Il Festival della Politica è
ormai prossimo a chiudere la sua prima fase, mentre la seconda si riaprirà con
la conta dei voti. Dopo una settimana di pausa della campagna elettorale
televisiva – causata dalle dimissioni del Papa, che hanno generato una serie
infinita di servizi e documentari sonnolenti, e dalla celebrazione di un altro
Festival che, tra canzone vincitrice e
cartelli parlanti, ha avuto il merito di portare all’attenzione del pubblico il
problema dei gay che si vogliono maritare – sono infine tornate le lunghe
maratone di Vespa a “Porta a Porta” con la faccia dei tre maggiori protagonisti
in competizione: Bersani, Berlusconi e Monti, naturalmente ciascuno per conto
proprio, perché di confronti tra candidati, manco a parlarne…
In particolare, solo a tarda notte s’è concluso ieri lo show
del presidente del consiglio in carica. Nulla di nuovo sotto il sole, se non
l’ammissione da parte dell’ineffabile presidente di essere stato chiamato per
risanare la finanza pubblica [leggi: dare soldi alle banche, togliendoli
a chi ne ha di meno], aggravando contestualmente e consapevolmente la crisi di
produttività del Paese e il malessere economico e sociale della maggioranza
degli italiani. Poco altro è emerso dal linguaggio, come al solito tra il
robotico e il notarile, dell’illustre professore della Bocconi nonché senatore
a vita per meriti patriottici [?!]. E in quel poco, la ferma volontà di
proseguire nell’attività riformatrice che tanto beneficio ha già recato al
popolo italiano: l’ ideale – sono
parole sue – è un governo di cui egli sia la guida e il faro centrale,
appoggiato a sinistra da un PD che abbia tagliato con l’eversione interna ed
esterna affidandosi ad un segretario come Enrico Letta, e a destra da un PDL a
guida Angiolino Alfano e capace di relegare Berlusconi se non nelle cantine del
Palazzo, almeno in un attico sopra le nuvole. Il tutto suggellato dalla
conferma al Quirinale di un uomo con cui egli s’intende a meraviglia, perché
tra moniti e precisazioni notarili si esprime in un linguaggio simile al suo.
Ma quest’ultimo desiderio sarebbe la ciliegina sulla torta e immagino che Monti
si accontenterebbe anche solo della torta.
Uno scenario meno
irreale di quanto sembri, nell’ipotesi formulata dallo stesso Monti di una
contemporanea impossibilità di PD e PDL di poter disporre di una maggioranza in
Senato. In tale prospettiva, m’è sembrato [a giudicare da talune osservazioni
dei giornalisti presenti, forse non è sembrato solo a me] che egli strizzasse
addirittura l’occhio ai grillini: “Le sole proposte politiche nuove per gli
italiani sono la mia formazione e quella di Beppe Grillo”, ha sostenuto
candidamente il presidente in carica, lasciando intendere che le premesse che possono
trasformare in realtà il suo futuro ideale di governo sono tutte nella quantità
di voti che il Movimento 5 Stelle riuscirà a strappare a PD e PDL,
impedendo ad entrambi i partiti di raggiungere la maggioranza in almeno uno dei
due rami del Parlamento.
Il resto della nottata politica televisiva è trascorso nella noia
e tra gli sbadigli probabili dei telespettatori, nonostante il tentativo di
rianimarne lo spirito con l’omaggio di Monti alle graziose [si fa per
dire] e brave ministre del suo governo, con la prospettiva di ritrovare
tra i suoi futuri ministri l’imperdibile Ilaria Borletti Buitoni di Crozza
memoria, con i loden, con l’icona a mezzo busto di Buffon,
portiere esimio della Juventus e della nazionale di calcio, venuto a portargli
qualche manciata di voti dal mondo del pallone, con un discorso celebrativo
da accapponare la pelle per chiunque sia dotato di un minimo senso di buon
gusto.
Non che le
precedenti notti della campagna elettorale consumata in TV siano state più
allegre. Con il solito “bofonchiare” di Bersani, per dirla alla Travaglio, e le
“trovate” di Berlusconi che, se sulle prime divertono, alla fine ti lasciano
una grande spossatezza. Ma, almeno, con lui, tra uno sbadiglio e l’altro si
riesce anche a sorridere.
Con un giaccone d’impeccabile fattura, un blu dalle gradazioni tra
il dodger e il fiordaliso, Berlusconi se ne sta disteso sulla
poltrona dello studio televisivo, con il faccione roseo e gli occhi socchiusi
[non si sa bene, poverino, se per una congiuntivite o per la pelle del viso
troppo tirata], con i capelli mogano che sembrano dipinti sulla testa tanto
sono corti e immobili, con un look complessivo che gli fa assumere
connotati orientali, nippo-coreani o cinesi, e che chissà perché mi ricordano
il presidente Mao. Forse per via che, questa notte, il capo carismatico dei moderati
usa un linguaggio rivoluzionario che arriva alla pancia e al cuore degli
italiani, promettendo la restituzione di soldi e riforme che finalmente
cambieranno in meglio la vita nel Belpaese, per una politica che non sarà più
di servile sottomissione agli interessi di una Germania, travestita da Europa,
né a quelli dei cinesi e degli americani. Lo ascolti e quasi ti commuovi nel
pensare che egli reca con sé il mito della vittoria [Proprio in questi giorni
il suo scalcagnato Milan è riuscito a battere il quasi invincibile Barcellona
di Messi], e che con la sua immagine, la sua vitalità e i suoi miliardi egli è
una sfida vivente alla sfiga, alla vecchiaia e alla morte. Poi ti ricordi
improvvisamente che solo pochi mesi fa ha offerto le sue disperse pattuglie ad
un Monti designato come guida dei moderati e di cui non ha esitato a
sottolineare i meriti nel varare leggi che lui stesso ha approvato e che oggi
giudica esiziali per le future sorti dell’Italia… e allora cambi canale, anche
se rischi di trovartelo altrove.
Se questa è la musica e il ritornello [per la
verità, Bersani non possiede né l’una né l’altro, e attende quasi con fastidio
per Lunedì sera la vittoria annunciata e gli accordi con Monti] della solita canzone che “i
tre grandi” fanno risuonare alla vigilia della tornata elettorale, non diverso
spartito, mutatis mutandis, utilizzano gli altri, in particolare le
cosiddette alternative di centro-destra e di centro-sinistra. Dopo aver
suscitato un qualche interesse tra gli elettori delusi dei due schieramenti,
rischiano anche loro di scomparire tra lazzi e sbadigli.
Giannino del “Fare per fermare il declino” [lo dicevo che
quel nome troppo lungo del suo Movimento non l’avrebbe portato da nessuna
parte] si autoelimina, confermando che il suo abbigliamento eccentrico [appena
attenuato in questa campagna elettorale] è probabilmente frutto dello stesso
malessere che lo ha portato a millantare un master e due lauree.
Sputtanato, ha il merito di ritirarsi, portandosi dietro lazzi e sbadigli ma
anche la comprensione di chi tra gli addetti ai lavori della politica spera ti
mettere le mani sui voti [pochi] che gli sarebbero toccati.
Ingroia con la sua “Rivoluzione civile” – in compagnia dei
Di Pietro, dei Ferrero e dei Diliberto, tutti in passato già ministri duri e
puri della Repubblica, senza infamia e senza lode – invece di far comprendere
agli italiani la serietà delle sue proposte politiche, si mette a sparare sulla
Croce Rossa, denunciando Berlusconi, reo di aver inviato agli italiani un
foglio concepito nello stile grafico di Equitalia [la
patriottica Agenzia “per un paese più giusto”, nata dal connubio di due tra le teste più illuminate della casta della politica: quella di Prodi, non a caso
tra i candidati alla successione di Napolitano, e quella di Tremonti, compagno
di merende, ancorché litigioso di Berlusconi, oggi divenuto rivoluzionario e
anti-tedesco proprio come il suo ex-capo].
Nella lettera di Berlusconi si forniscono istruzioni per ottenere
la restituzione dell’IMU pagato nel 2012 e pare che qualche vecchietta sia
caduta nell’inganno di esigere immediatamente la restituzione del denaro a suo
tempo versato, smentendo così le fiere parole di Bersani che, nella prospettiva
della tracciabilità del denaro, per colpire gli evasori fiscali, aveva proposto
l’abolizione totale del contante in favore della carta di credito, dicendosi
certo che nell’usarla, la vecchietta italiana si sarebbe mostrata altrettanto
brava di quella belga…
Della trovata di Berlusconi c’è soltanto di che ridere e invece
Ingroia, forte del suo ruolo di magistrato duro e puro, è corso a denunciarlo,
dando della giustizia un’immagine persecutoria e/o caricaturale che finirà col
rivoltarglisi contro, senza contare che offre a Berlusconi su un piatto
d’argento l’opportunità di ribadire che questo gesto è l’ennesima prova dell’accanimento giudiziario nei suoi
confronti… Peccato, perché Ingroia, uomo e magistrato, era parso convincente
nelle sue apparizioni televisive e aveva lasciato sperare in ben altro ruolo
per il suo partito e per la giustizia.
Un fatto nuovo emerge tuttavia tra i protagonisti e i comprimari
dello spettacolo della politica: la comune preoccupazione per i tanti grilli
che si vedranno saltellare sui banchi del futuro Parlamento. La paura è
reale ma nasconde un tranello. Forte del fatto che la democrazia italiana
tratta l’elettore da minus habens, impedendogli alcune settimane
precedenti il voto di conoscere l’esito dei sondaggi, salvo che a conoscerlo
restano i signori della politica e dell’informazione [cosa impensabile in
una democrazia compiuta come quella americana], si tende a spargere la voce che
i sondaggi occulti, noti solo alla casta della politica e affini,
darebbero in grande ascesa il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Ancorché
nella “voce” ci sia qualcosa di vero, che emerge dalla capacità dei grillini
di riempire le piazze piccole e grandi di questo infelice Paese [quando si
pensi che il PD chiude a Roma la sua campagna elettorale al teatro Ambra Jovinelli!],
resta il fatto che la medesima voce lancia un monito neanche tanto velato:
attenzione, perché se il movimento di Grillo dovesse raggiungere percentuali di
voto troppo alte, ci troveremmo nella condizione di ingovernabilità e nel
rischio di scivolare nella situazione della Grecia: lo spauracchio
continuamente agitato dal Potere Finanziario che da alcuni anni ha occupato
l’Europa, grazie ai panzerspread e ai manutengoli della politica.
sergio magaldi
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