Il mito di
un Grande Androgino primordiale di natura divina si spiega con l'esigenza di
coniugare insieme la capacità di generare (principio femminile) e quella di
fecondare (principio maschile).
Dal canto suo la Bibbia
cerca di risolvere la questione affermando che Dio creò tutto con la parola, mentre nel primo capitolo del Sepher
Yetzirah – il testo d’esordio della Qabbalah ebraica – è detto che Dio creò
tutto con sepher (lettera), sephar (numero) e sippur
(parola).
Circa
la natura di Dio è tuttavia il Genesi a fare
chiarezza, precisando che Dio creò
l'uomo a propria immagine e somiglianza (Genesi, 1:26) e che lo creò
maschio e femmina (Genesi, 1:27).
Da allora
non si è smesso quasi di assegnare a Dio entrambi i sessi, facendo
dell'Adam Qadmon un uomo cosmico primordiale di natura divina e
bisessuale oppure nell’attribuirgli una larvata presenza asessuata e tuttavia
spiritualmente comprensiva tanto del principio femminile che di quello maschile.
"Il fatto che uomo e donna, insieme, siano creati a immagine di Dio sottintende che Dio sia un'entità maschile/femminile, e non solo maschile", scrive G. Dreifuss in Maschio e femmina li creò. L'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, La Giuntina, Firenze, 1996, p. 30. Tesi, questa, condivisa da autori come Kaplan e Moshe Idel. Dreifuss, tuttavia, osserva che “nel giudaismo normativo questa immagine di un'entità divina maschile/femminile non trova espressione” (Ibid., p. 31), mentre è presente nella letteratura midrashica ( Genesi Rabbah 8:1 e 17:6, Levitico Rabbah, 14:1, Midrash Salmi, 139, bEruvim, 18a ) contrariamente a ciò che sostiene E. Zolla (The Androgyne. Fusion of the Sexes, trad.it., Incontro con l'androgino, red edizioni, Como, 1995, p. 57), un autore che, per la verità, non sembra avere molta dimestichezza con 'la tradizione esoterica ebraica' cui, pure, dedica un paragrafo di questo suo libello.
L'immagine maschile/femminile della divinità è anche ben presente nella Qabbalah dello Zohar e, soprattutto, nella Qabbalah luriana dei Partzufim, dove il carattere antropomorfico della divinità è addirittura esaltato. Fa tuttavia notare Moshe Idel che in nessun caso l'unione del maschio e della femmina è funzionale all’emergere di una divinità androgina, ma è piuttosto “l'insistenza per l'ottenimento di una relazione armoniosa tra principi opposti, la cui esistenza separata è indispensabile per il benessere dell'intero universo. O per dirla con altre parole: la cabala teosofica non ha cercato una ristrutturazione drastica dell'esistenza, sia attraverso la trasformazione del femminile in maschile, sia attraverso la loro fusione finale in un'entità bisessuata o asessuata...Nella concezione gnostica, il mondo inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell'androginia o della asessualità. L'attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile all'attitudine cristiana di fronte alla sessualità, esse costituiscono un aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che riguarda sia la restaurazione dell'androginia paradisiaca sia uno statuto di asessualità per il credente.” (cfr. M. Idel, Cabala ed erotismo, Mimesis, Milano, 1993, pp. 35 - 36).
Più avanti, in nota, Moshe Idel riporta, condividendolo, il pensiero del Meeks (The image of the Androgyne, p. 186): "Nell'ebraismo, il mito dell'androgino serve a risolvere un dilemma esegetico e a consolidare la monogamia". E Moshe Idel osserva: "In ogni caso, la cabala estatica utilizza a volte una produzione di immagini androginiche, sotto l'influenza della filosofia greca, e attraverso la mediazione delle opere di Maimonide...Un'altra differenza cruciale tra le concezioni ebraiche e greche dell'androginia è la visione ebraica positiva della separazione tra il maschio e la femmina, mentre in Platone la separazione è vista come una punizione..." ( M. Idel, op.cit., nota 84, p. 55)
Un’altra soluzione del problema è contenuta sempre in Genesi – con evidente contraddizione rispetto ai versetti citati sopra – allorché il principio femminile (la donna primordiale, Eva) nasce in virtù di un’operazione avvenuta sul corpo di Adamo, opportunamente addormentato. Sono ancora due versetti a spiegare l’accaduto. Nel primo (Genesi, 2:21) affermando che ' ...il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno ' e che 'mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì con carne'; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la “costruzione” della donna e presentandola al sonnolento e intorpidito Adamo.
A tale semplici e lineari conclusioni bibliche,
comunemente accettate, fa spesso riscontro, nella tradizione occidentale, la
visione più complessa e fantastica introdotta dal Simposio platonico.
E per quanto anche qui si parli di un dio (Zeus) separatore,
diversi sono i presupposti: l'androgino che subisce la separazione non è già
più l'immagine speculare di un Dio, perché Zeus è un dio maschio.
L’androgino descritto da
Platone, rinvia, per le sue fonti, ad una realtà ben più arcaica e primordiale,
quando Zeus non era e i sessi si manifestavano congiunti nell'indistinzione
caotica della natura naturans. Insomma, il mito di Cibele e di
Agdistis. ([1])
Ignorando il problema di
un dio fecondatore e insieme capace di generare, problema che certo non compete
a Zeus, dio relativamente giovane del politeismo greco, Platone immagina tre
sessi originari: il maschio, la femmina e l'androgino. Distinzione questa che
ripropone più o meno inconsciamente il rapporto tra una divinità primordiale,
antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della natura umana quale si
manifesta nella polarità maschio - femmina.
Ciò che nel Simposio,
Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo l'esistenza di un Grande
Androgino originario, ma attesta altresì di una ubris fondamentale
presente nell'androgino umano, superbia e vigore in eccesso
che, esattamente come avviene per Agdistis, devono essere puniti.
Fu così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma, esattamente come per Agdistis, la punizione non comportò la privazione della vita, ciò che - osserva Platone - avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini attribuivano agli dei e, se Agdistis fu evirato, gli androgini videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di allora, dedicarono l'esistenza alla ricerca della metà resecata ([3]). E ciò non tanto col desiderio di unirsi alla propria opposta polarità, come vorrebbe far credere un'interpretazione sapienziale – alimentata da un'abbondante letteratura sull'androginia e da una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti figurative – ma con l'idea della più completa reintegrazione dell'androgino primordiale.
S E G U E
sergio magaldi
[1] Greca d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata.
In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste maschile e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un pino, assumendone poi la forma e tornando così all'androginia originaria e primordiale.
[2] Platone, Simposio, XIV, 189c - 190b, in Platone, Opere, Vol.I, Bari,1966, pp. 681- 682.
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