Immagine ripresa da Lettera 43, quotidiano online indipendente |
L’autoimbavagliamento di Corrado Passera
davanti al Parlamento, preso in prestito dalla strategia radicale degli anni
Settanta, la dice lunga sulle ragioni di politici e opinionisti che si
oppongono all’Italicum. Premesso che il banchiere avrebbe fatto meglio a
indossare il bavaglio quando era ministro del governo Monti, resta da
considerare qual è il senso generale dell’opposizione alla nuova legge
elettorale.
Le principali critiche riguardano:
1)
La “nomina”
da parte delle segreterie politiche dei partiti del 60% dei deputati a fronte
del 40% eletto col sistema delle preferenze. È l’argomento principe della minoranza del PD e non solo, e se ne
comprendono i motivi. Il timore è che nella futura Camera prevalga tra i
democratici, a differenza di oggi, una maggioranza nettamente favorevole a
Renzi. Peccato che, nel portare avanti questa tardiva e apparente difesa della
democrazia, la minoranza del PD si lasci alle spalle la convinzione atavica di
gran parte dei suoi componenti, e cioè che il sistema delle preferenze si
giochi tutto sulla contrapposizione individuale basata sul denaro, sulla
corruzione e sull’ingerenza di gruppi di potere e/o di organizzazioni
malavitose. È chiaro che la scelta di una buona parte di eleggibili da parte
dei partiti, non è di per sé un antidoto contro la possibile degenerazione del
sistema rappresentativo, ma di certo sembra
almeno in grado di attenuarne il fenomeno, soprattutto se le liste dei
candidati approntate dalle segreterie dei partiti fossero determinate da
elezioni primarie indette tra i soli iscritti di ogni singolo partito.
Il sistema prescelto, più che un compromesso, sembra uno strumento per
bilanciare esigenze diverse. Da una parte la responsabilità dei partiti nel
selezionare i propri candidati [che l’elettore giudicherà, premiando o meno il
partito che li propone], dall’altra quella degli elettori chiamati a esprimere
le preferenze a prescindere dalle gerarchie di candidati prestabilite dalle
segreterie politiche. La proposta della minoranza del PD di rovesciare il
rapporto [70% di candidati eletti con le preferenze, 30% prescelti dai
partiti], ancorché fosse disinteressata, cela neanche troppo l’obiettivo di
introdurre un emendamento che rinvierebbe la legge al Senato, dove sarebbe
definitivamente affossata, stante il rapporto di forza tra maggioranza e
opposizioni in quel ramo del Parlamento e in virtù del venir meno del
cosiddetto Patto del Nazareno.
2)
Il premio
di maggioranza accordato alla lista, e non alle coalizioni dei partiti,
allorché la singola lista raggiunga il 40% dei voti espressi e, in caso
contrario, il ballottaggio tra le due liste che abbiano ottenuto il maggior
numero di voti. È la principale
obiezione di Forza Italia e anche in questo caso i motivi di bottega sono più
che evidenti. Per quel che resta del partito di Berlusconi, un conto è andare
da soli, un altro è andarci con una coalizione di centrodestra che comprenda
ben quattro partiti e qualche movimento [Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia,
Nuovo Centro Destra, Casa Pound ecc…]. Lo scopo evidente di questa norma della
legge elettorale è non solo evitare i cosiddetti “governi di larga intesa”, ma
anche attenuare il relativo ricatto dei partiti minori, senza tuttavia impedire
la prassi democratica, già al primo turno, di accorpamenti tra partiti per
formare una sola lista. Recita, infatti, un articolo in merito: “In caso di
ballottaggio, fra il primo turno di votazione e il ballottaggio non sono
consentiti ulteriori apparentamenti fra liste o coalizioni di liste presentate
al primo turno […]”L’obiezione forzista si rivela dunque pretestuosa. Stando ai
sondaggi elettorali, né Forza Italia né probabilmente la Lega di Salvini
andrebbero al ballottaggio. Quasi sicuramente ci andrebbe il Movimento Cinque
Stelle che, sempre stando ai sondaggi, è il secondo partito in Italia [con circa il 7% di voti in più della Lega] e
che è addirittura il primo, se si guarda all’elettorato compreso tra i 18 e i
54 anni. Per sperare di andare al ballottaggio, dunque, il centrodestra sarebbe
costretto a formare una sola lista sin dal primo turno, ciò che i tanti
protagonismi rendono difficile.
3)
La
questione della pluralità della rappresentanza politica e della tutela delle
minoranze. Argomento che sta molto
a cuore a Corrado Passera che, con il suo recente partito, ha tutta l’aria di
raggiungere, come si suol dire, percentuali da prefisso telefonico. E che per
questo s’imbavaglia. Il limite del 3% per entrare alla Camera [dopo i limiti
ben maggiori previsti da precedenti stesure della legge e che effettivamente
non garantivano le minoranze] mi sembra equo per garantire la presenza in
Parlamento delle minoranze, ma al tempo stesso serve a escludere i partiti
dell’un per cento della Prima Repubblica che, grazie al sistema proporzionale,
portavano a casa una decina di deputati, condizionando poi pesantemente la
formazione dei governi.
Altre questioni, come il numero delle donne da
eleggere alla Camera o i tempi di applicazione della nuova legge elettorale non
sono invece oggetto di contestazione. Apposite norme tutelano infatti la
presenza femminile e l’entrata in vigore della legge è fissato al Luglio 2016,
presumibilmente dopo l’approvazione della riforma costituzionale del Senato.
Resta invece in piedi la solita obiezione dei “benaltristi”: “C’è ben altro,
che la nuova legge elettorale o le riforme costituzionali, a interessare oggi
gli italiani” oppure: “I cittadini non potranno sfamarsi con la nuova legge
elettorale” e così via dicendo. Affermazioni ineccepibili, ma al tempo stesso
pretestuose. Perché, al momento, il Paese non dispone di una legge elettorale
degna di questo nome e il persistere del bicameralismo perfetto ritarda e/o
impedisce l’approvazione di qualsiasi riforma. È vero che occorrerebbero una
serie di interventi per ridistribuire il reddito, colpire finalmente i tanti
privilegi corporativi, rilanciare l’occupazione ecc…, ma un governo di “piccole
intese”, qual è quello di Renzi, di Alfano e di qualche scampolo di Scelta
Civica, può oggi permetterseli? Il mio modesto parere resta sempre la stesso:
il giudizio sulle capacità e sull’autentica volontà riformatrice dell’attuale
presidente del consiglio dei ministri deve essere rinviato al momento in cui
disporrà, e se disporrà, di un’autentica maggioranza, non può basarsi
sulle poche e incomplete riforme sin qui introdotte, né tantomeno sulla nuova
legge elettorale. La verità è che la polemica contro l’Italicum cela in realtà
il conservatorismo della classe dirigente, poco incline a favorire governi che
non si basino sui compromessi e “larghe intese”, veri e propri esecutivi
paralizzati, dai quali avere la garanzia che tutto resti come prima. Insomma,
si ha paura di un sistema in cui chi vince prende tutto e chi perde fa
opposizione vera per cercare di vincere la volta successiva. Il timore è
persino giustificato in un Paese “bloccato” per cinquant’anni dalla Democrazia
Cristiana e dove i governi di centrosinistra e di centrodestra, che si sono
alternati al potere nell’ultimo ventennio, hanno dato così tanta cattiva prova
di sé. Ma era un sistema falsamente bipolare, in cui ogni polo comprendeva
partiti piccoli e grandi e trasformismo e ricatti, così sempre fiorenti nella
tradizione parlamentare italiana, erano di casa.
Pur senza prevedere il “vincolo di mandato”,
auspicato soltanto dal Movimento Cinque Stelle, e che avrei visto volentieri
nella nuova legge elettorale, l’Italicum cerca di realizzare un sistema
elettorale che, senza poterlo evitare, dovrebbe attenuare di molto l’incidenza
delle coalizioni e la tradizionale funzione di ricatto dei partiti minori. Certo,
l’introduzione del premio di maggioranza fa discutere. A molti sembra più la
malattia che il farmaco. Per molti altri è lo strumento che permetterà a Renzi
di formare il cosiddetto Partito della Nazione. Purtroppo non ha genitori
illustri. A cominciare dalla legge del fascista Acerbo del 1923 che prevedeva i
2/3 dei seggi per il partito più votato e che avesse raggiunto il 25% dei voti
espressi. Legge sulla quale, peraltro, espresse parere favorevole [10 contro 8]
una commissione parlamentare presieduta
da Giovanni Giolitti e in cui erano
presenti solo tre fascisti. Per continuare con la cosiddetta legge truffa
del 1953, proposta da Scelba, ministro degli interni del governo De Gasperi,
che concedeva alla lista o a più liste collegate tra loro che avessero
raggiunto il 50% più uno dei voti validi, un premio di maggioranza pari al 65%
dei seggi. Per finire col cosiddetto Porcellum del 2005, con il quale è stato
eletto l’attuale Parlamento, e che solo a distanza di nove anni [2014],
una evidentemente indaffarata Corte Costituzionale ha dichiarato in gran parte
illegittimo. Prevedeva un robusto premio di maggioranza per la Camera, e uno
più debole per il Senato, creando le premesse per maggioranze diverse nei due
rami del Parlamento e dunque per l’ingovernabilità o “le larghe intese”.
Tutti i sistemi elettorali “a premio” furono
dettati dalla volontà di conservare il potere da parte di chi lo deteneva e
senza che le opposizioni, divise tra loro, sapessero opporsi. È questo il caso
dell’Italicum? C’è innanzi tutto da osservare che a prescindere dal governo
fascista che fu il primo a introdurlo, con la benedizione di liberali e
democratici, il premio di maggioranza si è rivelato per un Paese come il
nostro, fatta eccezione per l’era democristiana quando la pregiudiziale
anticomunista a torto o a ragione ne faceva le veci, strumento indispensabile
di governabilità. Ciò premesso, il fatto nuovo è che, accanto al premio di
maggioranza, viene introdotto per la prima volta l’istituto del ballottaggio.
Ciò che non rende affatto sicuro il successo del partito al governo [Il Pd di Renzi,
nella fattispecie], perché i cittadini potrebbero benissimo decidere a
maggioranza di votare il presunto candidato della lista alternativa, tenuto
conto che molte barriere ideologiche sono ormai cadute. Naturalmente,
l’Italicum non è certo la perfezione, ma oltre alle critiche di cui sopra,
quale proposta organica e alternativa, con qualche possibilità di
successo, è stata presentata nei due rami del Parlamento?
sergio
magaldi