Marcello Simoni, Il mercante di libri maledetti, Newton Compton Editori, Roma, 2012, pp.351 |
Quasi al termine del secondo decennio del 1200, un mercante di reliquie, tale Ignazio da Toledo, con il fido e valoroso Willalme de Béziers e Uberto, un giovane converso del Monastero di Santa Maria del Mare, si mettono alla ricerca, tra Italia, Francia e Spagna, di un prezioso manoscritto che consente di evocare gli angeli e divenire partecipi della loro sapienza: è l’ Uter Ventorum. Il monaco Vivïen de Narbonne, grande amico di Ignazio da Toledo, l’ha diviso in quattro parti e l’ha nascosto in altrettanti luoghi – sembra, poco prima di essere assassinato – perché non cada in possesso dei Veggenti della Saint-Vehme che lo userebbero a fini malefici e per accrescere il loro potere.
Inizia così una specie di caccia al tesoro da parte di Ignazio, Willalme e Uberto per recuperare le quattro parti divise del manoscritto e cogliere infine il segreto per evocare gli angeli. Come nella realtà, gli amici diventano presto nemici e, come in ogni caccia al tesoro che si rispetti, il nascondiglio è protetto da una serie di indovinelli, e c’è da giurare che, essendo nel Medioevo, questi siano di natura esoterica. In ciascuno dei “quattro viaggi” le avventure si ripetono con incredibile puntualità, persino nei dettagli, con la lotta tra coloro che vorrebbero impossessarsi dell’Uter Ventorum a fini di potere e i nostri tre eroi che cercano di scongiurare tale eventualità.
La trama di Il mercante di libri maledetti, il romanzo con cui Marcello Simoni ha vinto la sessantesima edizione [2012] del “Bancarella”, è più o meno tutta qui. Com’è noto il Bancarella è il premio che librai e bancarellai italiani, con votazione a maggioranza, assegnano ogni anno al libro considerato ogni anno il più meritevole, perché è anche il più venduto nel periodo preso in esame. È dunque un riconoscimento che si basa sul “passaparola” e sugli acquisti da parte dei lettori.
Il romanzo di esordio di Marcello Simoni, per la verità, non è uscito per la prima volta in Italia, ma in Spagna, nel 2010, con il titolo di El secreto de los cuatro ángeles, “Il segreto dei quattro angeli”. Non perché si svolga prevalentemente in Spagna, ma per i motivi che spiega lo stesso autore: “Dall’Italia non arrivavano risposte, così spedii una serie di email a case editrici spagnole. In fondo il mio protagonista si chiama Ignazio da Toledo”. Solo l’anno successivo, il romanzo è pubblicato in Italia da Newton Compton Editori.
Il libro è scritto in un linguaggio semplice e corretto, dove anche le regole della sintassi sono rispettate… Qualche perplessità desta invece, a mio giudizio, il tessuto della trama che, tra prologo, epilogo e ottantotto brevi capitoli, si rivela alquanto esile e male imbastito, cucendo alla meglio tra loro frammenti di stoffa ordinaria… spacciata per pregiatissima seta. Un po’ come nel cinema italiano degli ultimi anni, dove le storie raccontate sullo schermo sono spesso brevi “scene” malamente assemblate… e non per colpa del montaggio.
Sorprende altresì la superficialità con cui l’autore si accosta all’esoterismo, laddove, per esempio, sembra esaltarsi nel riportare un quadrato magico e nell’assegnargli la rivelazione di un “grande” segreto. Senza neppure dire che si tratta del quadrato magico di Saturno, sottolineando soltanto l’illuminazione con cui Ignazio da Toledo scopre che le lettere ebraiche del “quadrato” nascondono i numeri arabi, per via della ghematria, ridotta schematicamente ad “un sistema di sostituzione alfabetica secondo cui a ogni lettera ebraica corrisponde un numero”:
“‘Un quadrato diviso in nove caselle’, osservò Uberto. ‘Ma cosa rappresentano i caratteri al suo interno?’
‘Sono lettere ebraiche’, rispose il mercante.
‘Lettere ebraiche?’, intervenne Willalme.
Inizia così una specie di caccia al tesoro da parte di Ignazio, Willalme e Uberto per recuperare le quattro parti divise del manoscritto e cogliere infine il segreto per evocare gli angeli. Come nella realtà, gli amici diventano presto nemici e, come in ogni caccia al tesoro che si rispetti, il nascondiglio è protetto da una serie di indovinelli, e c’è da giurare che, essendo nel Medioevo, questi siano di natura esoterica. In ciascuno dei “quattro viaggi” le avventure si ripetono con incredibile puntualità, persino nei dettagli, con la lotta tra coloro che vorrebbero impossessarsi dell’Uter Ventorum a fini di potere e i nostri tre eroi che cercano di scongiurare tale eventualità.
La trama di Il mercante di libri maledetti, il romanzo con cui Marcello Simoni ha vinto la sessantesima edizione [2012] del “Bancarella”, è più o meno tutta qui. Com’è noto il Bancarella è il premio che librai e bancarellai italiani, con votazione a maggioranza, assegnano ogni anno al libro considerato ogni anno il più meritevole, perché è anche il più venduto nel periodo preso in esame. È dunque un riconoscimento che si basa sul “passaparola” e sugli acquisti da parte dei lettori.
Il romanzo di esordio di Marcello Simoni, per la verità, non è uscito per la prima volta in Italia, ma in Spagna, nel 2010, con il titolo di El secreto de los cuatro ángeles, “Il segreto dei quattro angeli”. Non perché si svolga prevalentemente in Spagna, ma per i motivi che spiega lo stesso autore: “Dall’Italia non arrivavano risposte, così spedii una serie di email a case editrici spagnole. In fondo il mio protagonista si chiama Ignazio da Toledo”. Solo l’anno successivo, il romanzo è pubblicato in Italia da Newton Compton Editori.
Il libro è scritto in un linguaggio semplice e corretto, dove anche le regole della sintassi sono rispettate… Qualche perplessità desta invece, a mio giudizio, il tessuto della trama che, tra prologo, epilogo e ottantotto brevi capitoli, si rivela alquanto esile e male imbastito, cucendo alla meglio tra loro frammenti di stoffa ordinaria… spacciata per pregiatissima seta. Un po’ come nel cinema italiano degli ultimi anni, dove le storie raccontate sullo schermo sono spesso brevi “scene” malamente assemblate… e non per colpa del montaggio.
Sorprende altresì la superficialità con cui l’autore si accosta all’esoterismo, laddove, per esempio, sembra esaltarsi nel riportare un quadrato magico e nell’assegnargli la rivelazione di un “grande” segreto. Senza neppure dire che si tratta del quadrato magico di Saturno, sottolineando soltanto l’illuminazione con cui Ignazio da Toledo scopre che le lettere ebraiche del “quadrato” nascondono i numeri arabi, per via della ghematria, ridotta schematicamente ad “un sistema di sostituzione alfabetica secondo cui a ogni lettera ebraica corrisponde un numero”:
“‘Un quadrato diviso in nove caselle’, osservò Uberto. ‘Ma cosa rappresentano i caratteri al suo interno?’
‘Sono lettere ebraiche’, rispose il mercante.
‘Lettere ebraiche?’, intervenne Willalme.
‘Ma non stavamo cercando un codice persiano?’
‘Forse l’Uter Ventorum è stato trascritto in parte da un giudeo’, ipotizzò Ignazio. ‘O più semplicemente, l’ebraico è stato ritenuto idoneo allo scopo. Dopotutto, questo idioma viene considerato la lingua della creazione, parlata da Dio, dagli angeli e dai primi uomini’.
Uberto fece cenno d’aver compreso. ‘E nel nostro caso, questi nove caratteri quali significati avrebbero?’
‘Conosco poco la lingua ebraica, ma me ne intendo abbastanza da sospettare che questi caratteri non compongano parole’.
‘Da cosa lo deduci?’
‘Per il momento si tratta solo di un’intuizione. Ma il fatto che siano contenuti dentro una figura geometrica, un quadrato,e che ciascuno di essi compaia una volta soltanto, mi dà l’impressione che alludano a una formula matematica’.
‘La matematica si fa con i numeri’, obiettò Uberto, ‘non certo con le lettere’.
A tali parole Ignazio ebbe un’illuminazione. Aggrottò la fronte e inseguì un pensiero che andava formandosi nella mente, restando immobile come un felino che scruta la preda. D’un tratto batté una mano sul tavolo. ‘Ma certo!’, esclamò, facendo sobbalzare i compagni. ‘La ghimatriah!’.
Uberto e Willalme lo guardarono allibiti.
‘La ghimatriah dev’essere la soluzione’, ribadì l’uomo, esultante. ‘È un sistema di sostituzione alfabetica secondo cui a ogni lettera ebraica corrisponde un numero!’
‘Ne sei sicuro?’, volle accertarsi Uberto.
‘Ignazio annuì con fermezza. ‘Ne sono venuto a conoscenza anni fa. Me ne parlò uno studioso della Cabala’. E detto ciò , incise a fianco del quadrato un altro uguale, sostituendo alle lettere ebraiche i corrispondenti numeri arabi”.
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3 5 7
‘Forse l’Uter Ventorum è stato trascritto in parte da un giudeo’, ipotizzò Ignazio. ‘O più semplicemente, l’ebraico è stato ritenuto idoneo allo scopo. Dopotutto, questo idioma viene considerato la lingua della creazione, parlata da Dio, dagli angeli e dai primi uomini’.
Uberto fece cenno d’aver compreso. ‘E nel nostro caso, questi nove caratteri quali significati avrebbero?’
‘Conosco poco la lingua ebraica, ma me ne intendo abbastanza da sospettare che questi caratteri non compongano parole’.
‘Da cosa lo deduci?’
‘Per il momento si tratta solo di un’intuizione. Ma il fatto che siano contenuti dentro una figura geometrica, un quadrato,e che ciascuno di essi compaia una volta soltanto, mi dà l’impressione che alludano a una formula matematica’.
‘La matematica si fa con i numeri’, obiettò Uberto, ‘non certo con le lettere’.
A tali parole Ignazio ebbe un’illuminazione. Aggrottò la fronte e inseguì un pensiero che andava formandosi nella mente, restando immobile come un felino che scruta la preda. D’un tratto batté una mano sul tavolo. ‘Ma certo!’, esclamò, facendo sobbalzare i compagni. ‘La ghimatriah!’.
Uberto e Willalme lo guardarono allibiti.
‘La ghimatriah dev’essere la soluzione’, ribadì l’uomo, esultante. ‘È un sistema di sostituzione alfabetica secondo cui a ogni lettera ebraica corrisponde un numero!’
‘Ne sei sicuro?’, volle accertarsi Uberto.
‘Ignazio annuì con fermezza. ‘Ne sono venuto a conoscenza anni fa. Me ne parlò uno studioso della Cabala’. E detto ciò , incise a fianco del quadrato un altro uguale, sostituendo alle lettere ebraiche i corrispondenti numeri arabi”.
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8 1 6
[pp.248-249]
L’autore, bibliotecario di professione, conosce certamente il quadrato magico di Saturno, se non altro per averlo trascritto da qualche libro. I quadrati magici, nel loro simbolismo esoterico, sono descritti nel De occulta philosophia di Heinrich Cornelius Agrippa [1486-1535]. In particolare il quadrato magico di Saturno, sopra riportato, inciso su una lastra di piombo [metallo di Saturno], nell’ora e nel giorno di Saturno, procura, a chi lo indossa e ci crede, protezione e saggezza, nonché una certa pazienza nel sopportare gli inevitabili dispiaceri che purtroppo capitano, anche quando ci si sente protetti… Naturalmente, può servire, sempre a chi ci crede, per invocare angeli e demoni.
[pp.248-249]
L’autore, bibliotecario di professione, conosce certamente il quadrato magico di Saturno, se non altro per averlo trascritto da qualche libro. I quadrati magici, nel loro simbolismo esoterico, sono descritti nel De occulta philosophia di Heinrich Cornelius Agrippa [1486-1535]. In particolare il quadrato magico di Saturno, sopra riportato, inciso su una lastra di piombo [metallo di Saturno], nell’ora e nel giorno di Saturno, procura, a chi lo indossa e ci crede, protezione e saggezza, nonché una certa pazienza nel sopportare gli inevitabili dispiaceri che purtroppo capitano, anche quando ci si sente protetti… Naturalmente, può servire, sempre a chi ci crede, per invocare angeli e demoni.
H.C.Agrippa, De occulta philosophia [La filosofia occulta], Edizioni Mediterranee, 2 vol., pp-322+358, Roma, Dicembre 2004 |
De occulta philosophia, quadrati magici di Saturno e di Giove, loro glifi di "intelligenze" e "spiriti" |
Di quadrati magici in chiave alchemica, si parla invece nel famoso trattato d’anonimo autore, Aesh Mezareph. Qui, i quadrati dei sette pianeti della tradizione stanno a rappresentare i sette metalli e le loro trasformazioni. | ||||||||||||||||||||
Aesh mezareph, Introd.,trad.,e note di Sergio Magaldi, Roma, 2004. A cura di S.Magaldi e F. Pignatelli |
Dunque, perché l’autore non menziona il “suo” come il quadrato magico di Saturno? La spiegazione è semplice. Adottando una numerazione che assegna ai pianeti un numero progressivo in funzione della distanza dalla Terra, cui viene assegnato il numero 1, l’ineffabile Ignazio da Toledo scopre che il 5 è assegnato al Sole. Lo stesso numero 5 che si trova al centro del quadrato magico di Saturno. All’autore serve per il gran finale [p.341], allorché invoca l’angelo del Sole, servendosi del quadrato di Saturno! Senza contare che il numero 5, nella tradizione orientale e occidentale dei quadrati magici rappresenta l’uomo e la Terra, piuttosto che il Sole. Una mistura e una confusione da far inorridire i cosiddetti esoteristi di mestiere.
Pure, il libro è piaciuto, non solo al pubblico, evidentemente pago di un vago e superficiale accenno al mistero e sempre a caccia di delitti e di intrighi di sapore conventuale, ma anche alla critica. “Vanity Fair” riscontra nel romanzo di Marcello Simoni la stessa atmosfera di Il nome della rosa [Io, del famoso e splendido libro di Umberto Eco, non ho sentito neppure l’odore...]. “Il Messagero” parla di “un mix ben dosato tra fantasia, documentazione storica, ricerca delle fonti e scelta iconografica”. “Il Corriere della Sera” di “un rigoroso intrigo medievale”. “Il mercante di libri maledetti” – assicura ancora “Il Riformista” – è talmente perfetto nell’utilizzare elementi propri del thriller medievale, giocando fra un’azione concitata e una credibile ricostruzione storica, da apparire proprio come un successo annunciato”.
Bene, ecco il caso di un romanzo rifiutato dagli editori italiani e che non vale granché, pubblicato in Spagna con discreto successo e quindi finalmente in Italia, dove in breve si porta in testa alla classifica delle vendite, vince il Premio Bancarella ed ottiene come corollario anche il riconoscimento della cosiddetta stampa libera. E poi c’è chi sostiene che l’editoria italiana, col suo gran fiuto, pubblica solo opere con le quali è sicura di fare cassa…
sergio magaldi
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