sabato 22 marzo 2025

DAL FUOCO ALL’ACQUA: RIVOLUZIONE IDROGENO


 

 Si può osservare la nascita e lo sviluppo delle civiltà e delle culture da molteplici punti di vista: sotto quello della lotta per il possesso dei mezzi di produzione, o magari sotto quello dell’evolversi dello spirito umano in un ambito idealistico che assegna alla coscienza un ruolo fondamentale nel fare storia quasi in contrapposizione alla natura. O ancora: si può pensare che sia l’eros la chiave per aprire la porta della comprensione della realtà, della società e del grado di civiltà raggiunto, come capitò a Marcuse nel suo notissimo saggio – oggi ormai desueto e forse persino sconosciuto alle nuove generazioni. Mi riferisco a Eros e Civiltà (1955), che il filosofo tedesco scrisse riprendendo le analisi freudiane de Il disagio della civiltà (1930) e dove il cosiddetto “Principio del piacere” si contrappone al “Principio di realtà” per dimostrare che senza repressione una civiltà in quanto tale non esisterebbe neppure. 

 Si può continuare in questa ricerca, peraltro fruttuosa e stimolante, di trovare un principio che giustifichi l’evoluzione umana, ma difficilmente ci si allontanerà dalla periferia della comprensione se non si parte da un presupposto che sottenda tutti gli altri e che soprattutto smetta di considerare la Storia in contrapposizione alla Natura. Perché è la Natura che offre alla Storia gli strumenti utili alla nascita e al cammino della civiltà. E per quanto gli esseri umani si sforzino nel dimostrare che la Natura va piegata con la forza perché riveli i suoi segreti, la verità è che i doni della Natura sono a portata di mano solo che si sappia e si voglia riconoscerli, comprenderli e utilizzarli.

 E il dono più grande della Natura è quello che si collega alle Fonti di Energia. L’energia che è alla base di ogni azione umana. Il mito di Prometeo ci aiuta forse a comprendere qual è stato ed è attualmente l’atteggiamento umano nei confronti delle fonti di energia. La dea Atena offre spontaneamente al titano la prima fonte di energia: il fuoco, ma cosa fa Prometeo? La offre all’umanità, però nello stesso momento in cui vuole ingannare gli dei che della natura sono i custodi. Zeus consente al titano e agli uomini l’uso del fuoco e la cottura delle carni ma ne pretende le parti migliori e Prometeo lo inganna inducendolo a scegliere le carni in apparenza più belle ma che in realtà, sotto la strato di grasso superficiale, contengono solo le ossa dell’animale sacrificato.

 Con il dono del fuoco nasce il primo stadio di civiltà e cultura, non tanto perché gli esseri umani possono ora riscaldarsi ma soprattutto perché cambia la loro alimentazione: dal crudo al cotto, il cibo diviene ora lo strumento di un’autentica rivoluzione, persino fisica, come ben vide e analizzò l’antropologo Claude Lévi Strauss nel suo saggio, appunto Il crudo e il cotto, pubblicato nel 1966, lo stesso anno in cui appare con gran successo la seconda edizione di Eros e Civiltà di Marcuse.

 L’inganno di Prometeo a Zeus comporta che il fuoco venga sottratto all’umanità, ma Prometeo lo ruba e lo consegna di nuovo agli umani. Cosa insegna il mito? Che d’ora in avanti l’accaparramento delle fonti di energia sarà il frutto di inganno e rapina. E che la storia della civiltà sia scandita dalla storia dell’energia lo propone ancora un altro saggio, questa volta più recente, del 2021: Energia e Società. Una Storia, Hoepli 2021, di Vaclav Smil, un ambientalista ceco naturalizzato canadese, docente emerito presso la Facoltà di Scienze ambientali dell'Università di Manitoba a Winnipeg.

 Per Smil l’energia può a buon diritto essere definita come “l’unica vera moneta universale”, per il cui possesso popoli e nazioni sono stati spesso in guerra fra di loro. Se l’energia del carbone è stata la fonte dominante  per la nascita della società industriale, l’energia del petrolio è tuttora alla base della società contemporanea. Sono entrambe fonti destinate ad esaurirsi, geolocalizzate e per di più inquinanti. Dalla loro penuria e non solo, dipende la differenza tra le regioni ricche e povere del mondo. 

 Se è vero che costi di produzione e innovazioni tecnologiche servono a spiegare il prevalere di una fonte su tutte le altre, è altrettanto vero che dovremmo interrogarci sul perché è stato fatto così poco per esplorare sino in fondo altre fonti di energia, oltre a quelle ricavate da fossili e terre rare. La penuria crescente delle fonti energetiche tradizionali – come giustamente ebbe ad osservare Jean Paul Sartre – costituisce tuttavia uno stimolo alla ricerca di nuove organizzazioni del campo materiale. Ed ecco le fonti di energia rinnovabili, cosiddette perché si reintegrano naturalmente in base a processi fisici ricorrenti. Sole, vento e soprattutto acqua, risorsa rinnovabile per eccellenza almeno sino a quando riusciremo a contenere l’inquinamento, salvaguardando l’ambiente. D’altra parte eolico e fotovoltaico hanno problemi relativi alla propria natura: rinnovabili, perché sempre presenti in natura, conoscono tuttavia una penuria intrinseca causata dalla notte e dalla mancanza di vento. Inoltre, se per catturare la forza del vento è necessario riempire lo spazio di ingombranti aerogeneratori simili ai vecchi mulini, per strano paradosso i pannelli fotovoltaici sui tetti possono essere travolti proprio dalla forza del vento. Senza contare le difficoltà e i costi relativi alla loro conservazione,  allo stoccaggio dell’energia prodotta  e alla distribuzione

 Jules Verne tra il 1874 e il 1875 pubblicò su una rivista il romanzo L’isola misteriosa in cui fece la previsione che l’acqua sarebbe divenuta un giorno il combustibile utile per sostituire il carbone. Vorrei subito aggiungere che non si trattava di una previsione difficile considerando che l’acqua per migliaia di anni era stata utilizzata come fonte di energia nell’irrigazione dei campi, nella macina e nella lavorazione del legname. E’ un fatto però che pochi anni dopo l’affermazione di Verne, si comincino a costruire centrali idroelettriche per generare elettricità pulita. Conosciamo i limiti di questa fonte di energia: non solo geografici ma anche collegati al costo notevole degli investimenti e al rischio di inquinamento ambientale e di modifica dell’ecosistema, generato dal basso livello di ossigeno disciolto nell'acqua di fiumi e torrenti.

 Il cosiddetto “mistero” dell’acqua in realtà ha inizio molto tempo prima, quando uno dei sette sapienti dell’antichità, il filosofo Talete di Mileto (640/625 - 548/545 a. C.) ne fa l’arké, cioè il principio primo di tutte le cose. Oltre il mito, quel che è certo è che l’acqua porta con sé il dono della vita. La Terra stessa è un dono dell’Acqua, come implicitamente afferma Dante nei versetti 121-123 del XXXIV Canto dell’Inferno, quando descrive la caduta di Lucifero dal cielo, mentre la terra si nasconde sotto l’acqua:

 

Da questa parte cadde giù dal cielo;

e la terra, che pria di qua si sporse,

per paura di lui fé del mar velo.

 

 Vista dagli astronauti da notevole distanza la Terra non è che un puntino azzurro, perché la terra non è che concrezione dell’acqua, ed è il principale elemento del corpo umano. Non a caso l’alfabeto ebraico ha tre consonanti, dette lettere madri, ciascuna rappresentativa di un elemento della tradizione: Shin per il fuoco, Alef per l’aria e Mem per l’acqua, e l’elemento terra non è rappresentato o meglio è rappresentato dalla Mem, cioè dall’acqua. Acqua in ebraico è MAIM (מַיִם)  e una delle sue ghematrie (aventi cioè lo stesso valore numerico delle lettere, cioè 90) è MAN (מָן), la Manna che, apprendiamo dalla Bibbia, salva la vita di un popolo smarrito nel deserto.

 La formula dell’acqua, come a tutti è noto, è HO, due atomi di idrogeno per un atomo di ossigeno, quando per effetto di una esplosione, Big Bang o altro, questo gas, il più leggero di tutti, circa 15 volte più leggero dell’aria, si unisce all’ossigeno che, a quanto pare, è il risultato delle reazioni termonucleari delle stelle e dell’esplosione delle supernove.

 E nell’idrogeno si è visto giustamente il futuro dell’umanità, come energia pulita a zero emissioni nocive. Isolato per la prima volta dall’alchimista, medico e mago Paracelso (1493-1541), mescolando metalli e acidi forti, ma solo come gas infiammabile, non riconosciuto neppure più tardi (1766) dal chimico inglese Henry Cavendish che riprese l’esperimento di Paracelso, descrivendo tuttavia con precisione quella che a lui parve “aria infiammabile”, l’idrogeno fu infine riconosciuto come elemento autonomo e generatore di acqua da Lavoisier nel 1783 (Þdwr gšnoj).

 L’idrogeno di cui parlo, naturalmente, non si trova in natura, se non come idrogeno bianco, assai raro e che non è quello dai cosiddetti multiformi colori, soprattutto il grigio, attualmente prodotto con relativo inquinamento, ma è l’idrogeno verde che si ottiene per elettrolisi dall’acqua scindendolo dall’ossigeno. E  di qui inizia la “rivoluzione idrogeno”. Sino ad ora ritardata dal fatto che la scissione  richiede energia elettrica prelevata da fossili o, a caro prezzo, da energie rinnovabili. Insomma un serpente che si morde la coda, anche perché come e più delle altre fonti rinnovabili e non inquinanti, l’idrogeno per essere isolato, conservato e distribuito, necessità di operazioni costose e per nulla agevoli.

 In altri termini, solo un sistema diverso e meno costoso dell’elettrolisi per separarlo dall’ossigeno renderebbe subito conveniente l’idrogeno come fonte di energia rinnovabile. Se insieme si trovasse anche il modo di ovviare alle spese ingenti e agli inconvenienti relativi al suo stoccaggio, trasporto e distribuzione, potendo il gas essere prodotto e utilizzato in loco, la rivoluzione idrogeno sarebbe finalmente compiuta. E sarebbe una rivoluzione dalle proporzioni inimmaginabili, culturalmente e socialmente persino più radicale di quella prodotta dal fuoco. 

 Il venir meno della penuria, nel reperimento dell’energia necessaria alla vita, porrebbe fine, forse definitivamente, ai conflitti tra Paese e Paese e la conseguente riduzione delle spese militari in tutte le regioni del globo gioverebbe forse a combattere la povertà, tenuto conto che ancora oggi più di 100 milioni di individui sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno. Non si tratta tanto di cavalcare l’utopia, perché se, nella prospettiva della penuria, i rapporti umani sono stati sin qui caratterizzati dalla logica dell’antagonismo e della lotta, si può ragionevolmente pensare che i conflitti cesserebbero o comunque finirebbero progressivamente con l’attenuarsi in un mondo che, per la prima volta nella Storia, ci mettesse di fronte alla scomparsa della penuria nel reperimento e nell’utilizzo, in ogni area del mondo, della più importante e durevole fonte di energia non inquinante. 

 Insomma, la “rivoluzione idrogeno”  può significare che la vita avrebbe più durata e sapore, con l’acquisizione di beni e prodotti culturali alla portata del maggior numero di persone. 

 Sergio Magaldi  


 


venerdì 21 marzo 2025

LA NAZIONALE DI SPALLETTI E DI LORENZO


 


 I commenti degli addetti ai lavori su Italia vs Germania di ieri sera oscillano tra il sostenere che le due nazionali si equivalgono, che l’Italia ha disputato una buona partita e che comunque si tratta di una competizione minore, praticamente un’amichevole, dimenticando l’albo d’oro di questa Nations League che nelle tre precedenti edizioni ha visto rispettivamente le vittorie di Portogallo, Francia e Spagna.  

 

Chiuso il primo tempo con fortunoso vantaggio, dopo che i tedeschi ci avevano quasi preso a pallonate, era abbastanza chiaro ciò che sarebbe successo nel secondo tempo, lasciando in campo quel pacchetto difensivo: Di Lorenzo (vero e proprio “tallone di Achille” di Spalletti che lo ritiene inamovibile)) – che in nazionale potrebbe giocare al massimo in una difesa a quattro o come quinto in una difesa a tre – come difensore a destra di una difesa a tre, ha già dato in passato prova dei propri limiti. Bastoni non ha mai brillato in nazionale, tant’è che nell’Inter, nella posizione di difensore centrale, Inzaghi gli preferisce Acerbi. Quanto a Calafiori, ieri sera il migliore dei tre, sembra evidente più la sua vocazione offensiva che difensiva. E dire che non mancano le alternative: Gatti, Buongiorno e, perché no, lo stesso Acerbi che, nonostante i suoi 37 anni, nelle partite importanti è sempre decisivo.

 

Il fatto è che a risentire delle carenze del pacchetto difensivo è innanzi tutto il centrocampo –  l’unico reparto sicuramente valido di questa nazionale – costretto più a indietreggiare per difendere che a costruire. Quanto all’attacco, Kean, lasciato praticamente da solo, rischia di essere più quello che giocava nella Juve che quello che gioca ora con la Fiorentina. Raspadori dimostra ancora una volta la propria fragilità e si divora un goal che i cronisti nostrani si affrettano ad attribuire alla bravura del portiere tedesco. Maldini, con il suo gioco scolastico e a sprazzi, non è certo un’alternativa, e Politano, tatticamente apparso tra le soluzioni migliori del primo tempo, viene inspiegabilmente fatto uscire nella ripresa, poco prima che L’Italia subisca il goal del pareggio, che è insieme l'annuncio della sconfitta imminente.

 

Continuando così, questa nazionale non ribalterà certo la situazione, domenica prossima, andando a vincere a Dortmund nella gara di ritorno contro la Germania per l’accesso alle semifinali di Nations League e, cosa ben più grave, potrebbe addirittura rischiare la terza consecutiva eliminazione dalla fase finale dei mondiali 2026.


sergio magaldi


martedì 18 marzo 2025

La Donna e il Femminile divino nella Qabbalah




...la Donna ha avuto una dignità superiore all'Uomo nell'ordine della Creazione... Poi [Dio] creò due esseri umani a sua immagine e somiglianza, prima il maschio e poi la femmina, in cui "i cieli e la terra furono completati e tutte le loro schiere", dato che il Creatore quando creò la donna in lei si riposò, perché non aveva niente di più nobile da creare, e in lei erano racchiuse e comprese tutta la sapienza e la potenza del Creatore. Non esiste né può essere immaginata altra creatura dopo di lei. Poiché dunque la donna è l'ultima delle creature e lo scopo, la perfezione più completa di tutte le opere di Dio, e  il perfezionamento dell'universo stesso, chi potrà negare che è lei la creatura più degna di eccellere di tutte? [...] Quando fu creato il mondo, la donna fu l'ultima nel tempo a essere creata, ma per autorità e dignità fu la prima di tutte nella concezione della mente divina, come è scritto nel profeta: "Prima che i cieli fossero creati, Dio la scelse e la preordinò"... ciò è ben noto ai filosofi, e cito le loro parole, che ciò che è primo nell'intenzione è ultimo in esecuzione.
[Henricus Cornelius Agrippa in M. Idel, op.cit., pp 83-84]

"L'essenziale è invisibile".




Continuano le avventure di Marco Dorfer, il rabdomante, in questo secondo romanzo della serie di LE LINEE DEL DRAGO di Roberto Hechich.

 

L’Essenziale è invisibile si apre con l’antefatto dell’incontro tra Michele Lucic - discendente di Cristoforo Lucic: personaggio realmente esistito e comandante di galea veneziana durante la battaglia di Lepanto - e un uomo tutto vestito di nero. Lucic consegna all’uomo, custodite in un prezioso baule, le parti del Vangelo di Giuda salvate dal suo antenato in cambio di alcuni documenti utili per le sua attività commerciali.

 

La narrazione continua con Marco Dorfer, in vacanza a Lussinpiccolo in Croazia per una meritata vacanza. Mentre insieme alle due figlie gemelle gusta un grosso gelato, egli viene avvertito dalle autorità con cui collabora del pericolo che incombe su di lui da parte di una setta segreta che ha fatto del Vangelo di Giuda il proprio simbolo per mantenere la presenza del male nel mondo. Dorfer, infatti, fa ormai parte del gruppo che si propone di scoprire l’organizzazione che semina ovunque la paura per i suoi fini di potere e di dominio. Il prof Vodopivez ex massone, psichiatra e criminologo è l’autorevole consulente del gruppo, padre Goran Matijevich dei servizi segreti vaticani ne è l’ispiratore. La setta, del resto, condivide con alcune confraternite (Catari e Bogomili) di ispirazione gnostica l’idea di un dualismo tra il dio del bene e il dio del male, mentre però quelle anelano a ricongiungersi con il dio del bene, questa ritiene che il male sia la vera essenza della terra e dei cieli e che il dio del bene non sia altro che un impostore, un’illusione dei deboli e degli sciocchi. Secondo questa visione, il male deve essere l’energia suprema, la forza che domina il mondo. Per questo Giuda, l’inviato del male, che tradì nostro Signore, inaugurando la lotta contro il dio del bene, costituisce il modello di riferimento di questa setta segreta.

 

A bilanciare la presenza del male ci sono però le linee del Drago e una di queste passa per la chiesa di Lussinpiccolo sul cui portale è riprodotto in latino il versetto di Genesi 28:17: «TERRIBILIS EST LOCUS ISTE HIC DOMUS DEI EST ET PORTA COELI». La stessa scritta che si trova In Francia, a Rennes le Château, sul frontale della chiesa dedicata a Maria di Magdala. Si tratta in realtà delle parole pronunciate da Giacobbe quando risvegliandosi, dopo aver visto in sogno la scala sui cui gli angeli salgono e scendono tra Terra e Cielo, “sente” la presenza di Dio, avvertendone il giusto timore (Terribilis est locus iste…) e decide di chiamare quel luogo Bethel (“Casa di Dio”), mentre prima si chiamava Luz, parola che in aramaico significa “coccige” e che nella tradizione ebraica e talmudica si riferisce ad un piccolo osso indistruttibile del corpo umano. Un osso che conserva la nostra linfa vitale, il ricordo delle nostre esperienza passate e che, grazie alla sua alchimia, permette all’anima di rinascere.

lunedì 17 marzo 2025

JUVE ALLA DERIVA


 

Nell’unico post dedicato sin qui all’attuale allenatore della Juventus, poco dopo l’inizio del Campionato di Serie A (cfr. su questo blog: La ragnatela di Thiago Motta del 25/09/2024) sono stato sin troppo ottimista. “Il maestro delle ragnatele calcistiche”, fatte per imbrigliare gli avversari, dava l’impressione, già agli inizi di questo Campionato, di voler continuare sulla falsariga dell’anno precedente (quando a Bologna pur con tanti pareggi ha sorpreso tutti per aver portato i felsinei in Champions mostrando anche un gioco convincente e a tratti persino scintillante), alternando diversi pareggi a vittorie di “corto muso” che, comunque, facevano della Juve la squadra meno battuta in difesa, tant’è che il  suo primato, italiano ed europeo, di imbattibilità in Campionato ha resistito per diverso tempo. Poi è venuta la sconfitta di Napoli, i pareggi sono diminuiti e sono arrivate vittorie striminzite ma anche la vittoria esaltante, dopo il bel secondo tempo, contro l’Inter.

 

Insomma: caduta la ragnatela per scelta consapevole che alla lunga avrebbe portato non tanto di più di un punto a partita, Thiago Motta si è messo a navigare in mare aperto, lasciando il più possibile da parte la sterilità del suo gioco lento e orizzontale e riportando qualche vittoria in Campionato, ma subendo molte delusioni come l’eliminazione dalla Coppa Italia, a Torino per mano dell’Empoli e il mancato raggiungimento degli ottavi di Champions ad opera di una squadra altrettanto modesta come il PSV Eindhoven che nella successiva partita avrebbe preso ben sette goal dall’Arsenal. Sette goal, appunto, gli stessi rifilati alla Juve nelle due ultime giornate di Campionato: quattro a Torino dall’Atalanta, tre a Firenze dalla Fiorentina, sette goal senza segnarne neppure uno.

 

Per quanto paradossale possa sembrare non sono neppure le due umilianti disfatte in sequenza a stupire, quanto l’atteggiamento dell’allenatore, sempre incline alla singolarità delle scelte e alla permalosità non appena qualcuno degli addetti ai lavori (pochi in verità!) si azzardi a fargli qualche domanda che alle sue orecchie risuoni come una critica. Quanto all’autocritica, dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia egli si detto responsabile, ma unicamente di “non aver saputo instillare nei suoi giocatori lo spirito Juve”, con ciò addossando implicitamente  alla squadra tutta la colpa della sconfitta. Allegri (allenatore che nonostante le tante vittorie non mi ha mai entusiasmato per il suo modo di far giocare la squadra) anche nei momenti peggiori non dava mai la colpa ai suoi giocatori, Thiago Motta li chiama tutti amichevolmente e pubblicamente col nome di battesimo (generando più di una confusione  persino tra i tifosi, soprattutto tenendo conto dei molti calciatori subentrati di recente nella squadra), ma talora suscita l’impressione di utilizzarli più secondo un suo schema mentale che secondo le loro caratteristiche. Sorprende altresì che dopo il primo tempo di ieri, quando la squadra era già sotto di 2 goal, egli non abbia operato dei cambi in attacco già all’inizio della ripresa, limitandosi e solo tardivamente a far entrare Alberto Costa e Cambiaso, dando alla squadra l’impressione di voler solo limitare i danni.  Perché, per esempio, non provare a giocare con due punte? Non però come ha già fatto una volta in passato. Per supportare insieme Vlahovic e Kolo Muani dovrebbe infatti schierare il 3-5-2, ma questo non rientra evidentemente nella sua idea di calcio. Senza neppure voler parlare della formazione iniziale schierata contro la Fiorentina, privata dei due soli fantasisti che la squadra possiede: Yildiz e Conceição.

 

Tutto ciò premesso, Thiago Motta non può essere considerato il solo responsabile dell’attuale deriva bianconera. Eppure la proprietà ha messo a disposizione per il mercato estivo una somma considerevole. Per l’acquisto di soli tre giocatori sono stati spesi circa 150 milioni. Tanto sono costati Koopmeiners, Douglas Luiz e Nico Gonzales. Il risultato di queste operazioni è sotto gli occhi di tutti. Con disinvoltura sono stati ceduti giovani come Miretti, Fagioli e Nicolussi Caviglia, che oggi risultano tra i migliori giocatori delle rispettive squadre in cui militano. Ci si è privati dell’esperienza di un giocatore come Rugani nonostante la scarsità di difensori a disposizione, a prescindere poi dal grave infortunio di Bremer. Si è restati per tanta parte del Campionato con una sola punta, cedendo Kean che sta facendo la fortuna della Fiorentina e oggi, dopo l’arrivo di Kolo Muani, si è di fatto tornati ad un sola punta perché Vlahovic, il giocatore più pagato della Serie A, è tenuto in panchina come in punizione.

 

In conclusione direi che, se fosse possibile, la società dovrebbe intervenire prima che sia troppo tardi, prima che sfumino anche gli ultimi obiettivi: la qualificazione alla prossima Champions e la partecipazione dignitosa ai Mondiali per club.   

 

 sergio magaldi  

 

 


martedì 18 febbraio 2025

Il Linguaggio nascosto della Qabbalah. Simbolismo, Lettere, Sephirot, Gh...



L’idea di scrivere qualcosa di immediatamente didascalico sui contenuti della mistica ebraica mi lasciava perplesso. Forse ricordando la lettera che Isacco il Cieco in pieno Medioevo aveva inviato ai rabbini di Girona, lamen­tando la responsabilità dei propri scolari nel divulgare «nelle strade e nei mercati» argomenti di studio e di meditazione che avrebbero dovuto man­tenere il naturale riserbo per non essere «profanati».

[…]Questo libro non è e non vuole essere un saggio tra i tanti che sulla Qab­balah si trovano in rete e nelle librerie. La sua pretesa è più modesta ma an­che più puntuale. Si rivolge innanzi tutto a chi, pur sapendo poco o nulla sull’argomento, manifesti un sincero interesse di apprendere […]. Chi, per contro, abbia già “dissodato il terreno” può trovare, in questa lunga “chiacchierata” qualche utile elemento di riflessio­ne.


venerdì 31 gennaio 2025

Il Femminile nella Qabbalah




Presentazione del libro di Moshe Idel: L’apoteosi del femminile nella Qabbalah. Pubblicato nel 2018, esce in edizione italiana con Adelphi nel 2024.

Nell’introduzione, Moshe Idel  avverte che alcuni studiosi e diversi lettori potrebbero meravigliarsi nel rintracciare una sorta di primato del femminile nell’ambito della complessa teosofia cabbalistica, ma l’intento principale del libro – a detta dell’autore – è stato proprio quello di evidenziare le idee di alcune personalità di spicco della Qabbalah, che dedicarono passi importanti della loro opera alle radici superne della Femmina divina.

D’altra parte, è pur vero – annota ancora Moshe Idel – che l’atteggiamento dei cabbalisti al riguardo risulta alquanto ambivalente: si passa con estrema disinvoltura dal privilegiare la femmina e il femminile, al considerarli in contatto col demonico, né si può negare la presenza, sia pure minoritaria, per entro la speculazione cabbalistica, di una teoria teosofica fallocentrica che relega la femmina in posizione subordinata rispetto al maschio.

Appare dunque di rilevante interesse comprendere i motivi del grande privilegio riconosciuto da alcuni cabbalisti – talora i più autorevoli –  al femminile divino e di conseguenza alla femmina e alla donna. Il presupposto più importante, condiviso attraverso i secoli da diverse scuole di Qabbalah, è rappresentato dal detto pseudo-aristotelico, secondo cui “Ciò che è primo nel pensiero, è ultimo nell’azione”.

Detto assunto, tuttavia, spiega solo in parte le ragioni del privilegio e in realtà sembra esserci, opportunamente celata, una ragione più grande che i cabbalisti, volontariamente o no, lasciano solo intuire. Neppure Moshe Idel, autore di questo libro di grande interesse, si interroga sulla questione, limitandosi a registrare le motivazioni storico-religiose di una crescita del favore accademico e popolare nei confronti del femminile:

«A mio parere, la Femmina divina divenne più importante di quanto fosse stata nelle fasi precedenti del giudaismo e mantenne tale ruolo perché nelle letterature teosofiche Ella rappresentava una serie di valori  condivisi […] Valori  che erano già stati centrali nel giudaismo rabbinico molto prima dell’emergere della Qabbalah, come l’importanza della nazione ebraica e le sue vicende storico-mitiche, la centralità dello Shabbat, la procreazione delle anime ebraiche e gli echi di mitologemi relativi alle potenze femminili ipostatiche contenuti in testi ebraici antichi e medievali».

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