VENUTO AL MONDO, regia di Sergio Castellitto, Italia, Spagna, Croazia 2012, 127 minuti |
Senza
la presenza di un’appassionata Penelope Cruz, grande come sempre, e senza la
convincente interpretazione di Adnan Haskovic nei panni del poeta bosniaco
Gojko e di Saadet Aksov, in quelli di Aska, “la cicogna”, il film tratto
dall’omonimo, ottimo libro di Margaret Mazzantini, avrebbe forse rischiato il flop.
La regia non appare convincente, come del resto la
sceneggiatura in cui, pure, Sergio Castellitto si è giovato della
collaborazione della moglie e autrice del romanzo: dialoghi scarni e lapidari
che dovrebbero favorire la comprensione e che finiscono col lasciare spazio a
immagini e vicende che si susseguono rincorrendosi le une con le altre e
strutturandosi come in tante scatole cinesi.
Il patos che accompagna il lettore nelle
pagine del libro si stempera spesso in una serie di “quadri” talora cruenti e
ripetitivi. Per non parlare della musica assordante e/o spesso “fuori luogo”
che scandisce le scene. Tutto ciò, senza dimenticare certe scelte del regista
[Ironia tragica e voluta?], come quella di utilizzare nella parte di Pietro
adolescente, il proprio figlio [Pietro Castellitto], bravo di sicuro,
con gli occhi espressivi della madre vera [Margaret Mazzantini] e della madre
del film, ma così troppo somigliante fisicamente al padre adottivo Giuliano
[nella tragica realtà che il film presenta delle “paternità sconosciute”], il
colonnello dei carabinieri, interpretato dallo stesso Sergio Castellitto.
Nonché nell’utilizzare i sapienti “ammiccamenti” del grande interprete [Luca De
Filippo] del suo geniale padre [Eduardo], nella parte di Armando, il padre di
Gemma.
Se non fosse per l’ultimo quarto d’ora o poco
più, Venuto al mondo di Castellitto farebbe perdere di vista il dramma
della guerra bosniaca, l’inferno di Sarajevo in fiamme, lo stupro etnico, la
commozione e l’eterna malvagità dell’uomo e più probabilmente si segnalerebbe
come la vicenda privata di una coppia borghese, ossessionata dall’idea di non
poter avere figli e determinata a pagare qualsiasi cifra pur di adottarne uno
che, agli occhi di una donna sterile e innamorata, “proprio come il padre sia
bello come il sole”.
Neppure si tratta, così come viene
realizzata, di una grande storia d’amore, nonostante l’affermazione che risuona
nel film e cioè che “gli amori più assurdi sono i migliori”, perché
Diego, il bizzarro e fantasioso fotografo americano [Emile Hirsh,
l’attore americano dal volto lunare e “bosniaco”, per me non del tutto
convincente nel ruolo] e Gemma [Penelope Cruz, bella anche quando è
invecchiata per esigenze di copione], non riescono ad essere gli amanti che
sfidano il tempo: lei vuole un figlio da lui: “Un lucchetto di carne”, che
incateni Diego a sé, lui dichiara mezzo imbambolato che un figlio è quello che
vuole dalla vita, l’asseconda, ma in realtà è troppo chino su se stesso per
volere realmente qualcosa. E persino la camera da presa, generosa quando va sui
primi piani di sangue della morte e della nascita, allarga troppo l’obbiettivo
sui particolari del corpo degli amanti, rendendo l’amplesso angoscioso e poco
visibile.
Insomma, non era facile tradurre sullo
schermo un romanzo come Venuto al mondo, per i tanti piani di lettura
che la scrittura pregevole della Mazzantini aveva saputo armonizzare, ma che la
versione cinematografica tende inesorabilmente a squilibrare, appiattendo la
narrazione e finendo col presentare messaggi talora contraddittori che fanno
perdere di vista allo spettatore l’unità dell’opera. Dispiace, perché non è
discutibile il talento di Pietro Castellitto come attore, né quello di Margaret
Mazzantini come scrittrice. Un film comunque da vedere e che di sicuro
dividerà nel giudizio critica e platea.
sergio magaldi
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