venerdì 22 febbraio 2013

LA VIGILIA ELETTORALE TRA LAZZI SBADIGLI E PAURA DEI GRILLI




 Il Festival della Politica è ormai prossimo a chiudere la sua prima fase, mentre la seconda si riaprirà con la conta dei voti. Dopo una settimana di pausa della campagna elettorale televisiva – causata dalle dimissioni del Papa, che hanno generato una serie infinita di servizi e documentari sonnolenti, e dalla celebrazione di un altro Festival che, tra canzone vincitrice  e cartelli parlanti, ha avuto il merito di portare all’attenzione del pubblico il problema dei gay che si vogliono maritare – sono infine tornate le lunghe maratone di Vespa a “Porta a Porta” con la faccia dei tre maggiori protagonisti in competizione: Bersani, Berlusconi e Monti, naturalmente ciascuno per conto proprio, perché di confronti tra candidati, manco a parlarne…

 In particolare, solo a tarda notte s’è concluso ieri lo show del presidente del consiglio in carica. Nulla di nuovo sotto il sole, se non l’ammissione da parte dell’ineffabile presidente di essere stato chiamato per risanare la finanza pubblica [leggi: dare soldi alle banche, togliendoli a chi ne ha di meno], aggravando contestualmente e consapevolmente la crisi di produttività del Paese e il malessere economico e sociale della maggioranza degli italiani. Poco altro è emerso dal linguaggio, come al solito tra il robotico e il notarile, dell’illustre professore della Bocconi nonché senatore a vita per meriti patriottici [?!]. E in quel poco, la ferma volontà di proseguire nell’attività riformatrice che tanto beneficio ha già recato al popolo italiano: l’ ideale –  sono parole sue – è un governo di cui egli sia la guida e il faro centrale, appoggiato a sinistra da un PD che abbia tagliato con l’eversione interna ed esterna affidandosi ad un segretario come Enrico Letta, e a destra da un PDL a guida Angiolino Alfano e capace di relegare Berlusconi se non nelle cantine del Palazzo, almeno in un attico sopra le nuvole. Il tutto suggellato dalla conferma al Quirinale di un uomo con cui egli s’intende a meraviglia, perché tra moniti e precisazioni notarili si esprime in un linguaggio simile al suo. Ma quest’ultimo desiderio sarebbe la ciliegina sulla torta e immagino che Monti si accontenterebbe anche solo della torta.

 Uno scenario meno irreale di quanto sembri, nell’ipotesi formulata dallo stesso Monti di una contemporanea impossibilità di PD e PDL di poter disporre di una maggioranza in Senato. In tale prospettiva, m’è sembrato [a giudicare da talune osservazioni dei giornalisti presenti, forse non è sembrato solo a me] che egli strizzasse addirittura l’occhio ai grillini: “Le sole proposte politiche nuove per gli italiani sono la mia formazione e quella di Beppe Grillo”, ha sostenuto candidamente il presidente in carica, lasciando intendere che le premesse che possono trasformare in realtà il suo futuro ideale di governo sono tutte nella quantità di voti che il Movimento 5 Stelle riuscirà a strappare a PD e PDL, impedendo ad entrambi i partiti di raggiungere la maggioranza in almeno uno dei due rami del Parlamento.

 Il resto della nottata politica televisiva è trascorso nella noia e tra gli sbadigli probabili dei telespettatori, nonostante il tentativo di rianimarne lo spirito con l’omaggio di Monti alle graziose [si fa per dire] e brave ministre del suo governo, con la prospettiva di ritrovare tra i suoi futuri ministri l’imperdibile Ilaria Borletti Buitoni di Crozza memoria, con i loden, con l’icona a mezzo busto di Buffon, portiere esimio della Juventus e della nazionale di calcio, venuto a portargli qualche manciata di voti dal mondo del pallone, con un discorso celebrativo da accapponare la pelle per chiunque sia dotato di un minimo senso di buon gusto.

 Non che le precedenti notti della campagna elettorale consumata in TV siano state più allegre. Con il solito “bofonchiare” di Bersani, per dirla alla Travaglio, e le “trovate” di Berlusconi che, se sulle prime divertono, alla fine ti lasciano una grande spossatezza. Ma, almeno, con lui, tra uno sbadiglio e l’altro si riesce anche a sorridere.

 Con un giaccone d’impeccabile fattura, un blu dalle gradazioni tra il dodger e il fiordaliso, Berlusconi se ne sta disteso sulla poltrona dello studio televisivo, con il faccione roseo e gli occhi socchiusi [non si sa bene, poverino, se per una congiuntivite o per la pelle del viso troppo tirata], con i capelli mogano che sembrano dipinti sulla testa tanto sono corti e immobili, con un look complessivo che gli fa assumere connotati orientali, nippo-coreani o cinesi, e che chissà perché mi ricordano il presidente Mao. Forse per via che, questa notte, il capo carismatico dei moderati usa un linguaggio rivoluzionario che arriva alla pancia e al cuore degli italiani, promettendo la restituzione di soldi e riforme che finalmente cambieranno in meglio la vita nel Belpaese, per una politica che non sarà più di servile sottomissione agli interessi di una Germania, travestita da Europa, né a quelli dei cinesi e degli americani. Lo ascolti e quasi ti commuovi nel pensare che egli reca con sé il mito della vittoria [Proprio in questi giorni il suo scalcagnato Milan è riuscito a battere il quasi invincibile Barcellona di Messi], e che con la sua immagine, la sua vitalità e i suoi miliardi egli è una sfida vivente alla sfiga, alla vecchiaia e alla morte. Poi ti ricordi improvvisamente che solo pochi mesi fa ha offerto le sue disperse pattuglie ad un Monti designato come guida dei moderati e di cui non ha esitato a sottolineare i meriti nel varare leggi che lui stesso ha approvato e che oggi giudica esiziali per le future sorti dell’Italia… e allora cambi canale, anche se rischi di trovartelo altrove.

 Se questa è la musica e il ritornello [per la verità, Bersani non possiede né l’una né l’altro, e attende quasi con fastidio per Lunedì sera la vittoria annunciata e gli accordi con Monti] della solita canzone che “i tre grandi” fanno risuonare alla vigilia della tornata elettorale, non diverso spartito, mutatis mutandis, utilizzano gli altri, in particolare le cosiddette alternative di centro-destra e di centro-sinistra. Dopo aver suscitato un qualche interesse tra gli elettori delusi dei due schieramenti, rischiano anche loro di scomparire tra lazzi e sbadigli.

 Giannino del “Fare per fermare il declino” [lo dicevo che quel nome troppo lungo del suo Movimento non l’avrebbe portato da nessuna parte] si autoelimina, confermando che il suo abbigliamento eccentrico [appena attenuato in questa campagna elettorale] è probabilmente frutto dello stesso malessere che lo ha portato a millantare un master e due lauree. Sputtanato, ha il merito di ritirarsi, portandosi dietro lazzi e sbadigli ma anche la comprensione di chi tra gli addetti ai lavori della politica spera ti mettere le mani sui voti [pochi] che gli sarebbero toccati.

 Ingroia con la sua “Rivoluzione civile” – in compagnia dei Di Pietro, dei Ferrero e dei Diliberto, tutti in passato già ministri duri e puri della Repubblica, senza infamia e senza lode – invece di far comprendere agli italiani la serietà delle sue proposte politiche, si mette a sparare sulla Croce Rossa, denunciando Berlusconi, reo di aver inviato agli italiani un foglio concepito nello stile grafico di Equitalia [la patriottica Agenzia “per un paese più giusto”, nata dal connubio di due tra le teste più illuminate della casta della politica: quella di Prodi, non a caso tra i candidati alla successione di Napolitano, e quella di Tremonti, compagno di merende, ancorché litigioso di Berlusconi, oggi divenuto rivoluzionario e anti-tedesco proprio come il suo ex-capo].

 Nella lettera di Berlusconi si forniscono istruzioni per ottenere la restituzione dell’IMU pagato nel 2012 e pare che qualche vecchietta sia caduta nell’inganno di esigere immediatamente la restituzione del denaro a suo tempo versato, smentendo così le fiere parole di Bersani che, nella prospettiva della tracciabilità del denaro, per colpire gli evasori fiscali, aveva proposto l’abolizione totale del contante in favore della carta di credito, dicendosi certo che nell’usarla, la vecchietta italiana si sarebbe mostrata altrettanto brava di quella belga…

 Della trovata di Berlusconi c’è soltanto di che ridere e invece Ingroia, forte del suo ruolo di magistrato duro e puro, è corso a denunciarlo, dando della giustizia un’immagine persecutoria e/o caricaturale che finirà col rivoltarglisi contro, senza contare che offre a Berlusconi su un piatto d’argento l’opportunità di ribadire che questo gesto è l’ennesima prova  dell’accanimento giudiziario nei suoi confronti… Peccato, perché Ingroia, uomo e magistrato, era parso convincente nelle sue apparizioni televisive e aveva lasciato sperare in ben altro ruolo per il suo partito e per la giustizia.

 Un fatto nuovo emerge tuttavia tra i protagonisti e i comprimari dello spettacolo della politica: la comune preoccupazione per i tanti grilli che si vedranno saltellare sui banchi del futuro Parlamento. La paura è reale ma nasconde un tranello. Forte del fatto che la democrazia italiana tratta l’elettore da minus habens, impedendogli alcune settimane precedenti il voto di conoscere l’esito dei sondaggi, salvo che a conoscerlo restano i signori della politica e dell’informazione [cosa impensabile in una democrazia compiuta come quella americana], si tende a spargere la voce che i sondaggi occulti, noti solo alla casta della politica e affini, darebbero in grande ascesa il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Ancorché nella “voce” ci sia qualcosa di vero, che emerge dalla capacità dei grillini di riempire le piazze piccole e grandi di questo infelice Paese [quando si pensi che il PD chiude a Roma la sua campagna elettorale al teatro Ambra Jovinelli!], resta il fatto che la medesima voce lancia un monito neanche tanto velato: attenzione, perché se il movimento di Grillo dovesse raggiungere percentuali di voto troppo alte, ci troveremmo nella condizione di ingovernabilità e nel rischio di scivolare nella situazione della Grecia: lo spauracchio continuamente agitato dal Potere Finanziario che da alcuni anni ha occupato l’Europa, grazie ai panzerspread e ai manutengoli della politica.

sergio magaldi


    

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