venerdì 5 ottobre 2012

AESH MEZAREPH o Fuoco che purifica...



  Nel mio ultimo post, sul romanzo di Marcello Simoni, Il mercante di libri maledetti [Newton Compton Editori, Roma, 2012], vincitore del Premio Bancarella 2012, ho fatto riferimento ai quadrati magici.

  Il libro che costituisce una delle fonti più antiche e preziose per lo studio dei quadrati magici in chiave alchemica è Aesh mezareph di anonimo autore. Dell’edizione [Pericle Tangerine, Roma, 2004] da me tradotta, riporto di seguito la Prefazione.

Aesh mezareph, prefazione, traduzione e note di Sergio Magaldi, in appendice un saggio sui quadrati magici di Federico Pignatelli, Roma, 2004
 


Aesh mezareph


                                    Prefazione
                                     di Sergio Magaldi


 Per l’anonimo autore di Aesh mezareph l’uomo è una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo umano con le Sephiroth dell’Albero della vita, l’uomo deve  apprendere a purificare i metalli impuri che si trovano in lui. Se riuscirà nell’impresa, non otterrà ricchezze materiali ma acquisterà in cambio longevità e saggezza.

 S’intravede già dalle prime righe del testo il collegamento tra Qabbalah e Alchimia, nel senso tuttavia che senza la conoscenza della prima non sarà neppure possibile accostarsi alla seconda, almeno di non voler fare come « gli studenti volgari della natura » che male intrepretando e per di più facendosi vanto di possedere la chiave di ogni segreto, finiscono per ottenere, in luogo di longevità e saggezza, malattie e disprezzo.

Il discorso cabbalistico in Aesh mezareph si avvale, com’è nella tradizione della Qabbalah, del continuo riferimento ai versetti biblici, dell’uso talora anche eccessivo delle ghematrie e del costante rapporto tra le Sephiroth e i metalli, con analogie a prima vista sorprendenti solo perché hanno la possibilità di essere comprese all’interno di una prospettiva alchemica. Sorprenderà così, per esempio, che la materia prima dell’Opera venga attribuita a Chokmah [Sapienza] – Piombo, la medicina dei metalli a Malkuth [Regno e Luna degli alchimisti] e l’oro a Gheburah [Potenza], e dove ci saremmo aspettati di trovare l’oro nella Sephirah più alta, vi troviamo invece il metallo più vile e dove la lebbra o la corruzione dei metalli, troviamo al contrario la medicina per purificarli. Quanto all’oro di Gheburah, apprendiamo subito dal testo che il fondamento dell’oro è nel ferro misto al fango e che esistono ben dieci qualità di oro. Spetta dunque a questa Sephirah esprimere le diverse e potenziali trasformazioni dell’oro, giacché in fondo un po’ d’oro si nasconde in ogni Sephirah e in ciascun metallo e tutto può essere purificato per l’azione di quella – per usare il linguaggio caro agli Orfici – « scintilla di luce » che si trova nei corpi.
 
 Si comprende così anche il ruolo delle Sephiroth Chokmah e Malkuth. La prima e l’ultima, perché Kether, la Corona dell’Albero sephirotico,  è  la radice stessa dei metalli. Solo il saggio perviene alla comprensione della vera materia prima dell’Opera e solo lui conosce il potere della Luna per sbiancare i metalli impuri.

 Al linguaggio alchemico-cabbalistico, fatto di continui riferimenti alle Sephiroth, alle ghematrie, ai passi biblici, alle varie fasi dell’Opera per la purificazione dei metalli, l’anonimo autore aggiunge l’uso dei quadrati magici. Così, seguendo l’ordine che ne dà egli stesso, il quadrato del Sole, sulla cui struttura mi soffermerò in nota al testo, si trova in analogia con il Leone alchemico, con l’oro e con la potenza di Gheburah. Il quadrato della Luna si associa con l’argento, con Chesed e con le cinquanta Porte di Binah; il quadrato di Marte col ferro, con Tiphereth e con il cuore dell’uomo, giacché Tiphereth è un guerriero ed è chiamato a rettificare tanto la natura maschile che quella femminile.
 
 Seguono ai precedenti: il quadrato di Giove in analogia con Netzach e con Binah e collegato allo stagno, un metallo, per la verità, di scarso valore; il quadrato di Venere associato con Hod, con il bronzo e con il verbo Tzaphah (osservare); il quadrato di Saturno legato al piombo e a Chokmah, al nome di Dio nella Sephirah e al Sabato.
Per ultimo il quadrato di Mercurio, in relazione con Yesod, con l’argento vivo e con l’acqua aurea.

 Nel congedare la traduzione, utilizzo il titolo della traduzione latina, Aesh mezareph, in luogo di quello della corretta trascrizione ebraica che sarebbe Esh Metzaref. La ragione è molto semplice. Ciò che sembra restare di questo trattato non è altro, infatti, che il compendio che ne dà Christian Knorr von Rosenroth nella sua Kabbala Denudata, scritta in latino e pubblicata a Sulzbach tra il 1677 e il 1684. Inutilmente, tuttavia, si cercherebbe nell’opera del Rosenroth il Compendium  in forma unitaria, perché vi si trova piuttosto disperso in vari frammenti. Il vero problema è allora quello di risolvere la questione del carattere e dell’autenticità di questi frammenti. 

 Scrive in proposito Gerschom Scholem: « Il modo di esprimersi e il contenuto in queste citazioni mostrano con chiarezza che Knorr von Rosenroth aveva sotto gli occhi effettivamente un manoscritto ebraico che recava questo titolo, e non un qualche libro scritto in latino o in un’altra lingua. Dal modo letterale, anche se certo non sempre corretto, di tradurre di Knorr traspare a ogni piè sospinto l’ebraico […] L’autore conosceva il Talmud  e comprendeva il latino […] Ancora più chiaramente testimonia del carattere di questo testo il suo stesso contenuto. Il primo capitolo comprendeva visibilmente un’introduzione, di cui è citato il brano principale ; i capitoli dal secondo all’ottavo lasciano ancora vedere chiaramente la sequenza in cui erano disposti. Il testo era ordinato – nei capitoli che abbiamo; non è chiaro se ve ne fossero altri – secondo i metalli, e più esattamente nella sequenza: oro, argento, ferro, stagno, rame, piombo, mercurio e zolfo. Tre tipi di contenuto lo compongono: un contenuto puramente cabalistico, che riguarda il simbolismo mistico dei metalli nella loro connessione alle sefirot e cita, si noti, lo Zohar non più di una sola volta; un contenuto puramente chimico, che in sostanza descrive singole operazioni e processi, senza alcun rapporto con le altre parti del testo; e infine, come a concludere ogni capitolo, una parte astrologica che descrive gli amuleti planetari corrispondenti ai vari metalli, e fornisce materiale rilevante per l’indagine sulle origini di tale scritto. »  
 
 Circa la data presunta di composizione di Aesh mezareph, sempre lo Scholem propone che la stessa debba essere posta tra il 1620 e il 1660 e che comunque l’opera non possa essere stata scritta prima del 1560, dal momento che i passi citati dello Zohar si riferiscono all’edizione stampata a Cremona nel 1560. 

 Ho tradotto il titolo in italiano Fuoco purificatore per rendere meglio la funzione specifica di questo fuoco che in qualche misura pare ispirarsi al fuoco di Malachia, 3, 1-2 : « Questo vi risponde il Signore dell’universo : ‘ Io mando il mio messaggero a preparare la strada davanti a me. Il Signore che voi desiderate entrerà subito nel suo tempio. Attendete dunque il messaggero che proclamerà la mia alleanza con voi. Eccolo, sta per arrivare. Chi potrà sopravvivere al giorno in cui egli giungerà ? Chi potrà restare in piedi, quando apparirà ? Egli sarà come il fuoco che raffina i metalli, come il sapone che lava le vesti’. »

 La divisione dei vari passi del Compendium in capitoli è dello stesso Christian Knorr von Rosenroth.
















         

1 commento:

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