domenica 11 dicembre 2011

IL GOVERNO MONTI E LA CASTA DELLE CASTE



Il colubro, l'innocuo serpente del caduceo di Esculapio,

il suo occhio indaga e rivela le cose nascoste.


Dopo aver individuato l’estrema debolezza del recente decreto governativo “Salva Italia”, nella spirale recessiva che si scatenerà nel paese e nella rivolta sociale che probabilmente ne deriverà - una manovra che piace all’Europa che conta, meno ai mercati, che non gradiscono investire in titoli pubblici di paesi in recessione - occorre fare qualche ulteriore riflessione.

Il presidente Monti “ha preso” lì dove era facile prendere, senza soluzione di continuità rispetto ai governi che lo hanno preceduto, sia di centro-destra, sia di centro-sinistra. Perché? L’uomo non ha “fantasia”? Condivide la logica classista di coloro che lo hanno preceduto? Era nell’impossibilità di fare altro, prigioniero com’è della “grande coalizione”? La risposta è forse impossibile. E porsi simili interrogativi é addirittura inutile, dal momento che il governo Monti ha mantenuto saldamente la consueta tendenza di far pagare i poveri per salvare i ricchi, senza intervenire sull’aliquota Irpef dei redditi più alti per alleggerire quella dei redditi medio-bassi. Conti alla mano, facendo addirittura il contrario.

Sembra perfino anacronistico, in questo discorso, usare categorie ottocentesche, come “poveri” e “ricchi”. Ma tant’è, se è vero che nel nostro Paese il 10% della popolazione controlla oltre la metà della ricchezza nazionale e se quella che un tempo le tante “vestali” della sinistra già lamentavano come una “forbice salariale” sin troppo larga, negli ultimi anni si è andata ulteriormente allargando come in nessun altro paese d’Europa.

Un inciso: di recente è stato istruttivo “scoprire” cosa lo stato italiano, che spende oltre 30 miliardi di euro all’anno solo per la politica e centinaia di milioni per le liquidazioni dei propri “boiardi”, intenda per reddito medio-basso. A giudicare dalle accalorate dispute di oggi sulla indicizzazione delle pensioni, si può scommettere che un reddito basso è quello sotto i 936 euro al mese e uno medio quello sotto i 1400 [lordi!!!]. Sembra incredibile ma è così e persino partiti e sindacati legittimano queste cifre. In quale paese vivono le classi dirigenti? Non si sono accorti che gli italiani, soprattutto a reddito fisso, che sono la maggior parte, ricevono ancora le “vecchie lire”, ma sono costretti a pagare in euro?

Immaginiamo, tuttavia, per un attimo che il governo Monti avesse preso misure per ridistribuire il reddito, diminuendo l’aliquota Irpef per i redditi medio-bassi e alzandola per quelli più alti. Nessuno pretende che il presidente Monti abbia la vocazione di un Robin Hood, né gli si chiede di “rubare ai ricchi per dare ai poveri”, ma certo, mai come questa volta, c’era l’opportunità per inaugurare in Italia una politica di maggiore giustizia sociale. Quando i politici torneranno a gestire il potere in prima persona, niente sarà più possibile. Sento a questo punto levarsi la madre di tutte le obiezioni: la fascia dei redditi più alti, così incredibilmente ristretta in percentuale, non è in grado di assicurare, attraverso le tasse, un gettito per le casse dello stato, pari a quello fornito dalle fasce di reddito inferiore. Perfetto. A giudicare dal prelievo fiscale ciò è abbastanza vero. Come è vero che, stando ai redditi dichiarati, gli italiani siano un popolo di poveracci! Eppure, c’è chi a buon diritto, per essere il beneficiario di larghe fette di consumo, sostiene il contrario: “Gli italiani, nella media, sono benestanti e semmai è lo stato ad essere povero”. A parte il fatto che desta sorpresa che a fare tali dichiarazioni siano politici che hanno governato il Paese e che avrebbero dovuto avvertire l’esigenza di porre riparo alla contraddizione, resta da chiedersi come mai sia potuto accadere che lo stato sia sempre più povero e una parte dei cittadini sempre più ricca. Di sicuro, c’entrano gli sprechi, facilmente misurabili al confronto con gli altri paesi europei. E non solo, perché il ceto politico più illuminato scopre all’improvviso che il fenomeno dipende anche dall’evasione fiscale, solo nel Sud d’Italia condivisa dal 65% della popolazione [Dato ufficiale. Resta il mistero di come una volta accertata l’entità dell’evasione, non sia possibile combatterla efficacemente]. Eppure, ogni governo italiano ha sempre dichiarato il fermo proposito di combattere l’evasione, ma come osservava acutamente qualche giorno fa, in un talk-show, il sindaco di Verona, non viene adottata l’unica misura in grado di combatterla davvero, come per esempio negli Stati Uniti e in Germania: se ogni cittadino potesse dedurre la maggior parte delle spese, l’evasione parziale, più grave forse di quella totale, finirebbe con l’emergere, grazie ai facili “controlli incrociati”. Perché questo è un Paese dove l’evasione fiscale è capillare, un vero e proprio sport nazionale in cui si cimentano, in gran parte, i professionisti delle arti e dei mestieri e non solo.

Tutto ciò premesso, lo scenario di un Monti che alza le aliquote dei redditi più alti per diminuire quelle dei redditi più bassi e accompagna la misura con controlli realistici, e non con quelli cervellotici e scarsamente interessati che si appresterebbero a fare le banche, sarebbe oggettivamente possibile? Credo proprio di no e questo senza entrare nel merito delle inclinazioni e della volontà dell’uomo Monti, come dicevo prima. Proposte simili non avrebbero la fiducia di questo parlamento, formato in buona parte, oltre che da funzionari di partito e poco altro, dalla casta delle cosiddette libere professioni che mai accetterebbe di vedere controllate le proprie finanze, tant’è che per lo più, una volta eletti in parlamento, i suoi membri non chiudono gli “Studi”, ma vi lasciano fedeli sostituti che, per la nuova posizione assunta dal titolare temporaneamente assente, avranno il merito di moltiplicare le entrate.

Ne volete una prova? Nel decreto, il Presidente Monti aveva timidamente introdotto un comma che fissava al 31 Dicembre, dopo le opportune valutazioni, la data per adeguare la retribuzione dei parlamentari italiani a quello medio dei sei paesi europei con gli stipendi più alti per i cosiddetti rappresentanti del popolo. Di una riduzione, dunque si tratta, giacché attualmente l’Italia non è solo il paese europeo con il maggior numero di parlamentari, ma anche quello che li paga di più. Quale è stata la reazione della casta delle caste, quella sempre più ineffabile della politica, quando ha scoperto che nel decreto del governo Monti, sotto un piccolo comma si annidava l’occhio lungimirante della serpe? Tutti i parlamentari e i partiti di cui fanno parte, pare con l’eccezione dell’Italia dei valori [IDV], hanno gridato allo scandalo, ritenendo che ogni misura che riguardi i parlamentari, secondo una logica corporativa impossibile da sconfiggere nel nostro Paese, debba essere di competenza esclusiva del parlamento. Con ciò, il presidente Monti è avvertito di togliere al più presto la “serpe” dal decreto “Salva Italia”. Quasi mi verrebbe voglia di auspicare, nonostante la convinzione che si tratti di un provvedimento recessivo e poco equo, che Monti abbia il coraggio e l’autorevolezza di chiedere in parlamento la fiducia sul decreto così com’è.


sergio magaldi

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