venerdì 31 marzo 2017

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Ottava]




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 Clicca su ciascun titolo per leggere. I termini in grassetto, riportati una sola volta all’interno della stessa voce, indicano altrettante voci del glossario essenziale per lo studio della Qabbalah.

Etz Da‘at
 
 Etz Da‘at o albero della conoscenza è strettamente collegato al serpente tentatore e, del resto, Rabbi Lev, il creatore del Golem, in Sepher Netivot Olam (“Il libro delle vie del mondo”) sostiene la parentela tra l'uomo e il serpente. Secondo una leggenda talmudica, alla morte di un uomo, dalla sua spina dorsale nasce un serpente. La ghematria di Nachash, che si scrive da destra a sinistra con le lettere Nun-Chet-Shin (50+8+300=358=7), stesso numero minore di Eden: Ayin-Daleth-Nun=70+4+50=124=7] è la stessa di Mashiach, messia, scritto con le lettere Mem-Shin-Yud-Nun  (8+10+300+40)=358=7 e di Choshen, pettorale: Chet-Shin-Nun (50+300+8)=358=7. Il messia può essere scudo e salvezza oppure divenire un astuto tentatore. Il serpente, come strumento di Samaele (diavolo) che lo cavalca, è in realtà un cammello assai prezioso nel deserto.  In Genesi Rabbah (XX,2) si fa notare che dopo che Adamo ed Eva ebbero mangiato, Dio discute con loro, ma non col serpente che viene immediatamente condannato (Genesi, 3, 14), perché parlare con lui è inutile, egli è astuto ed avrebbe sostenuto che così come Dio aveva dato un ordine, lui aveva suggerito un'altra scelta. Non si deve parlare con lui perché è un incantatore: di qui la tradizione cristiana che identifica i suoi incantesimi verbali con quelli del demonio: "Sì... sì... no... no, il resto è del maligno".  L'astuto serpente aveva sopraffatto Eva, è detto in Genesi Rabbah XIX, 4, facendo insinuazioni sul suo creatore e affermando: “Dio ha mangiato di quest'albero e poi ha creato il mondo, per questo vi ha detto di non cibarvene, perché non possiate creare altri mondi... e divenire come lui".

 Gli studiosi della Torah s'interrogarono a lungo su che albero fosse quello della conoscenza e dunque sul frutto che il serpente dette ad Eva ed Eva ad Adamo. Furono sempre indecisi tra quattro frutti: il grano, l’uva, il cedro e il fico.  Alcuni dissero: “è il grano”, altri risposero: “anche se la conoscenza ci viene dal grano, è scritto albero e non esiste un albero del grano”. Rabbi Jehudah b. Ilaj disse che era uva perché in Deuteronomio è scritto: “la loro uva è uva velenosa ed i grappoli sono grappoli amari”. Quell’uva, infatti, fu amara al mondo esiliato da Dio. Qualcuno si alzò e disse: “non è l’uva perché da lei viene il vino che è il simbolo della vera conoscenza della Torah e della sua dolcezza.  E la vite da cui l’uva viene è come Israele che si appoggia alla Torah”. Rabbi Abbà di Akko disse: “era un cedro, come sta scritto in Genesi: la donna vide che era buono l’albero da mangiarsi”. E spiegò: “l’unico albero che si mangia come il frutto è il cedro, non ci nutriamo forse dei suoi germogli freschi?”. “No – disse Rabbi José – è il fico”. E chiarì prima i motivi per cui non era il cedro.  “L’albero della conoscenza del bene e del male – aveva concluso Rabbi José – è dunque il fico, perché fu l’unico albero ad accogliere Adamo ed Eva dopo il peccato; cioè, l’albero di cui mangiarono il frutto che provocò la malattia, fu anche l’unico ad offrire le foglie del farmaco temporaneo”. Ma anche Rabbi José trovò i suoi oppositori e qualcuno disse che non era il fico, il frutto della caduta, perché il fico è come la Torah. L’albero del fico ha radici morbide e che, tuttavia, s’infiltrano anche nella roccia più dura, proprio come la Torah. E questo è un albero i cui frutti si raccolgono un po’ per volta, come solo un po’ alla volta è possibile studiare la Torah. E come il fico è un albero che fin tanto che lo frughi trovi frutti, così è la Torah che più si studia, più se ne traggono insegnamenti. E insomma il vero frutto dell’albero della conoscenza non fu mai trovato.

 Esaminiamo ora cosa si dice dei due alberi in Genesi, II, 8: “E il Signore Dio piantò un giardino in Eden [Gan Eden= 53+124=177=15=6; cioè Tiphereth, la sesta sephirah dell’albero delle sephiroth o colonna di mezzo] a oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato, 9: E il Signore Dio fece spuntare dal suolo tutti gli alberi belli a vedersi, dai frutti soavi al gusto. Fece crescere Etz Chayyim gan betrok (l'albero della vita entro o in mezzo al giardino) e l'albero della conoscenza (del bene e del male)” [Etz Da‘at, cioè: ’Ayin-Tzade e Daleth-’Ayin-Taw = 160+474=634=13=4 con lo stesso valore numerico di Amud Hashidrah, colonna vertebrale e di Yar-din, il fiume del giudizio, il quaternario. Diverso invece il valore numerico dell’albero della vita: Etz Chayyim: 160+8+10+10+40=228=12=3. I due alberi sono dunque distinti anche nel loro minore valore numerico, ma l’unità dei due alberi [la loro somma e la loro moltiplicazione] fa scomparire nuovamente il valore dell’albero della conoscenza. La loro somma produce il 7, come Nachash, serpente, Eden, paradiso, Mashiach, messia e Choshen, pettorale, e la loro moltiplicazione nuovamente il 3 [4x3=12=3], il valore dell’albero della vita.

 Così continua Genesi II, 10: “Dall’Eden sgorgava ad irrigare il paradiso, un fiume che dal paradiso si sprigionava in 4 fiumi diversi II, 15: Il Signore Dio perciò prese l'uomo e lo pose ad abitare nel giardino di Eden affinché lo coltivasse e lo custodisse, 16: Gli diede questo comandamento: ‘mangia pure di ogni albero del giardino 17: ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno in cui ne avrai mangiato certamente morirai’, III, 1 Il serpente [...] disse alla donna: ‘Perché Dio vi ha comandato di non mangiare del frutto di tutte le piante del giardino?’ 2-3: la donna disse al serpente: ‘Dei frutti di qualunque albero del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta betrok gan, (entro o in mezzo al giardino), Dio ha detto: ‘Non ne mangiate, anzi non lo toccate altrimenti morirete’, 4-5: ma il serpente disse alla donna: ‘No, voi non morrete. Anzi, Dio sa bene che in qualunque giorno ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come lui, conoscitori del bene e del male’. Dopo di che (III,6) la donna tocca e mangia e ne dà ad Adamo.”.

 Che si tratti di un solo albero non c’è dubbio. La stessa Eva, nel rispondere al serpente, non nomina l'albero della vita né lo distingue da quello della conoscenza, ma chiarisce al serpente che l'albero di cui è proibito toccare e mangiare i frutti è quello che si trova in mezzo o per entro il giardino. Esattamente quel che è detto con quel Etz Chayyim gan betrok… (l’albero della vita che sta in mezzo o entro…) del versetto II, 9.

 L'albero della vita distinto da quello della conoscenza si trova menzionato solo nel versetto II, 9 del racconto biblico e lo incontreremo nuovamente solo alla fine della vicenda, quando Adamo ed Eva avranno già consumato il frutto.  D'altra parte e ancora: se gli alberi fossero stati due e i frutti dell'albero della vita non fossero stati proibiti, l'uomo avrebbe potuto mangiarne e rendersi immortale prima ancora di assaggiare i frutti dell'albero della conoscenza. E se erano proibiti anche i frutti dell'albero della vita, allora gli alberi da cui era vietato mangiare sarebbero stati due e non uno soltanto come si ribadisce più volte. Si deduce da tutto ciò: in mezzo o entro l’Eden c'è un giardino irrigato (Fiume del Giudizio) in cui solo Adamo ed Eva possono entrare e che hanno il dovere di custodire. Come abbiamo già visto questo giardino è un luogo chiuso, circondato dai Palazzi divini che si trovano al centro del Gan Eden. Per entro (be-trok) il giardino in realtà si trova un solo Albero, l'albero della vita che per tutti gli uomini diviene albero della conoscenza del bene e del male, allorché Adamo ed Eva lo toccano e ne mangiano il frutto proibito. Questa stessa interpretazione si trova nel Chassidismo: "Il primo uomo peccò a causa dell'albero della conoscenza e introdusse una divisione tra tale albero e quello della vita" osserva Baal Shem Tov.   In altri termini, l'albero della conoscenza sta all'albero della vita, come l’occulta e misteriosa Daat, che peraltro non è una Sephirah, sta all'albero delle Sephiroth. E Daat non è una Sephirah perché in origine non appartiene all'Albero, analogamente la conoscenza diventa un progetto umano ma non è parte originaria del progetto divino. Del resto, “il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza”, come in Sha 'aré Orah (“Le Porte della Luce”) afferma Joseph Gikatila, è ben noto ai cabbalisti prima ancora dei Chassidim. Già l'autore del Sepher bahir si mostra convinto che non ci sia che un solo albero. Qui è Dio a parlare in veste di agricoltore archetipico (22, 14b): "Io sono colui che ha piantato quest'albero...tutto ho fissato in esso e l'ho chiamato Totalità, giacché da esso tutto dipende e da esso tutto deriva". Cos'è quest'albero? Lo dice ancora il Sepher bahir (119 e 85): "le forze del Santo, benedetto egli sia, sono poste una dentro l'altra e assomigliano a un albero. Come l'albero dà frutti grazie all'acqua, così il Santo, benedetto egli sia, accresce le forze dell'albero per mezzo dell'acqua [...]  Grazie a cosa sgorgano le acque? Grazie [...] alla Shekinah..."


GALGAL
Galgal è la ruota celeste che designa lo zodiaco. Nel Bahir (106) è l’utero o ventre ed ‘è nell’anno come un re nella provincia’ (Sepher Yetzirah,6:3). Non definisce il tempo ma vi si trova dentro. Le 22 lettere dell’alfabeto ebraico in connessione con Galgal formano le 231 Porte della conoscenza, come è scritto nel Sepher Yetzirah (2:4): ‘22 lettere… Le collocò in circolo come un muro con 231 Porte’. Netiv, sentiero, ha valore numerico 462, sommando le 4 lettere dell’alfabeto ebraico che formano la parola (Nun 50+ Taw 400+ Yud 10+ Beth 2 =462). La metà del suo valore è 231, il numero delle porte della Conoscenza, attraverso le quali si accede a tutta la realtà. Israele le rappresenta simbolicamente: la parola Israel si scrive in ebraico con le lettere Yud-Shin-Resh-Aleph-Lamed, lettere che si possono suddividere in Iesh [Yud-Shin] - Rela [Resh-Lamed-Aleph] che significa “Sono 231”. In tal senso, Israele perde qui i suoi connotati di realtà storico-geografica ed etnica per acquisire la dimensione dell’universalità.
GAON
Titolo onorifico attribuito ad un leader spirituale. Il più noto fu il Gaon di Vilna [1720-1797], Eliyahu ben Shlomo Zalman, lituano, rabbino e maestro di Qabbalah.

sergio magaldi




giovedì 30 marzo 2017

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Settima]


http://zibaldone-sergio.blogspot.it/2017/03/introduzione-allo-studio-della-qabbalah.html
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Clicca su ciascun titolo per leggere. I termini in grassetto, riportati una sola volta all’interno della stessa voce, rappresentano altrettante voci del glossario essenziale per lo studio della Qabbalah.


EMET     

 Emet, verità, si scrive da destra a sinistra con le lettere ebraiche Alef, Mem e Taw e il suo valore numerico è 441 [Alef=1+Mem=40+Taw=400]. La sua ghematria più importante è Teva Sheni, Seconda Natura, scritta nell’ordine con le lettere Teth, Beth, Ayin, Shin, Nun, Yud, cioè: 9+2+70+300+50+10=441. Secondo lo studioso di Qabbalah, Nadav Eliahu, ciò significa che per trovare la verità bisogna uscire dall’ordine naturale in cui viviamo e salire ad un livello più alto della natura: seconda natura, appunto, o soprannaturale. In questa parola,  E m (e) t, lettera mediana, tra la Alef iniziale e la Taw finale, è la  Mem, per la tradizione ebraico-cabalistica simbolo di ogni singolo aspetto della manifestazione. Ove si dimentichi che il Tutto, rappresentato dall’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, la Taw, si collega all' Uno che è nella  Alef,  Emet si muta in Met, scritta con le lettere Mem-Taw [440], che significa morte, le cui ghematrie principali, cioè con lo stesso valore di 440, sono Tam, che significa completo e Shiqem, verbo che indica il ricostruire. Più in generale, senza la Alef o principio creativo, la realtà non è altro che vuota forma, apparenza, illusione e morte.

ETROG

 Etrog è il frutto del cedro, albero molto importante nella tradizione ebraico-cabbalistica. Innanzi tutto il soffitto del Tempio era fatto di travi e assi di cedro, i pavimenti di legno di cedro, l’altare di cedro rivestito d’oro, le colonne tutte di cedro come pure i soffitti della Sala del Giudizio (I Re). Nel II libro di Samuele, 7,7 è Dio stesso a chiamare ‘Casa di cedro’ il Tempio che gli deve essere costruito. Il cedro, inoltre, è nella Bibbia di volta in volta simbolo di FORZA (Isaia, 9,9: ‘…Le fragili travi di fico sono state abbattute ma noi useremo robuste travi di cedro…’) di BELLEZZA (Salmo 92,13-14: ‘… Bello come un cedro del Libano piantato nel cortile del Tempio’; Cantico dei cantici 5,15: ‘… Egli ha l’aspetto delle montagne del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro’) di SAPIENZA (Siracide 24,13 ‘… Elogio della sapienza’: ‘sono cresciuta (io, la sapienza) come un cedro del Libano’). Inoltre, il cedro è simbolo di Dio nella sua veste di gloria, ed è simbolo di Abramo, del Sinedrio, dell’intero popolo ebraico e del cuore dell’uomo.

 Infine, il frutto del cedro è detto il frutto di un albero di bell’aspetto: Perì ’Etz Hadar: “Prenderete il primo giorno di Sukkoth un frutto di bell’aspetto, rami di palme e rami dell’albero di mirto e rami di salice e vi rallegrerete davanti al Signore vostro Dio” (Levitico, 33:40).  Si prende il Lulav (mazzo composto di 1 ramo di palma, 2 di salice, 3 di mirto) con la destra, il cedro con la sinistra, li si agita ai 4 punti cardinali, in alto e in basso, dopo aver detto la relativa benedizione. Così si compie la Mitzwah del Lulav durante la festa di Sukkoth o festa delle Capanne, che si celebra il 15 del mese ebraico di Tishrì (settembre-ottobre) in memoria delle capanne costruite dagli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Nella Torah è conosciuta anche col nome di Chag Ha-Asif o festa del raccolto, perché con lei terminava la stagione del raccolto. E’ una festa di gioia e di allegria, come comanda la Torah. Dura sette giorni, durante i quali l’ebreo è chiamato a vivere nella Sukkah (capanna), costruita all’aria aperta ad imitazione di quella che gli antenati edificarono nel deserto. Le Ghematrie più interessanti di Etrog [610] che si scrive da destra a sinistra con le lettere Alef-Taw-Resh-Waw-Ghimel, cioè: 1+400+200+6+3=610 sono Maaser, decima o parte dei propri guadagni da dare ai poveri e le frasi:”VEAYAH OR HALEVANAH KE OR HACHAMAH” che significa:”E la luce della Luna sarà come quella del Sole” e “BLOM LIVKHA MI LEHARHER”, cioè: “Trattieni il cuore dai pensieri ripetitivi”, secondo l’espressione formulata nel Libro della Formazione [Sepher Yetzirah] per favorire la meditazione.

ETZ CHAYYM

 Vital, il più famoso dei discepoli del noto cabbalista Itzach Luria, detto l’Ari, nel libro Etz Chayyim, l'albero della vita, assegna per entro l’unico albero delle Sephiroth, la destra all'albero della vita e la sinistra all'albero della conoscenza, Etz Da‘at. Adamo vuole mangiare il frutto proibito per rendersi immortale, ignorando che Dio ha già predisposto per lui l’immortalità, alla sola condizione che egli sappia attendere la maturazione del frutto. Lo assapora quando è ancora acerbo e ciò che ne ricava non è l’immortalità, bensì la consapevolezza del bene e del male, l’allontanamento dalla condizione edenica e l’ingresso nel tempo e nella storia. il Sepher Bahir c'illumina sull’intera questione (97-8 e 66-7): ci sono Trentadue sentieri che l'uomo deve percorrere per giungere in cima all'albero della vita, e l'albero con i suoi sentieri, è anche una metafora del corpo umano.  L’analogia di albero e uomo è presente nel Pentateuco [ “L’uomo è come l’albero del campo”, Deuter. XX,19 ] e trova nel Timeo platonico la sua elaborazione concettuale:

 “E della specie più alta dell'anima umana che abita nella sommità del nostro corpo, conviene pensare che Dio l'abbia data a ciascuno come un genio tutelare, e che essa ci sollevi da terra alla nostra parentela del cielo, come alberi non terreni ma celesti: e questo noi diciamo molto rettamente. Perché, sospendendo il capo e la radice nostra a quel luogo, donde l'anima trasse la sua prima origine, il nume erige tutto il nostro corpo. Quello dunque che s'abbandona alle passioni e alle contese e molto vi si travaglia, di necessità non concepisce se non opinioni mortali e proprio niente trascura per divenire, quanto si può, mortale, perché accresce la parte mortale: quello invece che si è applicato allo studio della scienza e alla ricerca della verità ed ha specialmente esercitato questa parte di se stesso, se raggiunge la verità allora è del tutto necessario che abbia pensieri immortali e divini [...] per quanto la natura umana possa partecipare dell'immortalità...” (Platone: Timeo, 90a-c).

 A Platone fa eco il famoso Rabbi Lev [Il Maharal di Praga, Yehudà Lev Ben Bechamel, cui fu attribuita la creazione del Golem] : “…ma è un albero capovolto, perché l’albero ha la radice in basso infissa nella terra, mentre l’uomo ha la radice in alto perché la sua radice è l’anima che è di origine celeste…”.

 Cosa è in realtà accaduto nel momento in cui l'uomo, preso da impazienza e dal desiderio di essere come Dio, ha mangiato del frutto proibito? Da quel momento egli, come si è già detto, entra nel tempo e nella condizione umana attuale, tant'è che il Signore lo riveste con una tunica di pelle ed egli non può più cibarsi, al pari di tutti gli animali, degli effluvi e dei sapori della vegetazione (Genesi, I, 29-30). Ora l'uomo è carne che desidera carne e in quanto tale non potrà più godere di immortalità. C'è ancora una possibilità, perché il germe della vita immortale è ancora dentro di lui, ma egli deve fare i conti con i cherubini armati della spada fiammeggiante per poter entrare nei sentieri e compiere l'ascesa lungo l’albero-colonna. Anche qui non sarà inutile ricorrere alle ghematrie per chiarire meglio il concetto.

 Etz albero si scrive da destra a sinistra con Ayin-Mem (70+90)=160=7; Ammud, colonna con Ayin-Mem-Waw-Daleth (70+40+6+4)=120=3. Sommando 7 con 3 si ha 10, oppure, se si preferisce, sommando 160 con 120 si ha 280, quindi per riduzione teosofica si ha ugualmente 2+8=10, cioè le dieci sephiroth dell’albero della vita o albero delle sephiroth. Se l’albero è l’uomo, la colonna è come il giusto (Sepher Bahir), tale colonna sostiene il mondo intero e il giusto è il fondamento del mondo (Prov. 10, 25).

 Joseph Giqatilla (1248-1325 circa), cabbalista castigliano e discepolo di Abulafia, ricorda che a fianco di Yesod, colonna del mondo, sono Hod e Netzach. Per Mosé de Leon [ipotetico autore dello Zohar, tra il 1280 e il 1285] la colonna è come il Sole [cioè Tiphereth, la colonna di mezzo], e rappresenta il patto santo attraverso cui l'energia di Tiphereth si diffonde in Malchuth tramite Yesod. Nel Chassidismo l'ascesa messianica cessa di essere la duplice aspettativa (regale e/o spirituale) e si identifica in Baal Scem Tov con l'ascesa di mondo in mondo lungo la colonna di mezzo [menzionata anche in Liqquté Amarìm I, 39] per acquisire nuove conoscenze e nuova consapevolezza: non si tratta più di attendere la venuta di un messia, ma della possibilità che tutti siano in grado di compiere l'ascesa lungo la colonna (o spina dorsale), attraverso gli Heikhaloth [I palazzi della tradizione ebraica, assimilabili ai Chakras della tradizione orientale]. Occorre tuttavia badare a non cadere nel peccato di idolatria divinizzando l'albero, la colonna di mezzo, quella del mondo, il serpente, il sole, la figura di un messia etc... L’uomo deve a questo punto iniziarsi, cioè percorrere il cammino all'inverso [Teshuvah] per tornare alla condizione originaria, per realizzare il Tiqqun, la restaurazione. Ma, soprattutto, non deve essere impaziente e deve accettare la morte fisica. In proposito si osserva in Zohar (I, 130b): "Al tempo in cui il Santo, benedetto egli sia, risusciterà i morti, Egli farà scendere su di loro una rugiada dal suo capo, grazie alla quale tutti si leveranno dalla terra (...) una rugiada di luce nel senso proprio del termine, composta cioè da fiamme superne, attraverso la quale Egli infonderà vita nel mondo, poiché l'albero della vita trasmette ai mondi una linfa vitale che mai non cessa".

sergio magaldi                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               


sabato 18 marzo 2017

I SORTEGGI sempre più intelligenti del CALCIO EUROPEO




 L’ennesimo sorteggio “intelligente” si è consumato ieri con la pesca delle otto palline per designare i quattro accoppiamenti dei quarti di finale della Champions League 2016-2017. La mano è stata quella di un ex calciatore famoso, la mente organizzativa quella degli organi federali del calcio europeo, lo spirito, come sempre, quello degli dei del calcio che hanno ispirato le guide dell’UEFA nella scelta della mano che avrebbe tratto dall’urna il relativo verdetto. La divina provvidenza ha così evitato, ancorché dopo gli ottavi sia sempre possibile, che le tre squadre spagnole [Atletico Madrid-Barcellona-Real Madrid], per un capriccio del sorteggio, si scontrassero tra di loro, come pure le due tedesche [Bayern Monaco e Borussia Dortmund]; ha fatto in modo di garantire, secondo una sperimentata consuetudine, che alle semifinali siano presenti una o due delle squadre meno accreditate per la vittoria finale, grazie agli scontri che nei quarti vedranno di fronte l’Atletico Madrid contro il Leicester e il Borussia Dortmund contro il Monaco e, per contro, ha messo di fronte le restanti quattro squadre: la Juventus con il Barcellona e il Bayern Monaco con il Real Madrid, considerate le favorite di quest’anno per sollevare la coppa più prestigiosa del calcio europeo e forse mondiale.

 Quante possibilità ha l’unica squadra italiana, rimasta nelle competizioni europee, di passare il turno, accedendo alle semifinali? Se si fa riferimento alla finale di Champions del 2015, poche, davvero poche. Dopo lo scampato pericolo degli ottavi di finale – dove il Barcellona nella partita di andata ha incassato quattro goal senza segnarne alcuno, ma ha compiuto il miracolo nel ritorno al Nou Camp rifilando sei goal al Paris Saint Germain, di cui tre negli ultimi minuti e quello decisivo, dopo il quinto arrivato incredibilmente su rigore, a venti secondi dalla fine dei tempi supplementari – si ha la consapevolezza di quanto sia importante il club catalano nell’economia delle già citate divinità del pallone. Si ha un bel dire che il Barcellona non è più quella di due anni fa e che la Juve si è nel frattempo rafforzata, ma i bianconeri sono davvero più forti,  con Pjanic, Cuadrado, Mandzukic, Higuain e Dybala [che ormai segna solo su rigore] e senza Pirlo, Vidal, Pogba, Morata e Tevez e con un pacchetto difensivo, per ragioni anagrafiche, meno impenetrabile di prima? Sulla carta forse sì, ed è vero che la Juventus da qualche tempo ha cominciato a giocare all’europea, ma è proprio certo che il gioco di Allegri con quattro attaccanti sia davvero più offensivo di quello con i tre centrali, con cui ha giocato sino a poco tempo fa? A giudicare da quello che si vede in campo e anche dal numero dei goal che segna mediamente si direbbe di no, anche se bisogna ammettere che almeno ne ha guadagnato lo spettacolo. Pur apprezzando lo sforzo della società per rafforzare la squadra e renderla maggiormente competitiva in Europa, continuo a pensare che ai bianconeri manchi un grande centrocampista per tentare la grande impresa  e anche un’organizzazione più razionale di gioco, in grado di mettere Higuain nelle condizioni di finalizzare a rete più spesso, così come il Napoli della scorsa stagione riusciva a fare con l’argentino. Tutto ciò premesso, nulla è impossibile, gli dei del calcio permettendo.

 Intanto e purtroppo, l’altra squadra italiana rimasta in campo nelle competizioni europee, la Roma, esce di scena, vuoi perché condannata dal solito sorteggio intelligente a scontrarsi già negli ottavi di Europa League con una delle squadre accreditate per la vittoria finale, nonostante avesse vinto il proprio girone eliminatorio e superato nei sedicesimi di finale gli spagnoli del Villarreal [un avversario non dei più facili tra le 16 squadre rimaste in campo], vuoi per la mancanza di ricambi all’altezza dei titolari, dopo il top di rendimento raggiunto con la splendida vittoria di San Sirio contro l’Inter, vuoi per un’organizzazione di gioco che non le ha permesso di difendere il vantaggio di un goal nella trasferta di Lione, incassandone addirittura tre, vuoi infine per almeno un rigore non concesso nella partita di ritorno e soprattutto per il tempo ridicolo concesso a Totti [entrato solo a cinque minuti dalla fine] quando nella recente partita dell’Olimpico serviva solo un goal [il terzo] per la qualificazione e mancavano ancora 35 minuti al fischio finale.

 In conclusione, dispiace osservare che le competizioni europee del calcio, che appassionano milioni di persone, siano quasi interamente affidate ai sorteggi intelligenti ispirati dagli dei del pallone e non lasciati laicamente al caso.


sergio magaldi  

giovedì 16 marzo 2017

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Sesta]


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I termini in grassetto rappresentano altrettante voci del glossario essenziale per lo studio della Qabbalah.


DEVEQUTH
Significa “devozione” a qualcuno o comunione con…, ma esprime significati differenti: nella Qabbalah medievale, dei cabalisti di Provenza e di Girona, denota l’aspirazione all’unione con Dio, ma insieme l’infinita lontananza che separa l’uomo dal suo creatore. Isacco il cieco [1160-1235] e i suoi allievi escludono la possibilità di annullamento nell’estasi divina, ritengono piuttosto che un avvicinamento all’Uno sia possibile attraverso lo studio e la meditazione. Diversamente, il Chassidismo, un movimento degli ebrei askenaziti, fondato dal cabalista Ba’al Shem Tov nel XVIII secolo, considera la Devequth come l’atto di fede con cui avvicinarsi a Dio, senza bisogno di mediazioni intellettuali o di particolari riflessioni.  

DIN    
  È uno dei nomi della quinta Sephirah dell’Albero della Vita o Albero delle Sephiroth. Questa Sephirah è collocata sul lato sinistro dell’Albero, dal quale proviene il male fisico e morale. Esprime il Rigore presente nella manifestazione che deve essere equilibrato con la clemenza e la misericordia della Sephirah del lato opposto. In  Tikunei ha-Zohar è detto tra l’altro: “Ti nascondi in esse, e fin quando rimani in esse, il loro equilibrio non ha modificazione, chiunque separi una di queste dieci dall’altra, sarà come se dividesse la tua Unità […] Hai preparato per loro delle vesti che servono alla anime umane […] tutte queste cose (sono dette da Te) per fare conoscere all’uomo la tua forza e la tua onnipotenza, per mostrare come l’universo è governato tramite il Rigore (din) e la Misericordia (rachamim), che sono la giustizia (zedeq) ed il diritto (mishpat), secondo le azioni degli uomini”.

ECHAD
 Termine che esprime l’unità e l’unicità fondamentale del Dio biblico. Lo si trova nei primi versetti dello Shemah Israel [Deuteronomio, 6:4] e costituisce la preghiera più importante degli ebrei devoti e dei cabbalisti che praticano la Teurgia: “Shemà Israel Adonai Elohenu Adonai Echad…’ Ascolta Israel il Signore è il nostro Dio il Signore è uno […]

ELOHIM
  Yehudah ha-Lewi [1075-1141], pur non essendo considerato un cabbalista, fu rabbino e filosofo assai vicino alle tematiche tradizionali della Qabbalah. Egli scrive sui nomi di Dio, in particolare sulla distinzione tra Elohim e il Tetragramma:

Elohim è un epiteto o attributo che significa dominatore di qualcosa, o giudice; qualche volta si intende in senso assoluto, quando vuol dire il Sovrano che domina tutto il mondo; altre volte [è usato] in particolare, quando denota alcune potestà o virtù celesti, o qualcuna delle nature, o qualche giudice umano e questo nome ha forma plurale, perché si usava fra le nazioni che facevano immagini, e credevano che in ciascuna di esse, risiedessero alcune virtù delle sfere celesti, e cose simili a queste; e consideravano ognuna di esse come dio, e tutte in generale chiamavano dèi, e giuravano per essi, come se questi [dèi] dominassero su di loro; ed erano molti […] Quegli era il Creatore del mondo, e lo designò per mezzo di parole e di attributi, e Lo chiamò YHWH”. [Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pp. 191 e 193].

La distinzione tra Elohim e il Tetragramma caratterizzò varie sette gnostiche di derivazione ebraica, nel senso di stabilire una distinzione tra il Dio supremo e il demiurgo di questo mondo. Si citò a sostegno il cosiddetto doppio preambolo del Genesi (I,1-II,3 e II, 4 e sgg.). La condanna della creazione materiale comporterà da parte di queste sette la maledizione del dio dell’Antico Testamento e del suo profeta Mosè. Il rovesciamento del mito di Adamo ed Eva ha come conseguenza la volontà di contraddire la legge biblica perché opera di un creatore perverso e, al contrario, di esaltare il serpente (setta gnostica degli Ofiti). La caratteristica degli gnostici fu di proliferare in tanti gruppuscoli e di privilegiare determinati ambiti esoterici. I testi delle rivelazioni gnostiche e i loro rituali si presentavano come segreti: il divieto di rivelarli ai profani si accompagnava, alla fine di alcuni manoscritti, con anatemi che si ritenevano terribili per chiunque eventualmente intendesse divulgarli.


 Alla concezione gnostica sugli Elohim, si richiamano tutti coloro che in forza del nome plurale non lo fanno corrispondere al Dio unico. Per quanto si possa osservare che nella lingua ebraica non esiste il plurale maiestatico e forse neppure quello cosiddetto di astrazione, resta il fatto che diversi nomi ebraici che terminano in  im [plurale maschile], in oth [plurale femminile] o in ayim [duale] reggono tuttavia verbi, aggettivi e pronomi al singolare, come per esempio Ba'alim, proprietario. D’altra parte, non sembra neppure convincente la tesi che in Elohim si manifesterebbe insieme l’esistenza umana e divina, il creatore e la creatura; non solo perché la prima volta che Elohim viene nominato, gli esseri umani ancora non esistono – tant’è che dopo la creazione dell’uomo ad Elohim si aggiunge anche il nome del Tetragramma – quanto e soprattutto perché l’assunto implica una concezione antropomorfica della divinità, tutta intrisa di modernità, e che di certo non appartiene ai primi cabbalisti storici, propensi piuttosto a sottolineare l’estrema distanza tra Dio e l’uomo. C’è poi chi utilizzando Elohim al plurale – come si diceva sopra – si collega alla visione gnostica e vi aggiunge di suo. Tra costoro, la voce più nota in Italia è quella di Mauro Biglino che ha collaborato come esperto di ebraico biblico al progetto editoriale delle Edizioni San Paolo, con la traduzione di 17 libri del testo masoretico della Bibbia, sino a quando è stato sollevato dall’incarico per evidenti ragioni di incompatibilità. Biglino, nei suoi libri e nelle sue molte interviste, sostiene di lasciar parlare l’Antico Testamento per quello che è, attenendosi alla vera traduzione del testo e senza modificarlo per secondi fini di natura teologica. In tale ottica, egli propone questa versione dei primi versetti di Genesi: “In principio [il gruppo degli] Elohim modificò [formò] un luogo dove c’erano delle acque e della terra [con una diga e una bonifica]. La terra era deserto e desolazione […]”. Secondo il fantasioso Biglino, la Bibbia non parla di Dio e non è un libro sacro, è bensì la cronologia di eventi reali accaduti tra la Mesopotamia e la Cananea dopo che gli Elohim, colonizzatori venuti dallo spazio e dotati di poteri straordinari, presero possesso del pianeta terra. Elyòn, il capo riconosciuto degli Elohim, definì i confini delle nazioni e le divise tra i suoi. A Yahweh che era tra i più giovani e  tra i meno importanti degli Elohim, Elyòn assegnò il potere su un popolo che vagava disperatamente nel deserto. A suffragio della sua tesi, Biglino cita numerosi passi biblici che sarebbe troppo lungo e persino fuorviante riportare in questo contesto. Per concludere, dirò soltanto che, secondo Biglino, l’anello mancante della catena del darwinismo è rappresentato dall’esperimento di ingegneria genetica degli Elohim che mescolarono il proprio DNA con quello degli ominidi [nella scala evolutiva appena un gradino sopra le scimmie antropomorfe] dando vita agli uomini. Questo – a suo giudizio – significa il noto versetto del Genesi[1:26]: “Elohim disse poi: ‘Facciamo un uomo a nostra immagine e somiglianza’ […]”. Tzelem, secondo Biglino, non vuol dire immagine ma “un quid di materiale che contiene l’immagine” e che viene estratto [dalla radice verbale tzalàm che significa tagliare via, estrarre”]; in altre parole ciò che oggi chiamiamo DNA. Per pura curiosità, si osservi che Tzelem  che si scrive con le lettere ebraiche Tzade-Lamed-Mem [90+30+40 = 160] ha diverse ghematrie, tra cui: Etz, albero; Qesef, argento; Nafal, cadere, Qain, Caino, Qilel, maledire. L’esperimento degli Elohim riuscì solo parzialmente. Chiusi nel Gan Eden [che Biglino dice di tradurre alla lettera in “luogo recintato e protetto”] questi primi prototipi umani di entrambi i sessi [gli adamiti], che avevano bisogno di essere ulteriormente perfezionati, dovettero in qualche modo sfuggire al controllo degli Elohim e cominciarono a popolare la terra; da allora gli Elohim rafforzarono la guardia dell’accesso al Gan Eden [luogo di esperimenti di ingegneria genetica] nel timore che gli adamiti s’impadronissero dei loro segreti.

sergio magaldi