domenica 10 novembre 2024

REPLICA / Viaggio nella Qabbalah - Il problema del male (p.4ª)




L’ascesa virtuale lungo l’Albero della vita ci conduce ora alla Sephirah Ghevourah che rappresenta il rigore, il giudizio, la severità, ma anche la forza e la potenza come attestano alcune ghematrie della parola con valore 216. Naturalmente, Ghevourah va considerata sull’Albero non isolatamente ma in relazione alla Sephirah che apparentemente le si oppone: Chesed che manifesta la grazia e la misericordia divina.

 

Ghevourah è comunque ritenuta il punto di frattura delle scintille di luce provenienti dall’alto e quindi l’origine stessa della presenza nel mondo del male fisico, metafisico e morale.

 

In realtà le interpretazioni sull’origine del male sono di diversa natura, tanto in rapporto alla Bibbia che alla tradizione cabbalistica. I primi versetti di Genesi parlano di una sostanziale preesistenza delle tenebre e dunque del male inteso come “mancanza di luce” e di una terra come di un abisso sul quale interviene lo spirito di Elohim. La Bibbia poi contraddice questa interpretazione laddove si ripete costantemente che al Signore appartiene sia il bene che il male e che, d’altra parte, quest’ultimo dipende dal comportamento umano, a cominciare dal “peccato” di Adamo ed Eva.

 

Nella Qabbalah, l’insorgere del male viene fatto risalire non solo alla “fretta” con cui Adamo ed Eva vollero cibarsi del frutto dell’Albero della conoscenza (Daat, che non è una Sephirah perché non fa parte del progetto divino), ma anche alla “Rottura dei vasi” – prima di tutti il recipiente o vaso di Ghevourah – causata dallo Tzimtzum, cioè dal ritrarsi del Signore da un punto della Totalità, lasciando libera una luce troppo forte per essere assorbita dalle cosiddette Sephiroth emotive.

 

Dunque, il male, originato dalla caduta delle scintille di luce tra le scorze dell’Albero della vita o Qliphoth, non dipende più dal cosiddetto peccato originale, né da una scelta divina deliberata, bensì dall’esserci stesso di un universo separato dalla totalità dell’Essere. Si ripropone così il vecchio discorso della teodicea circa l’onnipotenza divina.


lunedì 28 ottobre 2024

Replica / Viaggio nella Qabbalah - I frutti dell'Albero della vita (p.3ª)




I frutti dell'Albero della vita sono le Sephiroth, nel senso che queste vanno analizzate, comprese, fatte proprie e assimilate come fossero cibo, da parte di chi voglia tentare l'ascesa lungo l'Albero. 

Quale il fine di questo percorso? La rettificazione di se stessi che deve portare al Tiqqun Olam, la rettificazione del mondo intero.
L'ascesa inizia da Malkhuth, la Sephirah più in basso, l'universo nel quale viviamo, dove si fronteggiano due forze contrapposte: il Leviatano e la Shekinah. 

Per salire più in alto, lungo la via diretta, e raggiugere, Yesod, la Sephirah del Fondamento, dobbiamo incamminarci per il trentaduesimo sentiero. Com'è noto, i sentieri dell'Albero sono 32, comprendendo le 10 Sephiroth e i 22 canali tra di loro, rappresentati dalle 22 lettere dell'alfabeto ebraico.
 

venerdì 11 ottobre 2024

Nations League: il Belgio pareggia con Pellegrini e Di Lorenzo


 

 

 Mancano poco più di cinque minuti alla fine del primo tempo e l’Italia del pallone va a gonfie vele contro il Belgio: Cambiaso e Retegui, i due marcatori, che, insieme a Di Marco, saranno anche i migliori in campo per l’Italia, hanno rifilato già due goal alla squadra che ci precede di quattro posti nel Ranking Fifa (loro sesti, noi decimi) e si ha l’impressione che presto arriverà anche il terzo goal. Gli azzurri corrono a tutto campo e si scambiano la palla ad una velocità forse mai vista prima, Ricci fa il regista con una maestria da veterano e tutti gli uomini del centrocampo si muovono con disinvoltura avanti e indietro.

 

Poi avviene l’impensabile: Bastoni (oggi non al suo livello standard) rinvia corto e Pellegrini stende con un piede a martello Theate per evitare che s’impossessi pericolosamente della palla. Cartellino rosso e l’Italia rimane in 10. Da quel momento gli azzurri perdono la testa e, come scioccati dall’idea di dover giocare il resto della partita in inferiorità numerica, prendono già goal su punizione conseguente al grave fallo di Pellegrini. Non si spiega altrimenti l’improvviso crollo di rendimento della nazionale italiana, passata dal dominio degli avversari a doverne subire l’iniziativa rischiando addirittura la sconfitta.

 

 Nella ripresa, così come negli ultimi minuti del primo tempo, la partita si trasforma in un costante attacco del Belgio contro la difesa bassa dell’Italia e, così, dopo un calcio d’angolo, da un tocco di testa di Di Lorenzo all’indietro – un vero e proprio assist a Trossard a qualche passo dalla rete di Donnarumma – arriva la rete del pareggio belga.

 

 Come la sua squadra, anche Spalletti rimane scioccato dal fatto di dover giocare con un uomo in meno e invece di dare animo ai suoi, mutando il 3-5-2 iniziale, in un 4-3-2 e sostituendo Di Lorenzo con Raspadori o Maldini in appoggio a Retegui, lascia tutto inalterato dando così alla squadra il messaggio di doversi difendere ad oltranza dalle folate dei belgi. Pure, il caso della Juve di Lipsia avrebbe dovuto far riflettere il nostro commissario tecnico. Tanto più che il suo pupillo “napoletano” ha “ballato” per tutta la partita, salvato più di una volta da Cambiaso prima e da Frattesi poi, di suo inanellando la solita serie di dribbling persi o di palle gettate in calcio d’angolo, anche quando non ce n’era necessità. A questo riguardo, sarebbe importante che il selezionatore azzurro rivedesse tutte le partite giocate di recente con la nazionale dal “suo” Di Lorenzo. Forse non servirebbe a nulla, visto quanto dichiarato in passato da Spalletti e che si sostanzia nel proposito di dare la maglia azzurra prima a Di Lorenzo, poi a tutti gli altri. D’altra parte, Il Corriere dello Sport sembra d’accordo con il tecnico di Certaldo dando a Di Lorenzo addirittura un 7 in pagella per la prestazione di ieri! Incredulo per ciò che leggevo, ho poi tratto conforto da Repubblica e dal Corriere della Sera che assai benevolmente gli attribuiscono rispettivamente un 5,5 e un 5.

 

 Neppure felice l’idea di dare la maglia n.10 a Pellegrini, non tanto perché questa fu la maglia di Rivera e di Baggio, di Del Piero e di Totti, quanto perché il romanista non sembra attraversare un buon periodo di forma, come testimoniano purtroppo anche i tanti fischi con cui, di questi tempi, il suo stesso pubblico lo accoglie allo stadio Olimpico di Roma.

 

 Ancora un’osservazione: si minimizza da parte della critica sportiva, soprattutto italiana, l’importanza della Nations League, ma occorre ricordare che vale per il Ranking e per la designazione delle teste di serie delle massime competizioni internazionali, e che le finaliste del torneo hanno la chance, qualora fallissero nei rispettivi gironi di qualificazione, di poter essere ripescate per i prossimi mondiali, ai quali l’Italia non prende parte ormai da più di una edizione. C’è inoltre da considerare l’albo d’oro di questo torneo: nel 2019 vinse il Portogallo,  nel 2021 la Francia e la Spagna nel 2023.

 

sergio magaldi


martedì 8 ottobre 2024

REPLICA / Viaggio nella Qabbalah – L'ascesa lungo l'Albero della Vita




L'Albero della Vita ha una struttura simile a quella del Tempio di Salomone e ai suoi tre pilastri, il che significa che l'Albero trova il suo equilibrio nella colonna centrale, punto d'incontro del maschile e del femminile, dell'acqua e del fuoco. 

La risalita delle Sephiroth, da Malkhuth, "Terra" o "Regno" a Kether, "Corona" o "Testa" comporta  anche l'incontro con Da'at, "Conoscenza", undicesimo frutto dell'Albero che però non è una Sephirah perché non fa parte del progetto divino originario.

Salendo di Sephirah in Sephirah prenderemo coscienza delle 231 Porte della Conoscenza, delle 50 Porte dell'Intelligenza e dei 32 Sentieri della Saggezza.

mercoledì 25 settembre 2024

LA RAGNATELA DI THIAGO MOTTA


  

 

 Alla 5.a di Campionato, prima vittoria di Bologna, Fiorentina e Roma (oltre a Venezia e Como), appaiate ora in classifica a sei punti. Il Milan vince il derby raggiungendo a otto punti un Inter che sembra avere ancora la testa a Manchester. L’Atalanta, reduce di Champions, perde la testa in casa contro il Como. La Lazio è fermata da arbitro e Var con due rigori contro abbastanza discutibili, soprattutto il secondo, mentre un rigore a favore le viene commutato in una punizione dal limite, con la motivazione che il fallo ai suoi danni inizia fuori dell’area di rigore, senza tener conto che poi si concretizza al suo interno.

 

Degna di nota la vittoria dei giallorossi (3-0 contro l’Udinese prima in classifica), trascinati da Ivan Jurić, nuovo allenatore capitolino, in uno stadio in cui la curva è rimasta deserta per la prima mezz’ora di partita, come forma di protesta contro l’esonero di Daniele De Rossi. Si è detto da più parti che il licenziamento del campione ed ex giocatore della Roma è ingiusto e incomprensibile, dopo appena quattro partite e con un contratto triennale da 3 milioni a stagione. Comprensibile il dispiacere dei tifosi, ma occorre ricordare che la squadra allenata da De Rossi nelle ultime 9 partite (le ultime 5 del campionato scorso, le prime 4 di quello in corso) conta una sola vittoria (19 maggio 2024:1-0 in casa contro il Genoa). Per la verità, la Roma aveva dimostrato notevoli progressi nelle due ultime uscite, a Torino pareggiando con la Juve e a Genova, dove un rigore non fischiato le ha forse scippato la vittoria, ma bisogna anche tener presente che, nella sua unica esperienza da allenatore, De Rossi è stato esonerato dalla Spal dopo solo 13 giornate del campionato di serie B. Allora perché fargli  firmare un contratto così lungo e oneroso? È ciò che si chiedono i tifosi. Per fare da parafulmine all’esonero di Mourinho era sufficiente anche un solo anno di contratto. È vero, ma perché criticare la proprietà che ha voluto offrirgli questa opportunità che ora le costa circa 18 milioni (tra stipendio netto e lordo)? Diciamo che aveva creduto in lui e che a un certo punto non ci ha creduto più. Diciamo allora che la proprietà ha sbagliato, ma anche che Daniele De Rossi non ha saputo o potuto approfittare della grande occasione che gli era stata offerta.

 

L’altra grande partita di cartello (oltre al derby milanese) della 5.a di Campionato è stata Juventus-Napoli, terminata 0-0, che è anche il terzo pareggio consecutivo dei bianconeri a reti bianche, dopo quelli con la Roma in casa e l’Empoli fuori, con l’unica consolazione di non avere ancora preso goal nelle prime cinque giornate di Serie A. I tre pareggi consecutivi non sorprendono più di tanto: non solo sono in linea con il percorso compiuto l’anno passato dal Bologna di Thiago Motta, ma si iscrivono senza soluzione di continuità nell’ultimo anno della Juve di Allegri. Infatti, se guardiamo la classifica finale del Campionato 2023/2024, ci si accorge che i numeri di Bologna e Juventus sono abbastanza simili, se si escludono i 3 punti in più che sono valsi ai bianconeri il terzo posto in classifica rispetto al quinto dei felsinei. La Juve chiude con 19 vittorie 14 pareggi e 5 sconfitte, il Bologna con 18 vittorie, 14 pareggi e 6 sconfitte. Da notare che tra le prime otto squadre della classifica con accesso alle coppe europee, Bologna e Juve hanno il primato con lo stesso numero di pareggi (14), mentre Fiorentina, Milan e Roma ne hanno 9, Inter e Lazio 7, Atalanta 6. C’è di più se si guarda ai goal fatti e subiti: Juve 54 fatti e 31 subiti, Bologna 54 fatti e 32 subiti!

Da questa analisi sembra evidente, non tanto che la Juve fatichi a “liberarsi” dagli schemi di Allegri, quanto che Thiago Motta e Allegri abbiano una organizzazione di gioco abbastanza simile.

L’anno scorso, vedendo giocare il Bologna, ebbi subito l’impressione che il suo splendido ruolino di marcia in campionato, nonostante una rosa non eccelsa, dipendesse da una sorta di ragnatela con cui riusciva a imbrigliare il gioco degli avversari. La stessa ragnatela che Thiago Motta sta proponendo quest’anno alla Juve e che, quando i bianconeri sono nella propria area, molto ricorda la difesa bassa e ad oltranza di Allegri. Appena però il baricentro della Juve si sposta in avanti, allora si ha l’impressione di un’altra squadra rispetto a quella del passato, proprio perché la ragnatela si estende ora a tutto il campo imbrigliando gli avversari. Il vantaggio per chi sa gettare questa rete ha però delle controindicazioni: la corsa è rallentata, la verticalizzazione sminuita, con scarsa propensione a tirare nella porta avversaria e a cercare profondità e punta centrale. In questa situazione, il rischio è di finire prigionieri della propria ragnatela, a meno di non trovare un’improvvisa via di uscita, con un colpo da campione, come Yildiz nella prima partita di Champions League.

In conclusione, se Thiago Motta riuscirà a liberarsi della propria ragnatela negli ultimi venti metri di campo, la Juve potrà lottare per lo scudetto, altrimenti dovrà accontentarsi al massimo di ripetere l’ultimo piazzamento di Allegri.

 

Sergio Magaldi  

 


martedì 9 luglio 2024

Le Linee del Drago




“Le linee del Drago” sono presunte vie energetiche e magnetiche che attraversano la Terra e ne costituiscono una sorta di sistema circolatorio. Si tratta di un sapere molto antico che viene dalla Cina dei tempi di Confucio (551-479 a.C.) e che è alla base del Feng Shui, una teoria mistica e una pratica da sempre alla ricerca dei luoghi più propizi per posizionare abitazioni e altri edifici. Alla metà del secolo scorso il medico tedesco Ernst Hartmann, studiando i luoghi migliori dove collocare i letti dei malati rivelò di aver scoperto la rete di energia che attraversa la Terra ma anche i cosiddetti nodi che si formerebbero alla congiunzione delle linee rette orizzontali con quelle verticali. Nodi che possono rivelarsi pericolosi in presenza di elementi sotterranei “inquinanti” come corsi d’acqua, resti di animali, ferro etc… Prima ancora di Hartmann, il medico italiano Giuseppe Calligaris (1876-1944) rivelò nei suoi studi ed esperimenti quelle che chiamò “le catene lineari del corpo e dello spirito" con la presenza nel corpo umano di altrettanti nodi, una costellazione complessa di linee e placche in corrispondenza con le radiazioni dell’intero universo. Con queste consapevolezze Marco Dofer, il protagonista principale del romanzo, rabdomante più per hobby che per mestiere, si accinge ai suoi rilevamenti con tanto di bacchetta o biotensor, prima cercando di individuare gli eventuali spazi e oggetti “inquinanti” di un locale pubblico, poi al servizio di ufficiali dei carabinieri nei luoghi di ritrovamento di diversi resti umani. Le sue scoperte si riveleranno utili per comprendere le “ragioni” del dualismo cosmico, ma soprattutto la funzione del male e della paura da parte di chi controlla il potere.

domenica 30 giugno 2024

GLI AZZURRI AGLI EUROPEI E IL SENSO DEL RIDICOLO


 

 

 

 Ieri, alla vigilia di Svizzera-Italia, avevo parlato di mancanza di senso della realtà da parte di chi, vista l’apparente facilità del Tabellone in cui era finita Italia, vagheggiava già l’approdo in finale. Oggi parlo piuttosto di senso del ridicolo dei protagonisti fuori e dentro il campo.

Per la verità, nei primi venti minuti dell’incontro, qualcosa sembrava cambiato rispetto alle precedenti esibizioni degli azzurri, ma forse era solo il timore reverenziale degli avversari di fronte ai campioni d’Europa in carica. Quando gli elvetici si sono resi conto di che pasta era fatta la nostra nazionale hanno preso in mano il pallino della partita (si fa per dire) senza più mollarlo: Di Lorenzo letteralmente saltato ha dato il via al primo goal degli svizzeri, quando subito dopo è partito un tiro intercettato a rete da uno stordito ancorché incolpevole Mancini; buchi al centro della difesa e ampio spazio lasciato libero all’altro marcatore svizzero per segnare da lontano appena all’inizio del secondo tempo, proprio quando si sperava in una reazione degli azzurri dopo la delusione dell’ultima mezzora del primo tempo. Una squadra quella italiana che camminava e non indovinava due passaggi di fila e che nelle rare occasioni in cui ha tirato in porta, lo ha fatto per così dire con delle incredibili mezze “ciabattate”; giocatori che allargavano le braccia non sapendo cosa fare con la palla, nessuna carica agonistica tanto da far pensare ai maligni che c’era tra i nostri un solo desiderio: andare in vacanza al più presto! Su questo non sono d’accordo, perché il peggio si era già visto contro la Spagna e nessuno può ragionevolmente pensare che gli azzurri pensassero al ritorno a casa già alla seconda partita degli Europei! Parlerei dunque più di senso del ridicolo che di senso della vergogna. Ma è tutta colpa dei giocatori (escludendo il solo Donnarumma)?

Non direi, perché è vero che Spalletti ha cambiato qualcosa in questa partita decisiva, ma sembra averlo fatto a caso e senza avere in mente un’organizzazione di gioco appena plausibile. Testardo come sempre nel riproporre “suo figlio” Di Lorenzo che ha puntualmente confermato il rendimento delle tre precedenti prestazioni e quelle di tutto l’anno nel Napoli; dietro ha giocato a quattro, con un incerto Darmian terzino a sinistra (?!), un Mancini apparso spossato già nelle ultime di Campionato al posto di Calafiori (non Gatti come sarebbe stato auspicabile) e con Bastoni che alla vigilia aveva avuto la febbre. A centrocampo l’unica vera novità è stata aver lasciato (finalmente?) fuori Jorginho ma non poteva bastare, nonostante l’impegno mostrato da Fagioli, vista la lentezza di Cristante, l’eccessivo individualismo di Barella, dolente anche per un infortunio subito nella prima parte della gara, e lo scarso rendimento complessivo della difesa. Il capolavoro Spalletti l’ha poi perfezionato in attacco rinunciando a Zaccagni e schierando per la prima volta Al Shaarawy (peraltro, si è saputo dopo, poco in condizione) però non in sostituzione di Chiesa a sinistra, magari nel secondo tempo, quando il bianconero fosse stato stanco come spesso gli accade, ma sin dall’inizio.

Perché cambiare ancora modulo? Perché le idee sono state così poche e confuse? Perché non giocare a tre dietro come nella precedente partita contro la Croazia, mettendo finalmente da parte “suo figlio” e con due esterni veri come Bellanova e Di Marco o Cambiaso? Perché far fuori Zaccagni che pure Spalletti aveva abbracciato e baciato dopo il goal salvezza contro i croati? Perché insistere per la quarta volta con Chiesa a destra? Interrogativi che resteranno senza risposta, ma che lasciano l’amaro in bocca e più di una inquietudine in vista delle prossime qualificazioni ai mondiali, dove sarebbe clamorosa la terza esclusione di fila degli azzurri.

Inutile ripetere i discorsi di sempre, forse però vale la pena di ricordarne le tematiche ancora una volta: pochi anzi pochissimi i giocatori italiani impiegati nel Campionato di serie A e persino di B, scarso o nullo in particolare lo spazio lasciato ai giovani, nessuna politica per integrare nel calcio le minoranze etniche, africane e non, ciò che pure è avvenuto per l’atletica dove non è necessario, come nel calcio, frequentare costose scuole per farsi notare.

 

sergio magaldi