 e VII-8 del Cantico il corpo della fanciulla è detto simile ad una palma.








[33]I Palazzi o Hekhaloth sono, nell'antica tradizione mistica degli Ebrei, le dimore custodite dagli angeli e degne di coloro che meritano di scendere nella Merkabah (Carro) per contemplare i misteri. Corrispondono, nel corpo dell'uomo, ai sette centri di consapevolezza o chakras della tradizione induista. Sui Palazzi, cfr. A.Ravenna, Cabbala ebraica. I sette Santuari, Tea, Milano 1990. Sui chakras, di ottima fattura: Anodea Judith, Chakras - Ruote di vita, trad. it., Armenia, Milano 1994.








[34]Zohar, cit., 178 a, pp.478-479.








[35]Ibidem, 162 b, p.397 nota compresa. Sull'olocausto dei noviluni cfr. anche: Paralipomeni, II-4.








[36]Ibidem, 141 a, p.278 e 147 a, p.317. Il Tetragramma è il nome sacro di Dio composto di quattro lettere: lo Yod, la Wau e la He che è ripetuta due volte. Lo stretto rapporto esistente tra sephiroth




e lettere dell'alfabeto ebraico è alla base del Sepher Yetzirah (cit.supra).








[37]I Sentieri o Canali dell' Albero della vita collegano le sephirot tra di loro. Ciascun sentiero è caratterizzato simbolicamente da una lettera dell'alfabeto ebraico. Sono in tutto 32, perchè alle 22 lettere dell'alfabeto si aggiungono le dieci sephiroth.








SERGIO MAGALDI