Umberto Eco, Numero Zero, Bompiani, Milano, 2015, pp.218 |
Scrivere
Roosevelt omettendo la prima “e”, con la “w” al posto della v”, o Simone de
Beauvoir con l’aggiunta di una “e” finale è ormai divenuta consuetudine anche
per i giornali più importanti, presi come sono dall’esigenza di “manipolare” le
notizie e/o supportare, per motivi di cassetta, ipotesi di complottismo o, al
contrario, per smascherarle, piuttosto che preoccuparsi del proto. Questa la tesi
di fondo dell’ultimo romanzo di Umberto Eco.
Protagonista è un giornalista che lavora tra
quotidiani di provincia, correzione di bozze, letture di manoscritti che non
saranno mai pubblicati e che le case editrici non hanno voglia di leggere,
tentativi falliti di scrittura in proprio. Sempre alla ricerca di una
collocazione ufficiale, egli è infine avvicinato dal dottor Simei, un oscuro
personaggio che, per conto terzi, gli offre ottanta milioni di lire esentasse
[siamo nella Milano del 1992] per scrivere al suo posto un libro di cui poi si
approprierà. Sarà il memoriale del direttore di un giornale, circa il lavoro di
redazione di un quotidiano che non verrà mai alla luce e di cui saranno
stampati, in pochissime copie, 12 numeri zero. Serviranno a chi paga – tale
commendator Vimercate – per entrare nel salotto buono del potere. Si tratta di
“un nuovo quotidiano disposto a dire la verità su tutto”. S’intitola Domani
e avrà lo scopo di gettare nel panico il mondo della politica e della finanza.
Non uscirà mai – ma questo per il momento deve restare segreto – perché sarà solo lo strumento per una sorta
di ricatto.
Da chi è formata la redazione del nuovo
quotidiano? Oltre al dottor Colonna, il giornalista di cui sopra, che sarà
l’assistente del direttore e che è il solo a conoscere la verità
sull’impossibile futuro del giornale, c’è una donna, nubile di 28 anni,
che per un lustro ha lavorato per una rivista di gossip. E ci sono
cinque redattori maschi: l’uno è specializzato in “rivelazioni scandalose” ed è
pagato “a pezzo” per la rivista Cosa c’è sotto, l’altro si è sempre
interessato di cronaca nera e di incidenti stradali, il terzo ha collaborato a
pubblicazioni di cui nessuno ricorda i titoli, il quarto si è per lo più
occupato di enigmistica. Il quinto, infine, ha lavorato come proto, ora però il
suo mestiere è in crisi, perché “ormai i
giornali avevano troppe pagine, nessuno poteva rileggere tutto prima di andare
in stampa, ora anche i grandi quotidiani scrivevano Simone de Beauvoire o
Beaudelaire, o Rooswelt, e il proto stava diventando desueto come il torchio di
Gutenberg”[p.32].
La prima riunione di redazione servirà a
chiarirsi le idee su come fare un quotidiano alternativo, partendo dal
presupposto che “I giornali mentono, gli storici mentono, la televisione oggi
mente”[p.41]. Un esempio eloquente è l’immagine del cormorano incatramato e
agonizzante, presentata dai media di tutto il mondo durante la guerra
del Golfo. In quella stagione era impossibile che i cormorani si trovassero nel
Golfo Persico. E desta qualche perplessità anche lo sbarco degli americani
sulla Luna, dove le ombre degli astronauti, dopo l’allunaggio, sembrano più
compatibili con la loro presenza in uno studio, piuttosto che sul satellite
della Terra. Quale sarà lo stile nel dare le notizie? I “fatti” potranno essere
interpretati? Sì, a condizione di fare come i grandi giornali anglosassoni: “Se
raccontano, che so, di un incendio o di un incidente automobilistico non
possono evidentemente dire come la pensano loro. E allora inseriscono
nell’articolo, tra virgolette, le dichiarazioni di un testimone […]. Però si
potrebbe supporre che il giornalista abbia dato voce solo a chi la pensa come
lui […]. L’astuzia sta nel virgolettare prima un’opinione banale, poi un’altra
opinione, più ragionata, che assomiglia molto all’opinione del
giornalista”[pp.55-56].
I redattori di Domani si eserciteranno
per apprendere come fare una smentita, senza in realtà smentire, del tipo: “Prendiamo
atto della smentita ma precisiamo che quanto abbiamo riportato risulta agli
atti della magistratura e cioè dall’avviso di garanzia. Il fatto che lo
Smentuccia sia stato poi prosciolto in istruttoria, il lettore non lo sa. Né sa
che quegli atti dovevano essere riservati e non è chiaro come ci siano
arrivati, né quanto siano autentici. Io ho fatto il compito, dottor Simei, ma, se mi permette,
questa mi pare, come dire, una carognata.”[p.63]. Così osserva l’unica donna
della redazione che non a caso si chiama Maia e che sembra la sola a soffrire
di questo modo di fare giornalismo, basato sull’apparenza spacciata come
verità. E il direttore pretende da lei, specializzata in “affettuose amicizie”,
che compili oroscopi per i lettori con “previsioni che vadano bene per tutti
[…] una lettrice di sessant’anni non si identificherebbe con la prospettiva di
incontrare il giovane della sua vita, ma il vaticinio, che so, che a quel
capricorno lì accadrà nei prossimi mesi
un evento che lo renderà felice va bene per tutti” [p.64]. Sempre sul punto di
lasciare il giornale per il disgusto che le ispira, Maia saprà esprimere
l’autenticità di un sentimento per un uomo che ha il doppio dei suoi anni ma
che è gentile con lei e che mostra di amarla. L’unica forma di verità in un
mondo dove tutto è finzione.
La discussione sui contenuti da mettere nel
giornale, offre lo spunto a Umberto Eco per ricostruire, attraverso il
redattore specializzato in rivelazioni clamorose, mezzo secolo di storia
italiana in chiave di complotto. E Romano Braggadocio – questo il nome del
redattore – confida al dott. Colonna di aver trovato la chiave giusta per
aprire l’urna nella quale sono custoditi i tanti intrighi, misteri e delitti
della Prima Repubblica. Tutto ha inizio con l’uccisione del sosia di Mussolini,
mentre il vero Mussolini ripara prima in Vaticano, poi in Argentina.
Oltre alla ricostruzione attendibile di come si svolsero realmente i
fatti precedenti la cattura del falso duce, la prova decisiva la fornisce il
referto dell’autopsia del cadavere di Piazzale Loreto: “E se continui a leggere
vedrai che nello stomaco non è stata rinvenuta traccia di ulcera, e però tutti
sappiamo che Mussolini ne soffriva, né si parla di tracce di sifilide, eppure
era voce corrente che il defunto fosse sifilitico a uno stadio avanzato”
[p.144]. Né manca la dietrologia di altri eventi cruciali, come il complotto di
“una camarilla ecclesiastico-massonica” che avrebbe determinato la morte di
papa Albino Luciani e che per questioni finanziarie, neanche tanto oscure,
avrebbe poi attentato alla vita di Giovanni Paolo II.
Un romanzo, niente affatto “minore”, questo di
Umberto Eco, come certa critica ha sostenuto. Uno spaccato, come si suole dire, della politica italiana degli ultimi cinquant'anni, tra fantasia e realtà. E se è vero che i personaggi
restano troppo in ombra o appaiono più stereotipi che creature reali, è
altrettanto vero che il fine di questa narrazione non è quello di scavare nella
psiche dei redattori di un giornale, quanto piuttosto di mostrare, ammiccando e con buona dose di ironia, la complessa fenomenologia che caratterizza la
comunicazione del nostro tempo.
sergio
magaldi
Nessun commento:
Posta un commento