lunedì 24 settembre 2012

AMORE PER SEMPRE E SHOAH in "The Sweetness of Forgetting" di Kristin Harmel

Kristin Harmel, Finché le stelle saranno in cielo,["The Sweetness of Forgetting"], Garzanti, Milano, Agosto 2012,pp.363







 Hope è una donna americana di trentasei anni. Vive nella baia di Cape Cod, penisola dello stato del Massachusetts, a circa 80 chilometri da Boston. Conduce una pasticceria di famiglia, con dolci fatti dalle sue mani e utilizzando le ricette di sua nonna Rose Durand, malata di Alzheimer e che settant’anni prima era emigrata da Parigi, sposando un militare americano. Dopo circa un decennio di permanenza negli Stati Uniti, Rose e suo nonno s’erano trasferiti a Cape Cod, aprendo la North Star Bakery pasticceria.

  Hope non crede nell’amore per sempre: ha appena divorziato da suo marito Rob, sposato soprattutto per dare un padre a sua figlia Annie, ora adolescente, e che in realtà non ha mai amato veramente. Del resto, in nessun altro periodo della sua vita Hope s’è sentita più fragile: la morte recente della madre per un cancro, l’inquietudine della figlia che soffre la separazione dei genitori, la malattia che ha colpito l’amatissima nonna, gli affari della pasticceria che non vanno come dovrebbero, con la minaccia costante che la banca la costringa a chiudere l’attività.

  In una bella sera d’estate madre e figlia conducono Mamie – come Hope è solita chiamare la nonna – sulla spiaggia. Rose sembra vivere un giorno di straordinaria lucidità e gode del tramonto che dipinge il cielo di tante sfumature di colori per lasciare infine apparire il tenue brillare di Venere, il primo pianeta della sera visibile dalla Terra: 

  “ ‘Eccola’, mormora Mamie e indica un punto appena sopra l’orizzonte, dove una stella brilla fiocamente nel crepuscolo che sbiadisce. ‘La stella della sera’.
 All’improvviso mi tornano in mente [È Hope a parlare in prima persona, pp. 66-67, come in tutto il romanzo] le fiabe che mi raccontava su un principe e una principessa in una terra remota, quelle in cui il principe doveva combattere contro i cavalieri cattivi e prometteva alla principessa che un giorno sarebbe tornata a cercarla, perché il loro amore non sarebbe mai finito. Quindi rimango stupita quando è Annie a mormorare:’Finché le stelle saranno in cielo io ti amerò. È questo che diceva sempre il principe nelle tue storie’.
 Quando Mamie la guarda, ha le lacrime agli occhi. ‘Esatto’,dice”.

  Ecco da dove prende il titolo l’edizione italiana del romanzo di Kristin Harmel: Finché le stelle saranno in cielo, mentre la semplice traduzione dall’inglese di The Sweetness of Forgetting è: “La dolcezza dell’oblio”.

  E Mamie quella sera speciale consegna alla nipote una lista di sette persone che vivevano in Francia quando lei aveva diciassette anni e stava per emigrare negli Stati Uniti. Le sette persone di età diversa hanno tutte lo stesso cognome: Picard. La nonna la prega di recarsi a Parigi per avere notizie sulla loro sorte. Si tratta evidentemente dei membri di una stessa famiglia.

  Dopo molte perplessità, una settimana più tardi, spinta da Annie – molto affezionata a Mamie – e da Gavin Keyes, un giovane di origini ebraiche, il solo che sembra preoccuparsi di lei e che le fornisce indicazioni preziose per la ricerca delle persone della lista, Hope decide finalmente di volare in Europa.

  E qui la narrazione di Kristin Harmel si fa particolarmente avvincente e quasi il lettore vorrebbe saltare le pagine per saperne di più. Cosa scopre innanzi tutto Hope a Parigi? Che il vero cognome di Mamie non è Durand, ma Picard e che le persone da ricercare sono i familiari della nonna. E mentre dando le spalle al Louvre, attraversa la Senna sul Pont des Arts, e ammira sulla sua destra, in lontananza, la punta aguzza della Torre Eiffel e sulla sinistra un’isola collegata a due ponti, l’uno con sette arcate, l’altro con cinque, l’emozione la travolge nel ricordo di una favola che Mamie le raccontava quando era bambina e che con ogni probabilità non era una vera favola ma la realtà vissuta dalla nonna durante la  giovinezza.





 Ogni giorno il principe attraversava il ponte di legno dell’amore [Sulle griglie del Pont des Arts gli innamorati, proprio come a Roma su Ponte Milvio, appendono i loro “lucchetti dell’amore”. È qui evidente una certa forzatura della scrittrice, perché quella tradizione non sembra esistesse all’epoca dell’adolescenza e della giovinezza di Rose, tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta dello scorso secolo] per vedere la sua principessa. L’enorme palazzo si trovava alle sue spalle [il museo del Louvre] e davanti a lui c’era il castello a cupola del regno della principessa [l’Institut de France].Doveva attraversare un gigantesco fossato [la Senna] per raggiungere il suo vero unico amore: c’erano due ponti che portavano nel cuore della città, uno con sette arcate e l’altro con cinque. Alla sua destra una gigantesca spada fendeva il cielo [la Torre Eiffel], avvisandolo del pericolo che lo attendeva. Eppure lui ogni giorno sfidava la sorte perché amava la principessa. Diceva che nemmeno tutti i pericoli del mondo sarebbero riusciti a tenerlo lontano da lei. La principessa sedeva alla finestra e aspettava di udire i suoi passi, perché sapeva che lui non l’avrebbe mai delusa. Il principe l’amava e quando le prometteva di andare da lei manteneva sempre la parola.” [pp.129-130].


 Quando la nonna raccontava quella fiaba – si chiede Hope – a quale “principe” si riferiva, forse al grande amore della sua vita? E un’altra cosa scopre presto Hope: l’identità ebraica di sua nonna e della sua famiglia e la storia di quel drammatico 16 luglio del 1942 quando gli ebrei di Parigi furono arrestati e ammassati nel Velodromo d’Inverno per essere deportati successivamente ad Auschwitz. Ben sei delle sette persone della lista che la nonna aveva consegnato a Hope risultano tra i deportati nel campo di sterminio nazista: suo padre, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle, molti dei quali ancora bambini. Dov’è finito il settimo della lista, Alain, il fratellino di circa dieci anni che Rose amava più di ogni altro? 





 Del rastrellamento degli ebrei di Parigi, della loro concentrazione al Velodromo d’Inverno e della deportazione ad Auschwitz e in altri campi di sterminio si è parlato per lo più solo nella letteratura e nel cinema. François Hollande, il presidente francese, il 22 Luglio di quest’anno, – appena un mese prima dell’uscita dell’edizione italiana del romanzo di cui sto parlando, – ha commemorato il settantesimo anniversario del tragico evento, sottolineando che  «La verità, dura, crudele, è che neanche un soldato tedesco, neppure uno, partecipò a questa operazione. La verità è che il crimine fu commesso in Francia, dalla Francia». Discorso quasi ignorato dalla stampa italiana e coraggioso il suo, perché sia De Gaulle che Mitterand avevano attribuito la responsabilità del crimine unicamente ai nazisti. Solo il presidente Chirac, nel 1995, aveva ammesso una mezza verità, parlando di corresponsabilità francese.

 Molti i libri e i film usciti quest’anno per non dimenticare. Ricordo soltanto di Karen Taieb, ABBIATE PIETA’ DI  MIO FIGLIO. Le lettere ritrovate dei deportati ebrei al Velodromo d’Inverno e la quarta edizione pubblicata da Mondadori del romanzo La chiave di Sara, da cui è stato tratto il film uscito agli inizi di quest’anno.


Karen Taieb, Abbiate pietà di mio figlio, Sperling&Kupfer, 2012,pp.209






















Tatiana De Rosnay, La chiave di Sara, Mondadori, 4.ed.,2012, pp321

                             
                           




















  Non sto "raccontando" il libro, perché sin qui siamo soltanto ad 1/3 delle pagine del romanzo. La storia narrata da Kristen Harmel riserva ancora diverse sorprese: il salvataggio di molti ebrei di Parigi ad opera di musulmani e cattolici e soprattutto l’amore che, quando è vero, è più forte della morte: esisteva davvero il “principe della favola”? E se esisteva quale era stata la sua sorte?

 Un romanzo intrigante, ottimo, senza dubbio, sicuramente da leggere, ma non per questo esente da difetti. Si avverte talora troppo “zucchero americano” nella narrazione, lo stesso zucchero che Hope usa in abbondanza nel preparare torte e biscotti della tradizione ebraica ed islamica della sua pasticceria. Dolci importanti per Kristin Harmel, tanto da introdurre ogni capitolo del libro con una ricetta…
 
 Alcune situazioni sembrano create più con l’intento di compiacere i lettori che per reale convincimento. In altre, si avverte una certa forzatura e qualche iperbole, dettate forse dalla necessità di sorreggere la trama. Una certa ingenuità di fondo [voluta?] accompagna l’idea che i contrasti tra cattolici ebrei e musulmani siano dovuti a motivi religiosi, come si lascia volentieri credere alle masse dei fedeli. 

 E l’amore per sempre, che presuppone negli amanti un identico modo di sentire e di agire, e che costituisce il leitmotiv della narrazione – tanto da ispirare il titolo dell’edizione italiana – è vissuto diversamente da Rose e dal suo “principe”, così da far pensare che, quando ama davvero, l’uomo abbia molta più fede e costanza della donna. Infine, certi eventi appaiono al limite dell’inverosimile, ma è anche vero – come osserva la scrittrice – che le favole sono sempre possibili nella realtà!

sergio magaldi
                 

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