La pretesa della cosiddetta sinistra e degli altri partiti
di opposizione di udire finalmente pronunciare dagli esponenti del governo, e
segnatamente da quelli del partito di maggioranza relativa, una dichiarazione
di “antifascismo” – almeno nella ricorrenza storica del 25 aprile – è
contraddittoria in sé. Da una parte, infatti, si insiste nel presumere la
continuità di “Fratelli d’Italia” rispetto al “ventennio” e alla Repubblica di
Salò, dall’altra si pretende che il partito che ha vinto democraticamente le
elezioni rinneghi le proprie radici.
D’altra parte, la motivazione ufficiale della destra di
maggioranza nel non volersi proclamare antifascista si basa su un’altra
contraddizione. Si dice infatti che l’antifascismo, nella comune accezione di
oggi, significa identificarsi con i partigiani comunisti; motivazione risibile
dal momento che del Comitato di liberazione nazionale – com’è noto – facevano
parte anche monarchici, liberali, cattolici, socialisti e azionisti e che tutti
costoro presero parte, in misura maggiore o minore, alla Resistenza contro il
nazifascismo.
È così che la principale forza di governo ha fatto, ormai
da qualche anno, della festa per la vittoria contro gli invasori tedeschi e i
loro accoliti, una festa – che quest’anno si raccomanda “sobria” (?!) per la concomitanza
con la scomparsa di un grande Pontefice come papa Francesco – di
riconciliazione nazionale. Tant’è che, contrariamente a ciò che si continua a
credere e a ripetere, l’Italia, almeno in punto di diritto, non può definirsi
propriamente una repubblica antifascista, ma più semplicemente uno Stato che,
in forza della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione
repubblicana, si limita a vietare la ricostituzione del partito fascista.
Una riconciliazione tra italiani é sempre auspicabile ma
non si può ignorare ciò che in realtà rappresenta il 25 aprile: la memoria dei
milioni di morti causati dalla guerra fascista e la fine di un regime
totalitario che carcerò e uccise gli avversari politici e che collaborò alla
mattanza nazista contro gli ebrei.
Tutto ciò premesso, mi verrebbe da chiedere alle
opposizioni di centro e di sinistra come si sia arrivati a tutto questo, dopo ottanta
anni dalla caduta del regime fascista. Il fatto è che l’elettorato, raschiando
il fondo del barile, ha trovato infine l’unico leader che non si era ancora
sporcato le mani con pratiche di governo e gli ha dato fiducia. Resta da sapere
quanto durerà questo idillio, anche se per forza di inerzia potrebbe durare a
lungo perché, divisione delle opposizioni a parte, la politica inaugurata dai
governi di centrodestra – al di là di certe dichiarazioni ideologiche di principio
– è in perfetta armonia con la politica dei tanti governi di centrosinistra
che si sono succeduti dalla liberazione ad oggi: nessuna vera riforma fiscale
per tentare di ridistribuire il reddito,
aumentare i consumi e la crescita produttiva, continuità con la politica corporativa dei “bonus” inaugurata da Renzi e proseguita con il “superbonus” di Conte che,
per inefficienza di gestione e non solo, ha finito con l’arricchire i furbi, nessuna
reale misura per fronteggiare il “caro-energia” sulle bollette degli italiani e
così via.
A questo punto l’elettorato, stanco di cambiare
ulteriormente e inutilmente, potrebbe decidere di diminuire ancora la propria
partecipazione al voto, lasciando ad una minoranza ideologizzata il compito di
governare nella continuità di una politica che, nel migliore dei casi, è
orientata a mantenere lo status quo.
sergio magaldi
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