venerdì 19 aprile 2024

RILEGGERE SARTRE (P.7.a Il ruolo di Sartre negli studi di psicologia)


 

Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 



Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:






ASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà.



la Repubblica

25 gennaio 2023

 

 SEGUE DA:

















IL RUOLO DI SARTRE NEGLI STUDI DI PSICOLOGIA

 Nell'am­bito della psicologia fenomenologica il pensiero di Sartre ha profondamente influenzato le analisi degli specialisti. Mi riferisco in particolare agli studi dedicati all'immaginario e all'emozione, nonché alla fortuna di cui tali studi hanno goduto soprattutto nei paesi anglosassoni. Significativo a tale riguardo mi pare il tentativo di Hidé Ishiguro volto a sottolineare i punti di contatto esistenti, per l’analisi dell'immaginazione, tra fenomenologia sartriana e filosofia analitica inglese, vale a dire tra filosofie che dichiarano di usare metodi completamente opposti.

Ishiguro, dopo aver ricordato come l'immaginazione sia stata sempre considerata «il brutto anatroccolo del mondo filosofico», osserva come la situazione sia profondamente mutata: «Eminenti filosofi, in Inghil­terra e in Europa, hanno cercato di mostrare come lo studio filo­sofico dell'immaginazione costituisca una parte importante, e del tutto degna di considerazione, della filosofia della mente. In effetti, lo studio della immaginazione è uno dei campi in cui i problemi posti dai filosofi di questi due mondi a sé stanti — Europa e Inghilterra — hanno maggiori punti di contatto. La differenza tra l'Imaginaire (1940) di Sartre e le note sulla immaginazione di Wittgenstein in Blue and Brown Books (1934-36), o il capitolo sull’immaginazione nel libro di Ryle Concept of Mind (1949) è senza dubbio minore di quella che esiste fra L'Imaginaire e le opere dei predecessori di Sartre in Francia, o fra l'indagine di Ryle e quella condotta dagli empiristi inglesi che si rifanno a Hume»[1].

I punti di contatto tra Ryle (che Ishiguro nell’opera da lui citata definisce il più com­portamentista dei filosofi analitici inglesi) e Sartre possono così riassumersi: l'oggetto d'immaginazione non è un'entità mentale (pp.197 e 206), immagini e percezioni non interferiscono tra loro ma si escludono a vicenda (p.200), «farsi delle immagini» è per Ryle come per Sartre «uno dei molti modi di far finta, e far finta è uno dei molti modi in cui esercitiamo la nostra immaginazione, che, a sua volta, è un modo in cui facciamo uso delle nostre cognizioni e della nostra in­telligenza» (p.201).

Infine la concezione del sapere nell'immaginazione, nel senso che immaginare un oggetto non significa propriamente accrescere la conoscenza che si ha dell’oggetto stesso (pp.202-203).
Una sostanziale affinità c'è inoltre tra l'osservazione di Wittgenstein che «vedere come...» è simile all'«avere un’immagine di...» e l'opinione quasi assolutamente identica che si trova in tutta l'opera di Sartre quando esamina in dettaglio ritratti, caricature, mimiche, simboli ed altri fenomeni specifici (p.222).

Mi riferisco inoltre al fatto che la psicologia statunitense e la psicologia inglese ed europea hanno fatto largo uso, nella descrizio­ne e nella valutazione di casi clinici, del metodo e degli strumenti forniti dalle analisi teoriche di Sartre. Per tutti basti ricordare l'inglese Ronaid Laing, il più noto in Italia tra gli psichiatri che si richiamano alla fenomenologia, il quale, nel descrivere forme d'ansia quali il «risucchio», l'«implo­sione», la «pietrificazione», o forme di insicurezza nei confronti di se stesso e/o di altri come l'«evasione», l'«elusione», la «col­lusione» ecc…, ricorre con frequenza alle analisi contenute nelle opere di Sartre.

Il «risucchio», in quanto si definisce come una sensazione minacciosa che il soggetto avverte soprattutto nel rapporto con l'altro (anche se dipende dalla perdita del senso della propria auto­nomia e della propria identità), rimanda alle analisi sartriane del «per altri» contenuta nella Parte III di L'Etre et le Néant.

L'«implosione», in quanto è una forma d'ansia per la quale la realtà per se stessa si presenta come minacciosa, ricorda il comportamento magico nei confronti del reale del soggetto emo­zionato che Jean Paul  Sartre descrive ampiamente nel saggio Esquisse d'une théorie des émotions.

La «pietrificazione», nel duplice senso di «vedere» ed «essere visto» cioè di «trasformare» ed «essere trasformati » in pietra, come pure l'atteggiamento di indifferenza nei confronti dell'altro sono particolari forme d'ansia derivanti dall'esistenza dell'altro come libertà: «il risucchio consiste in questo: se si sente l'altro come un libero agente, si è esposti alla possibilità di sentire se stessi come un oggetto della sua esperienza, e quindi di sentirsi prosciugare la propria soggettività. Si è minacciati dal pericolo di diventare un semplice oggetto del mondo dell'altro, senza più vita propria, senza più un essere proprio. Sotto l'effetto di questa ansia l'atto stesso di sentire l'altro come persona viene vissuto come un atto potenzialmente suicida. Questa esperienza viene brillantemente descritta da Sartre nella terza parte di L'essere e il nulla»[2].

Occorre tuttavia rilevare che mentre in Sartre l'insicurezza ontologica è un fatto originale della condizione umana, in Laing è piuttosto l'atteggiamento cui si lascia andare l'individuo schizoide: «Nessuno, più dell'individuo schizoide, si sente vulnerabile ed esposto allo sguardo di un'altra persona. Se non prova un acuto imbarazzo, una "consapevolezza" di essere guardato dagli altri, vuol dire soltanto che ha temporaneamente evitato il manifestarsi dell'ansia, e ciò con due possibili modi: o ha trasformato in og­getto l'altra persona, spersonalizzando quindi i suoi sentimenti nei suoi confronti, o ha assunto un'aria indifferente» [3]. E ancora: «essere un oggetto agli occhi di qualcuno non rappresenta, per la persona "normale", un pericolo spaventoso. Ma per l'individuo schizoide ogni paio di occhi di un suo simile significa una testa di Medusa, dotata del potere effettivo di uccidere e spegnere quel po' di vita che è in lui. Egli cerca perciò di prevenire la sua pie­trificazione pietrificando gli altri, e gli pare, così facendo, di poter raggiungere una certa sicurezza» [4].

Va detto tuttavia che lo stesso Laing, in definitiva, sembra piut­tosto restio a parlare di una normalità standardizzata e le sue stesse esperienze cliniche vanno piuttosto nel senso di mettere in crisi, anche sotto questo profilo, le tesi classiche della psichiatria. E' nota peraltro la collaborazione tra Ronaid Laing e David Cooper, autore quest'ultimo, tra l'altro, di Psychiatry and Anti-Psychiatry, (Tavistock, Lon­dra, 1967), un’opera che tutto è tranne un riconoscimento della tradizione psichiatrica e della sua concezione di normalità.

L'influenza di Sartre è inoltre visibile nella descrizione che Laing fa della condizione schizofrenica, sia dal punto di vista del paziente, sia dal punto di vista del mondo nel quale il paziente vive: «Ma se una persona non agisce nella realtà, ma solo nella fantasia, diviene essa stessa irreale. Il "mondo" affettivo di questa persona si immiserisce e si dissecca; la "realtà" del mondo fisico e delle altre persone cessa di essere usata come palestra per l'esercizio creativo dell'immaginazione, e perciò perde sempre più il suo stesso significato. La fantasia, non essendo né immersa in qualche misura nella realtà, né ricevendo iniezioni di "realtà" che possano arricchirla, si svuota e si volati­lizza sempre più. E l'io, la cui relazione con la realtà è già tenue, perde sempre più il suo carattere reale e ne acquista uno sempre più fantastico, occupato com'è sempre di più in rapporti fantastici con i suoi fantasmi (immagini)»[5]

Come pure la spiegazione che il Laing da del fenomeno allucinatorio, in quanto questo consiste nella confusione che interviene a livello del rapporto io-non io, rivela chiaramente la matrice sartriana. Così Laing descrive l'esperienza di una allucinata: «Insieme con la tendenza a percepire aspetti del suo essere come dei non-lei, si aveva un'incapacità di discriminare fra ciò che «oggettivamente» era lei o non-lei. Questo è semplicemente l'altro aspetto della man­canza di una frontiera ontologica generale. Per esempio la paziente poteva credere che le gocce di pioggia che le cadevano sul viso fossero le sue lacrime» [6].

La ricerca degli influssi sartriani nella psichiatria di Laing po­trebbe continuare a lungo: mi limito a riportare ciò che lo stesso Laing riferisce esplicitamente come contributo di Sartre o ciò che sottintende chiaramente il discorso sartriano.

Per il comportamento elusivo, che è una manovra del soggetto, mediante simulazione, tendente a modificare la propria posizione originaria verso se stessi e/o gli altri e le cose [7], Laing richiama come esemplificativi due comportamenti di malafede descritti da Sartre in L'Etre et le Néant: il cameriere che gioca ad essere cameriere e la ragazza che seduta al caffè con un uomo discute con lui della teoria platonica dell'amore e che improvvisamente si sente prendere una mano dal suo interlocutore[8].

Per il comportamento collusivo, che è una manovra interpersonale «in cui ciascuno gioca volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto»[9], Laing si richiama alla situazione descritta da Sartre nella pièce Huis Clos.

Infine, per la relazione amorosa che, in un certo senso, è la comunicazione più completa tra l'io e l'altro, Laing può scrivere sulla scia di Sartre: «Nessuna teoria dei rapporti fra uomo e donna, per esempio, può consentire che si trascuri il fatto che ciascuno non cerca nell'altro solo un oggetto dal quale possa ottenere gra­tificazione, ma anche una persona da gratificare, che l'uomo e la donna ricercano nell'altro, in una relazione amorosa, non solo un mero oggetto grazie al quale possano raggiungere, più o meno sin­ceramente, lo stato di tumescenza e detumescenza, ma una esperienza unitaria, fisicamente intima ed eccitante, dalla quale ciascuno possa trarre la consapevolezza non solo di possedere il mondo intero attraverso il possesso dell'altro, ma anche quella di costituire, se pure per pochi istanti, il mondo intero  per l’altro»[10].Laing utilizza poi questa analisi per mostrare come la mag­gior parte dei soggetti si sforzi «di occupare il primo posto, se non l'unico posto di rilievo, nello schema del mondo di almeno un'altra persona» [11] sino agli eccessi del paranoide, per il quale non si tratta più di vivere nel proprio mondo, ma «per proiezione magica nel mondo degli altri» [12].

sergio magaldi

 

 

 



[1] Cfr. H. Ishiguro, L'immaginazione in AA.V.V., Filosofia analitica in-glese, Lerici, Roma, 1967, p. 192.

 

[2] Cfr. R.D. Laing, L'io diviso, Einaudi, Torino, 1969, p. 56.

[3] Ibidem, p. 87.

[4] Ibidem, pp. 87-88.

[5]  R. Laing, op. cit., pp. 97-98.

[6] Ibidem, p. 222.

[7]  Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri. Sansoni, Firenze, 1969, p. 44.

[8]  Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il nulla, II Saggiatore, Milano, 1964, p. 100 e 95-96 e R.D. Laing, L'io e gli altri, pp. 42-46.

 

 

[9] Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri, p. 126.

[10] Ibidem, p. 159 (Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il nulla,trad.it., p. 453).

[11] Ibidem.

 

[12] Ibidem, p.160


lunedì 15 aprile 2024

La tradizione celtica nei romanzi di Orio Giorgio Stirpe – Druidi, Bardi...




“DOPO ROMA” è un progetto di Orio Giorgio Stirpe per raccontare – tra storia e leggenda – i cosiddetti “secoli bui” che seguirono la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.). Due cicli narrativi indipendenti e tuttavia connessi tra loro che hanno come protagonisti rispettivamente il soldato romano Marco Valerio e l’elfa Deirdre d’Armorica, nata cioè nella regione costiera a nord dell’antica Gallia. Ed è proprio attraverso la narrazione delle avventure della giovane guerriera celtica che una tradizione – peraltro mai scomparsa del tutto – viene riportata alla luce soprattutto nei suoi momenti salienti caratterizzati dalle quattro grandi feste del fuoco: Samhain, Capodanno dei Celti che, “mutatis mutandis”, ricorda da vicino – e non solo per la data – la “nostra” Halloween. Imbolc, la festa degli inizi di febbraio che annuncia già il prossimo avvento della primavera. Beltane che è la festa della vita e della fertilità e che rappresenta, nel mese di maggio, il culmine della primavera. E infine Lughnasad che nella pienezza dell’estate celebra il momento fondamentale del raccolto.

mercoledì 27 marzo 2024

Le quattro libertà fondamentali – Per un Mondo come ‘dovrebbe essere’




Le quattro libertà sono quelle proclamate il 6 gennaio 1941 dal 32° Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt ai membri del Settantasettesimo Congresso appena costituitosi. Sono le stesse libertà che saranno fatte proprie dalla Costituzione Italiana sette anni dopo (1 gennaio 1948). Intervenendo, mentre in Europa infuria la Seconda Guerra Mondiale, il Presidente Roosevelt - dopo aver rassicurato le democrazie occidentali che gli americani impiegheranno tutte le proprie energie e tutti i propri mezzi per riconquistare e mantenere le libertà perdute - annuncia per l’immediato futuro “un mondo fondato su quattro libertà umane essenziali”: libertà di parola e di espressione, libertà religiosa, libertà dal bisogno e libertà dalla paura, intesa quest’ultima non solo come impegno a combattere la violenza all’interno di uno stato ma come il fermo proposito di ridurre gli armamenti in tutto il mondo a un tale punto da scoraggiare atti di aggressione di una nazione sulle altre.

domenica 24 marzo 2024

RILEGGERE SARTRE (P.6a: Sartre e il maggio francese)


 

Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 

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Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:

 

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RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà.

la Repubblica

25 gennaio 2023

 

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https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p2a-sarte-filosofo.html


https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p-1a-sartre-narratore.html



Sartre e il Maggio francese

Come è stato giustamente osservato, né «dai rapporti di produzione assunti solo come ambito oggettivo di relazioni» né «dalla negazione della temporizzazione sembra possibile giungere alla spiegazione di un evento la cui dinamica è risultata sostanzial­mente fondata sopra la interiorizzazione del futuro»[1]

Althusserismo e strutturalismo — benché quest'ultimo si pro­ponga soltanto come una metodologia delle scienze umane — ap­paiono inadeguati come discorso complessivo a reggere il confronto con la nuova Weltanschauung che il maggio, come affermazione dialettica della lotta di classe, imprevedibile secondo una pura analisi strutturale, è in grado di offrire. In questo senso taluni han­no parlato della rivoluzione di maggio come di una rivoluzione sartriana.

Ciò che, forse, non è nelle intenzioni e nelle dichiarazioni degli studenti [2], ma se si può parlare di una filosofia» del maggio, questa — si è osservato — è la filosofia di Sartre; per spiegare l'esplosione rivoluzionaria del maggio non c'è bisogno di ricorrere a Marx o a Marcuse. Una filosofia che lo strutturalismo si era affrettato a sotterrare aveva profetizzato il maggio francese otto anni prima, e questa era la filosofia di Jean Paul Sartre [3]:

«Sartre ha descritto dap­prima nel suo libro le forme passive, anonime dove gli individui sono alienati — è cioè che egli chiama il «pratico inerte» — poi egli ha mostrato come un gruppo introduce la negazione della storia e si forgia da se stesso invece di essere forgiato, s'inventa in rottura con questa società passiva ed anonima, che un sociologo americano chiamava nelle medesime circostanze «la folla solitaria». Gli studenti che hanno fatto scoppiare la rivoluzione della primavera del '68 erano formati, se non a questa seconda filosofia sartriana, almeno a un pensiero dialettico della storia. Maggio '68, è l’insur­rezione d'una negazione «selvaggia» nella storia. L'incursione della libertà «sartriana», non della libertà dell'individuo isolato, ma la libertà creatrice dei gruppi [4].

Così, non si tratta tanto di riconoscere a Sartre il merito di moralizzatore della lotta politica rivoluzionaria, come pure osserva efficacemente Rossana Rossanda: «L'impegno politico di Sartre è una lezione di moralità politica rivoluzionaria. La sola che a un intellet­tuale, nelle condizioni di separatezza e negli anni vissuti da Sartre, fosse consentito di sperimentare e trasmettere. Ogni altra scelta sarebbe ricaduta nell'opportunismo: o quello di chi, con vari alibi, s'è venuto staccando da un rapporto diretto, per disperato che fosse, col movimento operaio, o quello di chi si sente assolto dal pensare e ripensare per avere aderito al partito comunista. Sartre insegna a non contentarsi: la sua intransigenza si esprime nel bisogno inacquietato di verificare volta a volta quale è, dove si trova il fronte di classe, e là collocarsi, insieme libero e solidale. Nel rifiutare dele­ghe o discipline, ma nel cercare uno schieramento, intendere i bisogni e i doveri. Nel rifiutare i tatticismi, ma nel cercare una unità. Nell'intendere insomma il fare politico come una rimessa in questione permanente di sé, saper ricominciare daccapo, ricostruire a ogni passo senza residui un im­pegno. Difficile separare le sue "impasses" e i suoi fallimenti da quelli di tutta la sinistra rivoluzionaria da quarant'anni a questa parte; speranze e sconfitte della rivoluzione occidentale hanno in lui, come in pochi altri, non un testimone o uno storico, ma un punto singolare di precipitazione, sono diventate una vita che tempestosamente le ha precorse e riflesse»[5].

Si tratta piuttosto quanto, senza che si possa parlare di identificazione tra ideologia sartriana e ideologia dei «gruppi», di sottolineare come il pensiero sartriano — in quanto tentativo storicamente fondato di «soggettivizzare» il marxismo — rappresenti, per entro il materialismo dialettico, l'unica alternativa al marxismo ortodosso, sia in pro­spettiva rivoluzionaria, sia per la critica del potere socialista nelle forme storicamente esistenti.

S E G U E

 

sergio magaldi



[1] Cfr. P.A. Rovatti, Sartre e il marxismo strutturalistico, in Aut Aut n.136-137, luglio-ottobre 1973.



[2] Cfr. Les animateurs parlent in La Révolte étudiante, Seuil, Parìs, 1968.

 

[3]  Cfr. Epistemon, Ces idées qui ont ébranlé la France, Fayard, Paris, 1968, p. 76.

 

[4] Le. Monde, 30 novembre 1968.

[5]R. Rossanda, Sartre e la pratica politica, in Aut Aut n. cit., p. 40

domenica 10 marzo 2024

Viaggio nella Qabbalah – Sephiroth e Campi Quantici (p.9ª)




Un viaggio nella Qabbalah non poteva che avvenire osservando innanzitutto l’Albero della Vita, a cominciare dalla riflessione sul versetto di Genesi II, 9: «Adonai Elohim fece germogliare dal terreno tutti gli alberi dall’aspetto piacevole e dal frutto buono a mangiarsi, l’Albero della vita in mezzo al giardino e l’Albero della conoscenza del bene e del male». Con questo spirito abbiamo compiuto un’ascesa virtuale (perché altra cosa è un vero e proprio cammino iniziatico) lungo l’Albero a partire da Malkuth al fine di mostrare che solo attraverso la rettificazione personale è possibile il Tiqqun Haolam, la rettificazione del mondo intero. Di Sephirah in Sephirah siamo giunti infine a Tiphereth che come “Cuore dell’Albero” ha una funzione riparatrice delle Sephiroth cosiddette emotive, i cui recipienti di luce subirono una frantumazione con la dispersione di 288 scintille di santità, divenute preda del male. È la “Rottura dei vasi” la Shevirat haKelim causata dagli eventi biblici o più probabilmente dallo Tzimtzum e dal primo raggio di luce che si diffonde appena un istante dopo lo Tzimtzum, balenando nel vuoto e cominciando a creare mondi. Luce troppo forte per essere trattenuta oltre le Sephiroth superne: Kether-Chokmah-Binah. Ed è proprio da Kether che tutto ha inizio, con i suoi 620 pilatri di luce che discendono prima in Chokmah, la cui energia si trasforma in materia e poi in Binah, la matrice che è forma dei mondi e di tutto ciò che esiste. In questa ottica, le Sephiroth dell’Albero della vita anticipano incredibilmente i cosiddetti campi quantici della fisica contemporanea perché, così come le Sephiroth, i Campi quantici si propagano nello spazio-tempo generando onde/particelle di luce e creando l'Universo di energia pulsante, in cui tutto è invisibilmente interconnesso. --------------------------------------------------------- Per vedere le precedenti puntate del 'Viaggio nella Qabbalah' vai alla Playlist:    • Lo Zibaldone  

giovedì 29 febbraio 2024

RILEGGERE SARTRE (P.5a Sartre nella revisione della critica)




 Meno di un anno fa, Riccardo De Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.

Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È  certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.

A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.

Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).

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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.

Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post: 


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Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:








RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di  L’essere e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023

 

La riscossa esistenzialista

il manifesto

07 maggio 2023

 

Un'esistenza che precede l'essenza

Il Sole 24 Ore

05 marzo 2023

 

Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo

Avvenire

19 febbraio 2023

 

Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

Critica Letteraria

18 febbraio 2023

 

Siamo condannati alla libertà.

la Repubblica

25 gennaio 2023

 

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Sartre nella revisione della critica

Già nel '48 è in atto una revisione della critica: cominciano i cattolici, ma solo dopo che sono apparsi i primi contributi scienti­fici sull'opera di Sartre. In Le problème moral et la pensée de Sartre (Editions du Myrte, Paris, 1947), F. Jeanson ricostruisce adeguatamente il senso di L'Etre et le Néant e degli scritti che vi si riconnettono. Sartre stesso, in una breve prefazione al testo (pp. 13-14), riconosce la validità del metodo seguito dal Jeanson nell'esposizione del suo pensiero.

Un altro autore, G. Varet, in L'ontologie de Sartre, (P.U.F., Paris, 1948) scrive: «II debito che la filosola francese ha verso Sartre consiste nel fatto che L'Etre et le Néant è la prima esposizione di fenomenologia sistematica che sia stata mai fatta in Francia e la migliore introduzione alle opere dei filosofi tedeschi. Il punto di partenza della filosofìa di Sartre è lo sviluppo sistematico della riflessione cartesiana alla luce dell'idea husserliana di in­tenzionalità: il suo tentativo più valido (anche se votato allo scacco) è quello di risolvere il problema dell'Essere ricorrendo alla descrizione feno­menologica (pp. 1-3)». Il libro fornisce inoltre una accurata esposizione del maggior testo filosofìco di Sartre.

Sulla scia di questi autori, Henry Duméry nelle pagine introduttive del suo libro Foi et Interrogation, dopo aver osservato che sul piano fìlosofìco non esiste ateismo più virulento di quello sartriano, afferma che «bon gré mal gré», occorre affrontare questa filosofìa per molti aspetti sconcertante ma della quale sono innegabili il vigore, l'influenza e l'ambiguità. D'altra parte – continua Dumery –  sarebbe disonesto travestire per meglio rifiutarle le tesi sartriane, si tratta invece di accostarsi a Sartre senza partito preso, soprattutto dopo aver letto gli scritti di Jeanson, il primo dei critici ad aver valutato positivamente le opere di Sartre. In conclusione il Duméry, pur tenendo ben ferma la sua opposizione nei confronti dell'ateismo sartriano si augura di far comprendere sino in fondo – nella parte del suo libro dedicata allo studio del filosofo francese – il valore teoretico delle analisi di Sartre[1].

Con gli anni '50 si viene componendo, nella valutazione del sartrismo, quella scissione tra critica e pubblico del precedente decennio. La conoscenza di Sartre ha ormai varcato i confini nazio­nali dando vita ad una fioritura di studi sui vari aspetti della sua opera. Anche la critica marxista muta completamente d'orizzonte dopo l'avvicinamento di Sartre al P.C.F. e all'U.R.S.S [2].

Nel 1960 Sartre pubblica La Critique de la raison dialectique, frutto di una riflessione iniziata negli anni '50. I primi giudizi sono sostanzialmente favorevoli, anche se si sottolinea talora la soluzione di continuità tra quest'opera e  L'Etre et le Néant [3], oppure se ne afferma la continuità per porre l'accento sui medesimi vizi di fondo che sarebbero presenti nelle due opere.

Così è per il filosofo comunista Roger Garaudy in Perspectives de l'homme  (P.U.F., Paris 3" ed. 1961 e la nuova edizione accresciuta del 1969). La I edizione dell'opera del Garaudy è del 1959, già poteva, dunque, tener conto di “Question de méthode” che costituisce la prefazione di Critique de la raison dialectique. Sorvolando sull'evoluzione del pensiero sartriano (ciò che non necessariamente è indice di frattura tra L'Etre et le Néant e La Critique de la raison dialectique), Garaudy ribadisce nei confronti di Sartre e dell'esistenzialismo l'accusa di irrazionalismo e sostiene la contraddittorietà dell'esistenzialismo sartriano costretto a scegliere tra un atto di fede irrazionale e una integrazione con il marxismo che non potrebbe realizzarsi se non con l'abbandono delle premesse irrazionali dell'esistenzialismo stesso. Il libro contiene anche (pp. 111-114, I ed.) una lettera-risposta di Sartre: in precedenza, infatti, Garaudy gli aveva sottoposto il manoscritto pregandolo di commentarlo. In tale lettera Sartre ribadisce la piena conciliabilità tra esistenzialismo e marxismo secondo quanto aveva già sostenuto in “Question de mèthode”.

Un violento attacco alle posizioni della «Critique» è portato da Lévy-Strauss nel capitolo conclusivo di La pensée Sauvage (Paris 1962) ed è già preludio alla cosiddetta svolta degli anni Sessanta in cui si comincia a parlare di crisi del sartrismo nonostante l'attribuzione del Nobel a Sartre nel '64, premio peraltro rifiutato.[4]  .

La polemica che la « nuova » cultura francese conduce nei confronti del sartrismo incalza e l'interesse per Sartre decresce a misura che si afferma l'interesse per lo strutturalismo (Lévy-Strauss, Foucault), per la psicanalisi (Lacan) e soprattutto per il marxismo strutturalistico di Althusser. D'altra parte, proprio agli inizi degli anni Sessanta si viene sviluppando in Francia un attacco contro la filosofia da parte delle scienze umane. Ciò comporta, non solo una attenuazione d'interesse per il Sartre filosofo (il quale continua ad assegnare alla filosofia il compito di una analisi totalizzante del reale), ma anche per il Sartre marxista, dal momento che, fermo restando l'oggettivismo del marxismo orto­dosso, il materialismo storico dialettico appare sempre meno interessato al tentativo sartriano di «soggettivazione» e, per contro, sempre più sollecitato ad utilizzare epistemologia e scienze umane, privi­legiando — di contro al soggetto e alla prassi storica — il concetto di struttura. Ma. Come si vedrà, la stessa realtà francese si appresta a ridimensionare il marxismo strutturalistico con l'esplosione rivoluzionaria del maggio del '68.



[1]  Cfr. H. Duméry, Foi et Interrogation, Téqui, Paris, 1953, p. XIII. L'opera comprende una sezione (La question Sartre, pp. 73-123) che raggruppa scritti su Sartre che vanno dal '47 in poi. H. Duméry filosofo della religione e interprete di Blondel, autore fra l'altro di: Le trois tentations de l'apostolat moderne, Paris, 1948; La philosophie de l'action. Essai sur l'intellectualisme blondélieneen prefazione di M. Blondel, Paris 1948; De la méthode dans les sciences in collaborazione con G. Marcel, J. Lacroix, J. Guitton ecc..., Paris, 1949; La philosophie catholique en France in La Philosophie francaise, Paris, 1950.
Per i rapporti di Sartre con il comunismo, sino al 1970, si rimanda al citato libro di F. Fé.

[2] Per i rapporti di Sartre con il comunismo, sino al 1970, si rimanda al citato libro di F.

[3] Così S. Doubrowsky in Nouvelle Revue Française, sett.-ott.-nov. 1961.

[4]  Sulla questione relativa al rifiuto del premio Nobel da parte di Sartre si vedano di M. Contat-M. Rybalka, op. cit., le pp. 401-408. Cfr. inoltre: R. Jean, Non récupérable, ou Sartre prix Nobel, in « Cahiers du Sud », nov.-dic., 1964.

S E G U E 

sergio magaldi