mercoledì 19 giugno 2019

LA LUNGA MARCIA DELLE ÉLITE

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 La terza mossa del sistema è ancora in atto. Scrivevo all’indomani del voto italiano per l’Europa: «Da qualche giorno gli addetti ai lavori dell’opposizione e le vestali della comunicazione, da sempre asservite alle élite e costantemente attive sui grandi giornali e nei talk show, non fanno che dare per certa e più o meno imminente la crisi di governo. In caso contrario – si dice – per una nuova pressione interessata nei confronti del M5S, i pentastellati diverrebbero lo “zerbino dei leghisti”, e Di Maio il “maggiordomo” di Salvini» [vedi il post LA TERZA MOSSA DEL SISTEMA, cliccando sul titolo per leggere].

Cambia però la fiducia smisurata e interessata in una rapida crisi di governo. Si dice perché i pentastellati temono come la peste nuove elezioni che avrebbero l’effetto di dimezzare la pattuglia parlamentare, oltre a sancire la perdita della poltrona per molti di loro, già al secondo mandato e dunque, secondo statuto, impossibilitati a ricandidarsi. Quale, allora, il nuovo “gioco” di coloro che sono pagati per vendere opinioni? Non ci si occupa più dei Cinquestelle, ma si guarda ora soltanto alla Lega: come pensano i leghisti di far passare flat tax, tav e investimenti produttivi? Gli alleati di governo non metteranno i bastoni tra le ruote, almeno rallentando l’approvazione di provvedimenti che Salvini e i suoi giudicano determinanti per rilanciare l’economia?

Quel che non si dice, invece, è che la flat tax, nella formula proposta, prevede un tetto massimo di 50.000-60.000 euro con lo scopo di rilanciare i consumi dei ceti medi (con il conseguente aumento degli investimenti e dell’occupazione) e nello stesso tempo – misura che piace ai Cinquestelle e che dovrebbe piacere anche alla sinistra, se ce ne fosse ancora una – di ridurre la forbice reddituale, anche considerando che, secondo il rapporto OXFAM ITALIA, alla fine del primo semestre del 2017 la distribuzione della ricchezza nazionale netta  vede il 20% più ricco degli italiani detenere oltre il 66% della ricchezza nazionale.

 E, ancora, che senso ha per la Lega subire i ricatti di un Movimento uscito dimezzato dal voto e invece non passare all’incasso – andando subito alle urne –  di quella percentuale di consensi ottenuta nelle elezioni europee? A tal fine si diffonde la narrazione che la volontà di rompere avrebbe già conquistato la maggioranza dei leghisti e che Salvini sarebbe ormai quasi completamente isolato nel voler continuare a sostenere il governo gialloverde.

Dietro la carota, si nasconde il bastone. Ci si chiede dove il governo gialloverde troverà le risorse per introdurre la flat tax, il cui costo è stato calcolato in circa 20 miliardi (ma le cifre ballano, come sempre) e si tralascia di dire che almeno la metà di questa somma è già reperibile abolendo i famosi 80 euro di Renzi, che non avrebbero più senso ove il prelievo fiscale fosse del 15% sui redditi sino a 50-60 mila euro annui. Si lascia intravedere alla Lega la possibilità di governare da sola, o al più con l’apporto di Fratelli d’Italia e magari anche con quello che resta di Forza Italia, e al tempo stesso si sottolinea – giochetto fatto anche con Renzi, quando il PD aveva raggiunto il 40% dei consensi – che i leghisti non rappresentano la maggioranza degli italiani ma all’incirca solo un 17% dell’intero corpo elettorale, se si considera che il 35% dei voti ottenuti dalla Lega nelle europee è relativo a poco più del 50% dei votanti. Come non si sapesse che il fenomeno è comune a tutte le democrazie rappresentative. Chi non vota – sia che questo significhi sfiducia nell’intero sistema o indifferenza o semplicemente pigrizia – manifesta di fatto una volontà di delega, quando piuttosto non rappresenti una improbabile forma di resistenza organizzata contro il potere, alla maniera di Saramago [vedi il post VOTARE SCHEDA BIANCA IN DEMOCRAZIA È REATO?..., e clicca sul titolo per leggere].

Non basta. Si lascia intravedere che se non si andrà al voto al più presto, ci troveremo a fare i conti con l’Europa e l’Italia andrà a sbattere. Si ridicolizzano i minibot che, certo non sono la panacea, ma non sono nemmeno un progetto di uscita dall’euro né un debito, come si vuole far credere. Perché il loro scopo è proprio quello di sanare i debiti contratti dalle amministrazioni pubbliche con le aziende creditrici, che potranno utilizzarli per l’acquisto di beni da altre ditte operanti sul territorio nazionale e per pagare le tasse. Il che significa maggiore liquidità e maggiori investimenti. Dal canto suo, lo Stato avrà nell’immediato il vantaggio di cancellare il debito con le aziende e di predisporsi in tempo per far fronte successivamente ai minori crediti (tasse riscosse in minibot invece che in euro), approfittando dall’aumentata circolazione di beni e di denaro.

Il progetto è chiarissimo: tornare il più presto alle urne rinverdendo il bipolarismo tra il centrodestra (o destracentro) e una coalizione di centrosinistra che finirebbe per raccogliere tutti gli altri. È proprio la trappola in cui, almeno al momento, Salvini ha capito di non dover cadere. Egli sa che l’alleanza con Fratelli d’Italia e con i resti e/o i fuoriusciti di Forza Italia metterebbe in discussione lo straordinario risultato che in 14 mesi gli ha permesso di raddoppiare il  consenso elettorale. Sa che perderebbe un cospicuo numero di elettori che da sinistra hanno dato il voto alla Lega nella speranza del cambiamento e incoraggiati dall’alleanza con i Cinquestelle che tiene fuori dal governo del Paese la sedicente sinistra, la destra nostalgica, e gli opportunisti e cosiddetti moderati di Berlusconi.

Le forze dispiegate perché nulla cambi davvero in Italia sono tante e hanno sponde possenti e inquietanti e non sarà facile arrestare la lunga marcia delle élite verso la restaurazione e la completa sottomissione a Eurogermania.

sergio magaldi  

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