L’ascesa virtuale lungo l’Albero della vita ci conduce ora
alla Sephirah Ghevourah che rappresenta il rigore, il giudizio, la severità, ma
anche la forza e la potenza come attestano alcune ghematrie della parola con
valore 216. Naturalmente, Ghevourah va considerata sull’Albero non isolatamente
ma in relazione alla Sephirah che apparentemente le si oppone: Chesed che manifesta
la grazia e la misericordia divina.
Ghevourah è comunque ritenuta il punto di frattura delle
scintille di luce provenienti dall’alto e quindi l’origine stessa della
presenza nel mondo del male fisico, metafisico e morale.
In realtà le interpretazioni sull’origine del male sono di
diversa natura, tanto in rapporto alla Bibbia che alla tradizione cabbalistica.
I primi versetti di Genesi parlano di
una sostanziale preesistenza delle tenebre e dunque del male inteso come
“mancanza di luce” e di una terra come di un abisso sul quale interviene lo
spirito di Elohim. La Bibbia poi contraddice questa interpretazione laddove si
ripete costantemente che al Signore appartiene sia il bene che il male e che,
d’altra parte, quest’ultimo dipende dal comportamento umano, a cominciare dal
“peccato” di Adamo ed Eva.
Nella Qabbalah, l’insorgere del male viene fatto risalire
non solo alla “fretta” con cui Adamo ed Eva vollero cibarsi del frutto
dell’Albero della conoscenza (Da‘at, che non è una Sephirah perché
non fa parte del progetto divino), ma anche alla “Rottura dei vasi” – prima di
tutti il recipiente o vaso di Ghevourah – causata dallo Tzimtzum, cioè dal ritrarsi del Signore da un punto della Totalità,
lasciando libera una luce troppo forte per essere assorbita dalle cosiddette
Sephiroth emotive.
Dunque, il male, originato dalla caduta delle scintille di
luce tra le scorze dell’Albero della vita o Qliphoth,
non dipende più dal cosiddetto peccato originale, né da una scelta divina
deliberata, bensì dall’esserci stesso di un universo separato dalla totalità
dell’Essere. Si ripropone così il vecchio discorso della teodicea circa
l’onnipotenza divina.