Numero Zero raccoglie i ricordi di un giornalista che lavora tra quotidiani di provincia, correzione di bozze, letture di manoscritti che non saranno mai pubblicati e che le case editrici non hanno voglia di leggere, tentativi falliti di scrittura in proprio. Sempre alla ricerca di una collocazione ufficiale, egli è infine avvicinato dal dottor Simei, un oscuro personaggio che, per conto terzi, gli offre per un anno ottanta milioni di lire esentasse [siamo nella Milano del 1992] per scrivere al suo posto un libro di cui poi si approprierà. Sarà il memoriale del direttore di un giornale, circa il lavoro di redazione di un quotidiano che non verrà mai alla luce e di cui saranno stampati, in pochissime copie, 12 numeri zero. Serviranno a chi paga – tale commendator Vimercate – per entrare nel salotto buono del potere. Si tratta di “un nuovo quotidiano disposto a dire la verità su tutto”. S’intitola Domani e avrà lo scopo di gettare nel panico il mondo della politica e della finanza. Non uscirà mai – ma questo per il momento deve restare segreto – perché sarà solo lo strumento per una sorta di ricatto politico.
Per inciso: un quotidiano dall’omonimo titolo, “Domani”, sarà fondato cinque anni più tardi e chissà che ne avrebbe pensato Umberto Eco se fosse stato ancora vivo. Ma, naturalmente, il quotidiano mai nato del romanzo nulla ha a che vedere con il quotidiano della realtà in uscita il 15 settembre del 2020!
Tra i redattori del fantomatico quotidiano c’è tale Romano Braggadocio (l’inglesismo del cognome non a caso significa “spaccone”, “fanfarone”), che sembra specializzato in scoop soprattutto storici. Braggadocio rivela confidenzialmente (anche se poi finisce per parlarne col direttore di Domani e nella “data fatidica” del 25 aprile si incontrerà con qualcuno che su quei giorni del ’45 la sapeva lunga) al giornalista incaricato di scrivere il memoriale che gli sarà scippato di avere uno scoop “da far vendere centomila copie a Domani, se fosse già in vendita”. Si tratta della chiave di volta per comprendere tutti complotti della Prima Repubblica, tra i quali si annovera il golpe di Junio Valerio Borghese del ‘70 e la vicenda di Gladio. “È dinamite e riguarda Mussolini”, rivela Braggadocio al suo interlocutore, per poi continuare col racconto della “vulgata comune” sugli ultimi giorni di Benito Mussolini (pp. 103-123 di Numero Zero).
“Vulgata comune” ma per la verità assai poco diffusa, direi, visto che i libri di storia per le scuole medie e superiori vi accennano appena e l’iniziativa lodevole di Aldo Cazzullo la propone ma solo parzialmente per la TV soltanto oggi. Più generiche ancora le ricostruzioni televisive del passato. Naturalmente non mancano le monografie sull’argomento, anche con documenti d’archivio dei servizi segreti americani, ma si tratta di lavori destinati alle élite.
Ma ecco lo scoop di Braggadocio: il Mussolini arrestato a Dongo dai partigiani Bill e Pedro (rispettivamente Urbano Lazzaro vice-commissario dei partigiani della 52a Brigata Garibaldi e il conte Pier Luigi Bellini delle Stelle, comandante della 52a Brigata Clerici, facente parte della I Divisione Garibaldi), mentre travestito da soldato dell’esercito tedesco in ritirata tenta di lasciare l’Italia, non è il vero Mussolini, così come non lo è quello ucciso a colpi di mitra in un vialetto di Giulino di Mezzegra. Non è lui ma il suo sosia. Le prove? Braggadocio dice di avere molte frecce al suo arco e in particolare: 1)La testimonianza del giornalista repubblichino Gaetano Cabella al quale Mussolini concede l’ultima intervista qualche giorno prima della cattura e quella successiva del partigiano Pedro:
«Cabella annota nelle sue memorie: “Subito
osservai che Mussolini stava benissimo in salute, contrariamente alle voci che
correvano. Stava infinitamente meglio dell’ultima volta che l’avevo visto… andiamo
a leggere le memorie di Pedro… È seduto a destra della porta,
vicino a una grande tavola. Non sapessi che è lui, non lo riconoscerei, forse.
È vecchio, emaciato, impaurito… Ti pare che un uomo possa dimagrire così in
sette giorni? Dunque l’uomo che parlava con Cabella e quello che parlava con
Pedro non erano la stessa persona” (pp.116-117) »
2)”… l’ipotesi del sosia è l’unica che
spieghi perché lo pseudo-Mussolini abbia evitato di farsi vedere dalla famiglia
a Como. Non si poteva permettere che il segreto della sostituzione si
allargasse all’intera cerchia famigliare.”
A questo punto l’obiezione del suo
ascoltatore. E Claretta Petacci, che lo raggiunge quando già non è più a Como,
perché si sarebbe fatta ammazzare con lui, se era il sosia di Mussolini? Chi lo
aveva arrestato e lo stesso colonnello Valerio (alias Walter Audisio deputato
dal ’48 al ’62 e senatore dal ’63 al ’68)
che gli aveva sparato non lo avevano mai visto di persona, ma lei non
poteva essersi ingannata!
Replica Braggadocio: “È la storia più patetica: lei lo
raggiunge pensando di ritrovare lui, quello vero, e subito viene istruita da
qualcuno, deve far finta di prendere il sosia per il vero Mussolini, per
rendere ancor più credibile la storia…”
“Ma tutta la scena finale – replica il suo interlocutore –
, con lei che gli si aggrappa e vuole morire con lui?”(pp.119-120)
E Braggadocio osserva che questo è solo quello che il
colonnello Valerio ci ha raccontato.
3)La perizia medica sul cadavere di Mussolini dopo
l’esposizione a piazzale Loreto: “…E se continui a leggere vedrai che nello
stomaco non è stata rinvenuta traccia di ulcera, e però tutti sappiamo che
Mussolini ne soffriva, né si parla di tracce di sifilide, eppure era voce
corrente che il defunto fosse sifilitico a uno stato avanzato. Nota inoltre che
Georg Zachariae, il medico tedesco che aveva curato il Duce a Salò, avrebbe
poco dopo testimoniato che il suo paziente aveva la pressione bassa, anemia,
fegato ingrossato, crampi allo stomaco, intestini rattrappiti e stitichezza
acuta. E invece, secondo l’autopsia, tutto era a posto, fegato di volume e di aspetto
regolare sia in superficie che al taglio, vie biliari sane, reni e surreni
indenni, vie urinarie e genitali normali.” (p.144)
Secondo Braggadocio, Mussolini era stato salvato dal Vaticano, per tramite del cardinale Schuster, arcivescovo di Milano dal ’29 al ’54 dello secolo scorso e che l’ormai santo Giovanni Paolo II aveva proclamato “beato” il 12 maggio del ’96. Lo stesso cardinale che pochi giorni prima della cattura aveva fatto incontrare il Duce con una delegazione del Comitato di Liberazione Nazionale, nel vano tentativo si salvargli la vita. E nel Vaticano era stato nascosto o più probabilmente fatto emigrare in Argentina come tanti criminali nazisti e fascisti.
A questo punto della narrazione entra in gioco il collegamento con le drammatiche vicende della Prima Repubblica: Gladio tenta di conquistare il potere in Italia e si serve di Junio Valerio Borghese che tra il 7 e l’8 dicembre del ’70 ha preparato il colpo di stato che riporterà al governo Mussolini, fatto tornare in gran fretta dall’Argentina o già presente in Italia. Ma quando tutto è pronto, e i congiurati hanno già occupato posizioni strategiche, il golpe è annullato e Borghese si rifugia in Spagna. Che è successo? Il vecchio Duce, che ormai ha 87 anni, è improvvisamente scomparso, questa volta definitivamente. E così conclude Braggadocio la sua narrazione:
“Mancando la figura del Duce, nessuna Gladio poteva più
sperare di conquistare il potere… Gladio si unisce a tutte quelle forze occulte
che tentano di destabilizzare l’Italia per rendere insopportabile l’ascesa
delle sinistre e preparare le condizioni per nuove forme di repressione, fatte
con tutti i crismi della legalità.” (p.181)
I fatti narrati in Numero Zero si svolgono tra il lunedì 6 aprile 1992 e l’11 giugno dello stesso anno. I giornali di domenica 7 giugno 1992 recano in cronaca la notizia dell’omicidio di Romano Braggadocio. L’ipotesi è che indagando sul circuito della prostituzione sia stato punito da qualche “magnaccia”.
In conclusione, direi che il paradosso del sosia di Mussolini serva ad Umberto Eco per siglare, sottoforma di romanzo fantastico, venato di ironia ma anche di garbata amarezza, il suo testamento politico: nessuno dei tanti misteri della Prima Repubblica è stato o sarà mai svelato, l’unica verità è che ognuno di questi misteri è costellato di cadaveri più o meno eccellenti che hanno spento un poco alla volta, per così dire, la volontà di sapere.
sergio magaldi
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