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Cambia però la fiducia smisurata e interessata in una rapida
crisi di governo. Si dice perché i pentastellati temono come la peste nuove
elezioni che avrebbero l’effetto di dimezzare la pattuglia parlamentare, oltre
a sancire la perdita della poltrona per molti di loro, già al secondo mandato e
dunque, secondo statuto, impossibilitati a ricandidarsi. Quale, allora, il
nuovo “gioco” di coloro che sono pagati per vendere opinioni? Non ci si occupa
più dei Cinquestelle, ma si guarda ora soltanto alla Lega: come pensano i
leghisti di far passare flat tax, tav e investimenti produttivi? Gli alleati di
governo non metteranno i bastoni tra le ruote, almeno rallentando
l’approvazione di provvedimenti che Salvini e i suoi giudicano determinanti per
rilanciare l’economia?
Quel che non si dice, invece, è che la flat tax, nella formula proposta, prevede un tetto massimo di
50.000-60.000 euro con lo scopo di rilanciare i consumi dei ceti medi (con il
conseguente aumento degli investimenti e dell’occupazione) e nello stesso tempo
– misura che piace ai Cinquestelle e che dovrebbe piacere anche alla sinistra,
se ce ne fosse ancora una – di ridurre la forbice reddituale, anche considerando
che, secondo il rapporto OXFAM ITALIA, alla fine del primo semestre del 2017 la
distribuzione della ricchezza nazionale netta
vede il 20% più ricco degli italiani detenere oltre il 66% della
ricchezza nazionale.
E, ancora,
che senso ha per la Lega subire i ricatti di un Movimento uscito dimezzato dal
voto e invece non passare all’incasso – andando subito alle urne – di quella percentuale di consensi ottenuta
nelle elezioni europee? A tal fine si diffonde la narrazione che la volontà di
rompere avrebbe già conquistato la maggioranza dei leghisti e che Salvini
sarebbe ormai quasi completamente isolato nel voler continuare a sostenere il
governo gialloverde.
Dietro la carota, si nasconde il bastone. Ci si
chiede dove il governo gialloverde troverà le risorse per introdurre la flat
tax, il cui costo è stato calcolato in circa 20 miliardi (ma le cifre ballano,
come sempre) e si tralascia di dire che almeno la metà di questa somma è già
reperibile abolendo i famosi 80 euro di Renzi, che non avrebbero più senso ove
il prelievo fiscale fosse del 15% sui redditi sino a 50-60 mila euro annui. Si
lascia intravedere alla Lega la possibilità di governare da sola, o al più con
l’apporto di Fratelli d’Italia e magari anche con quello che resta di Forza
Italia, e al tempo stesso si sottolinea – giochetto fatto anche con Renzi,
quando il PD aveva raggiunto il 40% dei consensi – che i leghisti non
rappresentano la maggioranza degli italiani ma all’incirca solo un 17% dell’intero
corpo elettorale, se si considera che il 35% dei voti ottenuti dalla Lega nelle
europee è relativo a poco più del 50% dei votanti. Come non si sapesse che il
fenomeno è comune a tutte le democrazie rappresentative. Chi non vota – sia che
questo significhi sfiducia nell’intero sistema o indifferenza o semplicemente
pigrizia – manifesta di fatto una volontà di delega, quando piuttosto non
rappresenti una improbabile forma di resistenza organizzata contro il potere,
alla maniera di Saramago [vedi il post VOTARE SCHEDA BIANCA IN DEMOCRAZIA È REATO?..., e clicca sul titolo per leggere].
Non basta. Si lascia intravedere che se non si andrà
al voto al più presto, ci troveremo a fare i conti con l’Europa e l’Italia
andrà a sbattere. Si ridicolizzano i minibot che, certo non sono la panacea, ma
non sono nemmeno un progetto di uscita dall’euro né un debito, come si vuole
far credere. Perché il loro scopo è proprio quello di sanare i debiti contratti
dalle amministrazioni pubbliche con le aziende creditrici, che potranno
utilizzarli per l’acquisto di beni da altre ditte operanti sul territorio
nazionale e per pagare le tasse. Il che significa maggiore liquidità e maggiori
investimenti. Dal canto suo, lo Stato avrà nell’immediato il vantaggio di
cancellare il debito con le aziende e di predisporsi in tempo per far fronte
successivamente ai minori crediti (tasse riscosse in minibot invece che in
euro), approfittando dall’aumentata circolazione di beni e di denaro.
Il progetto è chiarissimo: tornare il più
presto alle urne rinverdendo il bipolarismo tra il centrodestra (o
destracentro) e una coalizione di centrosinistra che finirebbe per raccogliere
tutti gli altri. È proprio la trappola in cui, almeno al momento, Salvini ha
capito di non dover cadere. Egli sa che l’alleanza con Fratelli d’Italia e con
i resti e/o i fuoriusciti di Forza Italia metterebbe in discussione lo
straordinario risultato che in 14 mesi gli ha permesso di raddoppiare il consenso elettorale. Sa che perderebbe un
cospicuo numero di elettori che da sinistra hanno dato il voto alla Lega nella
speranza del cambiamento e incoraggiati dall’alleanza con i Cinquestelle che
tiene fuori dal governo del Paese la sedicente sinistra, la destra nostalgica, e
gli opportunisti e cosiddetti moderati di Berlusconi.
Le forze dispiegate perché nulla cambi davvero
in Italia sono tante e hanno sponde possenti e inquietanti e non sarà facile
arrestare la lunga marcia delle élite verso la restaurazione e la completa
sottomissione a Eurogermania.
sergio magaldi
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